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West Nile nel Lazio: l’allarme che riaccende i fantasmi del passato nell’Agro Pontino

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West Nile nel Lazio: l’allarme che riaccende i fantasmi del passato nell’Agro Pontino

West Nile Virus nel Lazio: un allarme che riaccende i fantasmi del passato nell’Agro Pontino estendendosi anche nel territorio di Anzio
Un ritorno di ricordi antichi, paure ataviche di malattie ormai passate, ma le zanzare continuano a mietere le loro vittime.

(Presso il POLO CESMET-ARTEMISIA è possibile richiedere indagini di laboratorio sierologiche ed anche la ricerca diretta del Virus in PCR. Le risposte verranno fornite con una valutazione anche clinica della persona dal dr. Paolo Meo)

I fatti riguardanti una epidemia insolita.
Il 20 luglio 2025 il virus di West Nile ha ucciso una anziana signora di 82 anni, residente a Nerola; ricoverata in rianimazione nell’ospedale San Giovanni di Dio a Fondi. Per giorni ha mostrato sintomi simil influenzali, poi un aggravamento con vomito e diarrea sempre più forti, fino a sintomi neurologici, il coma e l’exitus. Tutto questo a causa di una puntura di una zanzara infettata con il virus West Nile; una zanzara del genere Culex che aveva punto, alcuni giorni prima un uccello da passo, infettato dal virus letale. Sembrava un caso isolato, uno di quei casi che da alcuni anni si presentano in questi mesi in diverse regioni italiane, e invece si è dimostrato l’inizio di un’epidemia che continua a diffondere a sud verso la Campania, e a nord verso la Capitale . La provincia di Latina è in una situazione di allerta e di emergenza. L’epidemia sembra espandersi anche più a nord arrivando a lambire il territorio di Anzio.

Dati ufficiali e dubbi sugli eventi
Dati ufficiali segnalano al 24 luglio 2025 in Italia 32 casi umani di infezione da West Nile Virus, di cui ben 21 cioè due terzi del totale nazionale, si sono manifestati in diversi comuni pontini, nei dintorni di Latina. Di questi 21 casi di WNV, 15 hanno manifestato sintomi gravi, potenzialmente letali, con caratteristiche neuro-invasive, ovvero con forme di meningo-encefaliti, ovvero le forme che attaccano il cervello e il midollo spinale. Ma cosa succede nell’Agro Pontino. Una epidemia così grave e con casi così concentrati non si era mai vista, e molti esperti si chiedono l’origine di questi accadimenti.

Ma anche più a sud in Campania la situazione non è semplice, da un giorno all’altro sono comparsi casi di WNV così diagnosticati:
• Otto casi confermati di infezione da West Nile virus al 23 luglio 2025.
• Quattro di questi pazienti si trovano in condizioni gravi e sono ricoverati in terapia intensiva negli ospedali Moscati di Aversa e Cotugno di Napoli.
• Tutti i casi sono definiti autoctoni, cioè il contagio è avvenuto nelle località di insorgenza e non per via di viaggi all’estero.

Le aree ed i comuni più colpiti dalla diffusione del virus
Baia Domizia                                                          Caserta                            Area umida, frequentata anche da vacanzieri
Foce del fiume Sele                                              Salerno                            Zone di sosta di uccelli migratori
Zona di Persano                                                    Salerno                             Riscontrati casi tra animali e nell’uomo
Cellole, Sessa Aurunca, Orta di Atella       Caserta                             Interventi di disinfestazione straordinaria in corso

Quali le caratteristi dei pazienti esposti al virus:
• Prevalentemente anziani o soggetti immunodepressi.
• Sintomi frequentemente segnalati: febbre alta, malessere, dolori muscolari, in alcuni casi encefalite o encefalo mielite (infiammazione cerebrale).
• Baia Domizia la località maggiormente esposta alla diffusione del fenomeno nei giorni precedenti al manifestarsi dei sintomi.

Ricordi di situazioni passate suscitano Il ritorno di un incubo antico
Per secoli nell’agro pontino ha regnato l’Anopheles, portatrice di una malaria endemica e permanente che ancora suscita ricordi di morte. Le bonifiche avevano illuso la scomparsa di ogni malattia, nel Lazio meridionale. L’Agro Pontino, pianura che si estende tra Roma e il Circeo, resa fertile da una bonifica durata anni, che ha portato benessere e lavoro con una battaglia contro le zanzare.
Per generazioni, quelle che oggi chiamiamo dolcemente “Paludi Pontine” erano conosciute con nomi quali: Pantano d’Inferno, Pantano della Morte, la Femmina Morta, Caronte, Piscina della Tomba. Nomi che raccontavano di una vasta terra, dove le malattie arrivavano puntualmente ogni estate con il ronzio delle zanzare anofele cariche di plasmodio malarico.
La Grande Bonifica degli anni ’30 aveva rappresentato una vittoria dell’uomo sulla natura: 18 grandi idrovore, 16.165 chilometri di canali, 1.360 chilometri di strade, 3.040 case coloniche. Negli anni trenta, durante il ventennio, le bonifiche del territorio a sud di Roma avevano sconfitto la temibile malaria e dato al Lazio una delle aree agricole più produttive d’Italia, da paludi mefitiche. Ma quella stessa bonifica, necessaria ed utile allora ha creato le condizioni per l’epidemia di oggi. Dice un esperto epidemiologo che “La bonifica ha creato una vasta e intricata rete di corsi d’acqua artificiali: canali di medie, piccole e piccolissime dimensioni, canali di irrigazione e fossi di scolo stradali che attraversano l’intera regione”. In questi canali l’acqua scorre lentamente, forma stagni ed acque ferme, causando siti di riproduzione larvale per la zanzara Culex pipiens. La stessa opera idraulica che ha sradicato la malaria trasmessa dalle zanzare un secolo fa ha creato l’habitat perfetto per la diffusione di un virus letale nel XXI secolo.

Un virus dal passato remoto
Il West Nile Virus è una vecchia conoscenza, identificato per la prima volta nel 1937 nel distretto del Nilo Occidentale dell’Uganda, territori umidi, pieni di zanzare, portatrici di arbovirus, la maggior parte neurotropici. WNV appartiene alla famiglia dei Flaviviridae, la stessa famigli di cui fanno parte i virus della Dengue, di Zika, della Febbre Gialla e Chikungunjia. Il virus è stato rilevato per la prima volta in Italia nel 1998, nei cavalli in Toscana, segnando l’inizio del suo insediamento nell’ecosistema del nostro paese. Da allora molte volte il virus si è manifestato nell’uomo e negli equini, ma ciò che accade quest’anno nel Lazio è diverso da sempre. I bollettini dell’Istituto Superiore di Sanità dipingono un quadro allarmante: l’inizio della stagione 2025 è stato caratterizzato da assenza di casi umani e rari casi equini, una vera calma ingannevole che, nella seconda metà di luglio, è esplosa con l’epidemia laziale. L’evoluzione drammatica della epidemia si nota confrontando il primo bollettino dell’ISS, aggiornato al 16 luglio, che riportava solo 5 casi umani in tutta Italia, con il bollettino del 24 luglio in cui i casi erano già saliti a 32, la stragrande maggioranza dei casi concentrata nella provincia di Latina. Questa rapida accelerazione ha evidenziato un potenziale esplosivo del virus, diffuso da una crescita incontrollata di zanzare Culex pipiens, accelerate da un insolito caldo ed umidità dei mesi di giugno e luglio. Questo ha portato ad una difficoltà di prevedere con precisione i tempi e la localizzazione dei principali focolai.
E se pensiamo che i casi evidenti di malati rappresentano la punta di un iceberg di ben oltre un 80% di persone nelle quali il virus ha diffuso in modo asintomatico e continua a diffondere, ci rendiamo conto della dimensione del fenomeno, di cui è difficile capirne l’estensione e la durata nel tempo.

La distribuzione regionale del contagio
I dati ufficiali dell’ISS al 23 luglio 2025 rivelano una distribuzione geografica che conferma l’eccezionalità del caso laziale:
• Lazio (Provincia di Latina): 21 casi totali, di cui 15 neuro-invasivi, 4 febbrili, 1 decesso;
• Campania: 10 casi neuro-invasivi, diversi in rianimazione;
• Veneto: 4+ casi (2 neuro-invasivi, 2+ febbrili, 1 asintomatico);
• Piemonte: 2 casi neuro-invasivi, 1 decesso;
• Emilia-Romagna: 1 caso neuro-invasivo;

Questi numeri dimostrano che, sebbene diverse regioni stiano affrontando il virus, in Campania e nel Lazio l’epidemia è particolarmente grave e la situazione nell’Agro Pontino è eccezionale per portata e gravità. Come già detto, ma vale la pena ripeterlo, il virus di west Nile non è più una novità in Italia, si presenta come malattia endemica, che ogni anno si ripresenta con intensità variabile, ma quello che non ha precedenti è la concentrazione e la gravità di casi nella provincia di Latina.

I comuni nella morsa del virus
L’epidemia continua a colpire diversi comuni dell’Agro Pontino. Tra questi i territori di Aprilia, Cisterna di Latina, Fondi, Latina, Pontinia, Priverno, Sezze e Sabaudia. Questi comuni sono accomunati dalla presenza della rete di canali artificiali creata dalla bonifica e da un’economia fortemente legata all’agricoltura e all’allevamento. Tutto questo condiziona la presenza di zanzare della specie di Culex pipiens.

La situazione clinica dei pazienti dimostra che questa epidemia ha mostrato tutta la sua aggressività. Oltre alla anziana signora di Fondi deceduta attualmente 10 pazienti risultano ricoverati in reparti ordinari, 2 sono stati dimessi, in cura presso il proprio domicilio e 4 pazienti si trovano ricoverati in terapia intensiva. Questo quadro testimonia la gravità di un’infezione che nel 15% dei casi si manifesta nella forma neuro-invasiva, un dato molto superiore alla media nazionale. Difatti fino ad ora i casi gravi neuro invasivi rappresentano lo 0,1% dei casi totali. Nel Lazio la situazione è stata ben diversa.
Il ruolo delle sentinelle equine
I cavalli si comportano come “animali sentinella”. Come gli esseri umani, gli equini sono molto suscettibili all’infezione e possono sviluppare gravi malattie neurologiche. Si comportano come ospiti “a fondo cieco” senza possibilità di trasmettere il virus. Stesso evento che accade per l’uomo. Il loro valore per la salute pubblica risiede nella loro capacità di indicatori precoci. Difatti un’epidemia con sintomi neurologici nei cavalli è il primo segno della circolazione dell’ West Nile Virus in un territorio specifico.
E’ stata diffusa la notizia della morte di un cavallo, probabilmente due nella regione dell’Agro Pontino, e questo ha confermato l’alto livello di attività virale nell’area. L’impatto del virus sui cavalli può essere particolarmente grave. E’ causa di encefalomielite con tremori muscolari, debolezza, mancanza di coordinazione, e nei casi gravi, convulsioni e morte dell’animale. Il tasso di mortalità per i cavalli che sviluppano segni clinici è tragicamente alto, stimato al 30-40%, non paragonabile a quello umano.
Non esiste un vaccino disponibile per l’uomo ma per i cavalli ci sono diversi vaccini sicuri ed efficaci in Europa. La popolazione equina può essere protetta proattivamente, mentre la popolazione umana deve fare affidamento interamente su misure difensive di controllo dei vettori e protezione personale.

La risposta del sistema “One Health” in Italia, una scelta pratica ed efficace
L’Italia ha adottato un approccio “One Health” all’epidemia. Questo sistema riconosce l’interconnessione tra “salute umana, animale e ambientale”. Questo approccio è descritto bene nel “Piano Nazionale di Prevenzione, Sorveglianza e Risposta alle Arbovirosi (PNA) 2020-2025”, che coordina una rete di sorveglianza completa con tre pilastri interconnessi.
(1) La sorveglianza entomologica comporta la cattura sistematica di zanzare da maggio a ottobre. Le “Culex pipiens” vengono testate in pool per rilevare la presenza del virus.
(2) La sorveglianza veterinaria monitora gli ospiti serbatoio – uccelli selvatici da passo, gazze e cornacchie, la vera causa della diffusione del virus, sia gli animali sentinella come i cavalli.
(3) La sorveglianza umana include il monitoraggio clinico dei casi e lo screening dei donatori asintomatici di sangue e organi nelle aree a rischio.
La vera forza di questo sistema integrato risiede nella sua capacità proattiva. Difatti il rilevamento del West Nile Virus in un singolo pool di zanzare o in un uccello selvatico è l’indicazione per attivare interventi di sanità pubblica immediati. Il Centro Nazionale Sangue ha imposto screening rafforzati in diverse province già a giugno, ben prima che scoppiasse la grande epidemia umana nel Lazio.

La risposta locale all’emergenza
A livello regionale, il Lazio ha convocato una cabina di regia il 17 luglio, coordinando una risposta mirata che include disinfestazioni nelle aree ad alto rischio, campagne di informazione pubblica e formazione per medici e veterinari. I sindaci dei comuni colpiti hanno emesso ordinanze che obbligano i cittadini, condomini e imprese ad agire eliminando tutte le fonti di acqua stagnante, manutenendo gli spazi verdi privati, trattando con larvicidi i tombini ed una corretta gestione delle piscine.
Il 23 luglio si è svolta una riunione in videoconferenza promossa dal Dipartimento di Prevenzione dell’ASL di Latina, alla quale hanno partecipato 24 comuni, amministratori locali, la Provincia, il Consorzio di bonifica dell’Agro Pontino e l’Istituto Zooprofilattico. L’obiettivo era affrontare in maniera sinergica la tematica del contrasto alle arbovirosi, sottolineando l’importanza della lotta larvicida e della bonifica ambientale.

Il profilo clinico di un’infezione insidiosa
Il West Nile Virus nella maggior parte dei casi passa inosservato. Circa l’80% delle infezioni sono asintomatiche e viene mosso il proprio sistema immunitario. Circa il 20% delle infezioni sviluppano una malattia lieve, simile all’influenza, con sintomi che includono febbre, mal di testa, dolori muscolari, nausea, vomito e talvolta un’eruzione cutanea o linfonodi ingrossati. Ma è in meno dell’1% di tutte le infezioni che il virus mostra il suo volto più aggressivo coinvolgendo il sistema nervoso e causando condizioni gravi come meningite o meningo encefalite. I sintomi “d’allarme” di queste forme virali sono febbre alta, forte mal di testa, torcicollo, disorientamento o confusione, tremori o convulsioni, debolezza muscolare o paralisi improvvisa. La malattia neuroinvasiva, piuttosto rara comprende un ampio spettro di deficit neurologici, alcuni dei quali possono persistere per anni. Nei casi più gravi, il virus può causare un’encefalite con una mortalità che varia dal 10% al 20% nei pazienti con coinvolgimento neurologico. È questo aspetto che rende l’epidemia laziale particolarmente preoccupante: con 15 casi neuro-invasivi su 21 infezioni confermate, si registra una proporzione allarmante di forme gravi.

La genetica virale dietro l’epidemia
La gravità di questa epidemia del Lazio potrebbe trovare una spiegazione nella genetica del virus stesso. Il West Nile Virus esiste in diverse linee genetiche distinte, e in Italia circolano principalmente il Lignaggio 1 (L1) e il Lignaggio 2 (L2). Entrambi i lignaggi sono ora noti per co-circolare in Italia, un fatto confermato dalla sorveglianza veterinaria ed entomologica nel 2025.
La stagione 2021-2022 ha visto una significativa riemergenza del Lignaggio 1, dopo diversi anni di circolazione relativamente bassa. Questa recrudescenza è stata associata a un aumentato rischio di grave malattia neuro-invasiva. La proporzione allarmante di casi neurologici gravi nel Lazio quest’anno solleva la questione critica se sia in gioco un ceppo particolarmente virulento.
E’ possibile che nel Lazio il ceppo L1 sia effettivamente responsabile dell’impatto devastante che si sta osservando sul campo. La risposta verrà fornita dal sequenziamento genomico dei campioni virali prelevati dai pazienti

Le variazioni climatiche all’origine del fenomeno
Le recenti ondate di calore, l’aumento della umidità, piogge forti ed improvvise, sono segni caratteristici di un clima che cambia, velocizzano il ciclo di vita della zanzara, la replicazione del virus all’interno del vettore e la sua virulentizzazione. Questo clima riduce il tempo necessario perché una zanzara diventi infettiva e amplifica il tasso di trasmissione.
Gli studi scientifici confermano una positiva e forte associazione della trasmissione del West Nile Virus con la temperatura e l’uso agricolo del suolo. L’Emilia-Romagna, una delle regioni tradizionalmente più colpite, ha registrato nel 2023 densità di Culex pipiens ben al di sopra della media degli ultimi 5 anni tra giugno e la prima metà di luglio, proprio nelle aree colpite dall’evento alluvionale di maggio con vasti ristagni di acqua.

La popolazione a rischio
Il virus colpisce i soggetti più vulnerabili ovvero gli anziani e gli individui con sistemi immunitari compromessi o condizioni di salute preesistenti. Questi individui sono a maggior rischio di sviluppare gravi complicazioni neurologiche. La morte della donna di 82 anni a Fondi è una tragica testimonianza di questo fatto.
L’età mediana dei casi confermati nel Lazio è di 72 anni, con un range che va dai 63 agli 86 anni. il sesso maschile è considerato un fattore di rischio per lo sviluppo della malattia neuroinvasiva, secondo le statistiche epidemiologiche.

La Culex pipiens: il vettore perfetto
Al centro di questa epidemia c’è la Culex pipiens, conosciuta come “zanzara comune”, che si è confermata essere la specie di zanzara maggiormente coinvolta nella circolazione del virus West Nile in Italia. Uno studio di sorveglianza entomologica che ha analizzato circa 99.000 zanzare ha dimostrato che il 97,6% dei pool positivi per West Nile Virus erano costituiti da Culex pipiens.
Questa zanzara punge sia gli uccelli, infettandosi con il virus, sia i mammiferi, ai quali può poi trasmetterlo. È attiva prevalentemente di sera e di notte, emette il caratteristico ronzio quando si avvicina per pungere, ed è attirata dall’anidride carbonica che emettiamo respirando.
I focolai larvali della Culex pipiens si ritrovano nelle raccolte d’acqua dolce sia permanenti che temporanee, con forte carico organico: acquitrini, canali di irrigazione, fossi di scolo, caditoie stradali. In tutte le zone climatiche in cui è presente, questa zanzara risulta in stretta associazione con l’uomo e gli ambienti umani, caratteristica che la rende particolarmente pericolosa in aree densamente abitate come l’Agro Pontino.

La prevenzione: l’unica arma disponibile
Non esistono vaccini, non esistono farmaci antivirali specifici per il trattamento del West Nile Virus nell’uomo e quindi l’unica cura è la prevenzione volta a ridurre il rischio di punture. Quindi questa è rappresenta l’arma più efficace per evitare focolai epidemici. Le raccomandazioni ufficiali includono l’uso di repellenti cutanei, indossare abiti di colore chiaro con maniche lunghe e pantaloni lunghi nelle ore di massima attività della zanzara (alba e tramonto), e utilizzare insetticidi approvati per uso domestico.
Ma il contributo più importante di ciascuno di noi sta nell’eliminare i luoghi di riproduzione delle zanzare sulla propria proprietà. Un singolo tappo di bottiglia pieno d’acqua è sufficiente perché una zanzara deponga le uova. Occorre eliminare l’acqua stagnante svuotando regolarmente ogni 4-5 giorni qualsiasi oggetto che possa raccogliere acqua, coprire le riserve d’acqua, trattare gli scarichi con prodotti larvicidi biologici, e mantenere prati e siepi tagliati. Se cominciamo a casa nostra questa attività preventiva si abbasserà drasticamente la possibilità di epidemia.

Lezioni passate, presenti e future.
L’epidemia di West Nile Virus nel Lazio non è un evento casuale e anomalo, ma un’amplificazione abnorme ed anche prevedibile di una situazione endemica che si ripropone ad ogni estate. Il virus non è più un viaggiatore che giunge da lontano; è un microrganismo esistente sul territorio durante l’estate italiana che richiede una preparazione sostenuta e continua durante tutto l’anno.
La storia dell’Agro Pontino ci insegna che la relazione tra uomo e ambiente è complessa. La Grande Bonifica sconfisse la malaria ma ha anche creato le condizioni per una nuova malattia esotica veicolata dalle zanzare. Questo ci fa riflettere sul fatto che ogni intervento sul territorio deve essere valutato non solo per i suoi benefici immediati, ma anche per le sue implicazioni a lungo termine.
Il sistema di sorveglianza “One Health” affronta questa sfida ma il suo successo finale dipende dalla partecipazione attiva e informata di tutte le componenti della società La battaglia contro il West Nile non si combatte solo nei laboratori ad alta tecnologia o nelle unità di terapia intensiva degli ospedali, ma si vince o si perde nei cortili, nei giardini e negli spazi comunitari condivisi.
Di fronte a questa minaccia persistente, l’arma più potente che possediamo è il semplice atto di eliminare l’acqua stagnante. La vigilanza, la responsabilità condivisa e un impegno per la prevenzione attiva sono le nostre migliori e uniche difese contro la puntura silenziosa della zanzara che, come cent’anni fa, continua a portare malattia e morte nelle terre che un tempo erano paludi.

Il POLO VIAGGI CESMET -ARTEMISIA una struttura specialistica a disposizione per informazioni e pratiche preventive, vaccinali e cliniche. La diagnostica per la ricerca del virus. ( ricerca di anticorpi e ricerca del virus in PCR)

In un mondo sempre più interconnesso sia in viaggio che nei propri territori l’informazione e le pratiche preventive diventano una priorità. Artemisia Lab e Cesmet, consapevoli delle esigenze sanitarie dei viaggiatori, ma anche dei residenti in aree a rischi malattie infettive, anche per affiancare il lavoro incessante delle autorità sanitarie e dei centri di eccellenza pubblici, riconoscendo l’importanza della prevenzione, mette a disposizione la struttura del Polo Viaggi per Consulenze, pratiche preventive e profilassi vaccinale anche su malattie tropicali presso il centro POLO VIAGGI Artemisia Lab Alessandria (Roma, via Piave 76), per una valutazione specialistica personalizzata e per la profilassi vaccinale necessaria o opportuna. Il Polo rappresenta una realtà nel panorama sanitario italiano, autorizzato dal Ministero della Salute, e si distingue per l’alta qualità dei servizi offerti, con particolare attenzione alle vaccinazioni tropicali. Grazie a un team di esperti in medicina tropicale, coordinato dal Dr. Paolo Meo, ogni paziente riceve un percorso di prevenzione su misura, basato sulle caratteristiche personali e sulla destinazione del viaggio. In risposta alle nuove sfide sanitarie globali, il Polo è prontamente attivo per offrire informazioni, consulenze, test specifici, profilassi e cure personalizzate, confermando la sua capacità di anticipare le esigenze di sicurezza sanitaria.
Presso il POLO è possibile richiedere indagini sierologiche ed anche la ricerca diretta del Virus in PCR. Le risposte verranno fornite con una valutazione anche clinica della persona


Redazione dr. Paolo Meo                                                                                       

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Rapporto sulla Situazione della epidemia Mpox in Sierra Leone (Maggio 2025) e Spiegazione della Malattia

1. Sintesi del Rapporto sulla Situazione dell’Mpox in Sierra Leone (Maggio 2025)

mpox nei bambini
mpox nei bambini

 

2300 casi di MPOX del ceppo virale “clade 2b” e oltre 15 morti il bilancio della grave epidemia, nel mese di maggio 2025, in Sierra Leone che sta affrontando una delle più gravi epidemie di Mpox (precedentemente vaiolo delle scimmie), in Africa, con un aumento esponenziale dei casi confermati.  La capitale, Freetown, è l’epicentro della epidemia, mettendo a dura prova le fragili infrastrutture sanitarie.
L’Ospedale Militare 34 di Freetown, cruciale nella risposta, opera al massimo della sua capacità (26 letti dedicati a MPOX).
Le sfide principali includono:
– una critica carenza di posti letto per l’isolamento (stimati solo 60 a livello nazionale contro oltre 2000 casi attivi),
finanziamenti inadeguati
difficoltà nel tracciamento dei contatti.
Le autorità hanno avviato una campagna di vaccinazione nazionale a marzo 2025 e introdotto nuove misure di sanità pubblica a inizio maggio 2025. Tuttavia, la rapida escalation suggerisce una possibile sottovalutazione iniziale della trasmissibilità del ceppo virale clade 2b.
La dichiarazione di emergenza sanitaria pubblica a gennaio 2025 non ha arginato l’impennata, indicando ritardi o insufficienza nelle misure attuative. Riguardo alla notizia di oltre 200 casi in aumento presso l’ospedale militare di Freetown, si chiarisce che la sua capacità di ricovero per Mpox è di 26 posti letto, tutti occupati; la cifra di 200 potrebbe riferirsi al volume cumulativo di pazienti gestiti o alla situazione generale di Freetown.

Situazione Epidemiologica (al 20 Maggio 2025)

L’epidemia ha visto un’accelerazione drammatica nel 2025. Al 12 maggio, si contavano 2.045 casi confermati dall’inizio dell’anno, con 1.586 casi attivi e 11 decessi. I casi sono aumentati nell’ultima settimana.
Il primo decesso è stato registrato il 10 marzo (59 casi totali). Solo l’11 maggio sono stati segnalati 165 nuovi casi.
A inizio maggio, la Sierra Leone registrava circa 100 nuovi casi al giorno, rappresentando oltre il 50% dei casi africani in una settimana.

reparto ospedale militare Free Town isolamento
reparto ospedale militare Free Town isolamento

Il ceppo responsabile è il clade 2b.
La Western Area Urban (Freetown) è l’epicentro con 1.326 casi (67% del totale nazionale),
seguita dalla Western Area Rural con 414 casi, indicando una diffusione anche fuori dalle aree urbane dense.
La maggior parte dei pazienti (68%) è di sesso maschile, con età più colpita tra i 30 e i 35 anni.
Il 7% dei pazienti Mpox è anche HIV-positivo, un gruppo ad alto rischio.

Focus sull’Ospedale Militare 34 di Freetown
L’Ospedale Militare 34 (34 Military Hospital) a Freetown è un centro primario per diagnosi e trattamento, grazie alla sua esperienza pregressa con Ebola e Febbre di Lassa e a infrastrutture specializzate.
Tuttavia, dispone di soli 26 posti letto dedicati all’Mpox, costantemente a pieno regime. Questa limitata capacità, a fronte degli oltre 1.300 casi a Freetown, rende impossibile gestire una frazione significativa dei casi che necessiterebbero ricovero, costringendo al trasferimento verso altri centri.
La notizia di “più di 200 casi in aumento” presso l’ospedale non è compatibile con la sua capacità di ricovero. È più probabile che si riferisca al numero cumulativo di pazienti diagnosticati/gestiti, al flusso di persone che si presentano per sospetta infezione, o a una generalizzazione della grave situazione a Freetown.
L’ospedale è certamente in prima linea, affrontando un carico di lavoro crescente in termini di valutazione, diagnosi e indirizzamento.

Risposta di Sanità Pubblica e Interventi
Il 19 marzo 2025 è stata lanciata una campagna nazionale di vaccinazione, con 61.300 dosi iniziali (da Gavi e Irlanda),
priorità a operatori sanitari,
contatti stretti
comunità hotspot.
A inizio maggio, quasi 24.000 persone erano state vaccinate (circa 60% operatori sanitari). Nonostante ciò, l’epidemia è cresciuta, suggerendo che ritmo e copertura vaccinale potrebbero essere stati insufficienti, data la rapida diffusione e le sfide logistiche. Si è registrata alta accettazione del vaccino tra il personale sanitario.
Il 5 maggio 2025, sono state introdotte nuove norme di sicurezza pubblica: igiene, sorveglianza e segnalazione (chiamando il 117), tracciamento contatti, isolamento domiciliare per sintomatici, distanziamento fisico, limitazione contatti e misure specifiche per luoghi pubblici.
Sono previste sanzioni per inosservanza. L’efficacia dipende dall’adesione comunitaria, potenzialmente compromessa da stanchezza da restrizioni e fattori socio-economici.
La capacità nazionale di trattamento e isolamento è gravemente inadeguata: a inizio maggio, solo 60 posti letto dedicati a livello nazionale, costringendo la maggioranza degli infetti a cure domiciliari, con rischio di trasmissione intra-domestica. Nonostante l’apertura di nuovi centri (quattro a Freetown a febbraio, più quelli di Jui e della polizia), la capacità resta insufficiente.

Sfide Sistemiche e Necessità
La carenza di risorse finanziarie è un ostacolo primario, con budget sottofinanziati già da agosto 2024 e prospettive di tagli ai fondi internazionali. Questa sottofinanziazione si traduce in carenze materiali, come i posti letto.
Debolezze operative includono un basso rapporto di tracciamento dei contatti nonostante una buona
copertura diagnostica, e la necessità di migliorare la capacità dei laboratori. L‘isolamento inadeguato per cure domiciliari forzate alimenta la diffusione.
La crisi si inserisce in un contesto regionale di recrudescenza del virus. L’Africa CDC monitora la situazione, avvertendo che l’intensa trasmissione in Sierra Leone potrebbe minacciare la sanità regionale. L’OMS classifica l’Mpox come emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale (PHEIC) e fornisce supporto.

Partner come UNICEF e Gavi contribuiscono con vaccini. Tuttavia, la sostenibilità a lungo termine dipende dal rafforzamento dei sistemi sanitari nazionali.

Conclusioni e Raccomandazioni Preliminari
L’epidemia di Mpox in Sierra Leone a maggio 2025 è un’emergenza grave, con trasmissione rapida. L’Ospedale Militare 34 opera al limite dei suoi 26 posti letto per Mpox.

La risposta è insufficiente a causa di sfide sistemiche: cronica insufficienza di finanziamenti, carenza di posti letto per isolamento e debolezze nel tracciamento.

Le raccomandazioni includono:
2. Incremento urgente dei finanziamenti.
3. Espansione rapida della capacità di isolamento e trattamento.
4. Rafforzamento immediato della sorveglianza e del tracciamento dei contatti.
5. Accelerazione e ampliamento della campagna vaccinale.
6. Potenziamento del coinvolgimento comunitario e della comunicazione del rischio.
7. Supporto psicosociale per pazienti e operatori.
8. Investimenti a lungo termine nel sistema sanitario nazionale. È cruciale una comunicazione accurata per evitare panico e supportare la risposta.

 

2. Breve Spiegazione della Malattia Mpox

L’Mpox, precedentemente nota come vaiolo delle scimmie, è un’infezione virale. Si trasmette principalmente attraverso lo         – stretto contatto con una persona infetta,
– i suoi fluidi corporei,
– le lesioni,
– o con materiali contaminati (come lenzuola).

I sintomi tipici includono
– febbre,
– mal di testa,
– dolori muscolari,
– mal di schiena,
– linfonodi ingrossati,
– brividi e spossatezza,
seguiti o accompagnati da un’eruzione cutanea che può presentarsi come vescicole o lesioni piene di pus.

L’Mpox è endemica in alcune regioni dell’Africa centrale e occidentale, dove si verificano regolarmente focolai, in particolare nella Repubblica Democratica del Congo (RDC).
Recentemente, la comparsa e la rapida diffusione di un nuovo ceppo virale nella RDC (il clade Ib) ha destato preoccupazione per la sua apparente maggiore trasmissibilità.

Ricerche dati e redazione dr. Paolo Meo

foto gentilmente concesse dall’ ing. Claudio Belcastro direttamente dall’ Ospedale militare di Freetown

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Larva Migrans: Cause, Infestazione e Trattamenti Ottimali

La “larva migrans”
è una patologia parassitaria, causata da diversi tipi di “nematodi” che, seppur raramente grave, può causare sintomi fastidiosi e compromettere significativamente la qualità della vita dei pazienti colpiti. La forma cutanea, la più comune e facilmente riconoscibile, è causata principalmente da anchilostomi, ossia vermi che penetrano nella pelle umana e vi permangono senza completare il loro ciclo vitale.
La diagnosi, prevalentemente clinica, si basa sul riconoscimento delle caratteristiche lesioni serpiginose, che partono sempre da una lesione pomfoide, ed è caratteristica di storie di esposizione a terreni o sabbia, potenzialmente contaminati, in aree considerate endemiche. Il camminare a piedi nudi sul terreno o sulla sabbia espone, generalmente il piede al rischio di penetrazione delle larve del parassita.
L’albendazolo e l’ivermectina costituiscono il gold standard della terapia, ed offrono elevati tassi di guarigione, rendendo la prognosi generalmente favorevole.
La prevenzione rimane l’approccio più efficace, particolarmente per i viaggiatori diretti verso aree tropicali e subtropicali. L’adozione di semplici misure precauzionali, ossia evitare di camminare a piedi nudi in terreni sabbiosi, potenzialmente contaminati, ed anche evitare il contatto con cani o gatti senza controllo parassitario. Con queste accortezze si riduce significativamente il rischio di infestazione.
La crescente diffusione della larva migrans in aree precedentemente non colpite, in relazione ai cambiamenti climatici, con maggiore umidità e soprattutto pioggia e diffusione delle micro larve, induce ad adottare comportamenti di attenzione. E’ importante una continua sorveglianza epidemiologica e un’adeguata informazione della popolazione sui rischi associati a questa patologia sempre più diffusa.

La malattia denominata “larva migrans” rappresenta una condizione parassitaria determinata da diverse specie di parassiti. Colpisce la pelle e, in alcune varianti, gli organi interni. Le forme più comuni di questa infestazione sono
la “larva migrans cutanea”, causata principalmente da “anchilostomi tipici di animali,
la “larva migrans viscerale”, risultante dalla migrazione delle larve attraverso gli organi interni.

Definizione e tipologie di Larva Migrans
La “larva migrans” comprende diverse manifestazioni cliniche, classificate in base alla localizzazione dell’infestazione nel corpo umano.
Larva Migrans Cutanea
La larva migrans cutanea (LMC), nota anche come “dermatite serpiginosa” o “eruzione strisciante”, è una malattia dermatologica causata dalla penetrazione transcutanea delle larve di un verme uncinato, l’anchilostoma, che vive come parassita “commensale” nell’intestino di diverse specie animali, principalmente cani e gatti. Questa forma rappresenta la manifestazione più comune della patologia ed è caratterizzata da “lesioni cutanee serpiginose” facilmente riconoscibili.
I parassiti principalmente responsabili sono
l’*Ancylostoma caninum*, parassita tipico del cane con distribuzione cosmopolita;
l’*Ancylostoma braziliense*, diffuso nelle aree tropicali e subtropicali, capace di infestare sia cani che gatti. Questi parassiti, non trovando nell’uomo un ambiente idoneo al loro sviluppo completo, rimangono confinati negli strati superficiali della cute, dove causano i caratteristici segni clinici.

Altre forme di Larva Migrans
Oltre alla forma cutanea, esistono altre varianti di questa infestazione parassitaria:
“Larva migrans viscerale”: si verifica quando gli esseri umani ingeriscono inavvertitamente “uova embrionate” delle specie *Toxocara canis* o *Toxocara cati*, con conseguente migrazione delle larve attraverso vari organi interni.
“Larva migrans oculare”: in questa forma, le larve invadono il tessuto oculare, causando potenziali danni alla vista.
“Larva migrans neurale”: caratterizzata dalla migrazione dei parassiti verso il sistema nervoso centrale, provocando sintomi neurologici.
“La larva currens”, invece, è una forma particolare causata dallo *Strongyloides stercoralis*, che si manifesta con lesioni serpiginose orticarioidi a rapida progressione, iniziando tipicamente in prossimità della cute perianale.

Meccanismi di trasmissione e infestazione
Il ciclo di trasmissione della larva migrans cutanea inizia con l’eliminazione delle uova del parassita attraverso le feci degli animali infestati.
Ciclo biologico e modalità di contagio
Gli animali infestati dall’anchilostoma espellono con i loro escrementi le microscopiche uova del parassita, dalle quali nascono poi le larve. Queste si sviluppano particolarmente in condizioni di caldo (temperature di 20-30°C) e nei terreni umidi. Le larve sono ottime “nuotatrici” e si propagano tra le gocce di pioggia, sulle foglie o sulla vegetazione, fino a entrare in contatto con un organismo ospite.
L’uomo viene contagiato attraverso il contatto diretto con il terreno contaminato dalle feci degli animali. Le larve penetrano nella pelle e, non trovando un ambiente adatto al loro completo sviluppo nell’ospite umano, rimangono confinate nel tessuto sottocutaneo. A differenza di quanto avviene negli animali, nell’uomo le larve non raggiungono il circolo sanguigno, ma parassitano esclusivamente la cute.

Fattori di rischio e aree geografiche
La malattia è particolarmente diffusa in quelle zone in cui si verificano violazioni delle norme igieniche di base e condizioni di stretta coabitazione tra uomo e animali domestici. Alle nostre latitudini si osserva principalmente in soggetti che hanno soggiornato in aree a più alto rischio.
L’ambiente ideale per la trasmissione all’uomo è rappresentato dalle spiagge caldo-umide tropicali, dove la sabbia contaminata offre condizioni ottimali per lo sviluppo delle larve. L’infestazione è tipica dei Caraibi, meno frequente in Turchia e Grecia, e ancora più rara in Adriatico e Costa Azzurra.
La larva migrans cutanea rappresenta una delle più frequenti malattie dermatologiche tra i viaggiatori di ritorno dai paesi tropicali.
L’emergenza di questa condizione in regioni precedentemente immuni sia dovuta ai cambiamenti climatici.

Manifestazioni cliniche e diagnosi
La larva migrans cutanea si manifesta con segni clinici caratteristici che ne facilitano la diagnosi.

Sintomi e segni clinici principali
Le larve scavano nell’epidermide, provocando lesioni che hanno l’aspetto di sottili linee rosse filiformi dall’andamento tortuoso (da cui il nome di “dermatite serpiginosa”). Le lesioni si localizzano sotto la cute delle zone poste a contatto diretto con il terreno contaminato: mani, piedi, glutei e schiena.
Il cammino delle larve provoca forte prurito e dolore, particolarmente intenso durante la notte. Possono inoltre manifestarsi piccole escrescenze e vescicole. Il grattamento di queste lesioni può portare a infezioni batteriche secondarie della pelle.
In alcuni casi, la larva migrans cutanea può essere complicata da una reazione polmonare autolimitante, definita sindrome di Löffler, caratterizzata da infiltrati polmonari a chiazze ed eosinofilia periferica.

Approccio diagnostico
La diagnosi di larva migrans cutanea si basa essenzialmente sull’anamnesi e sull’aspetto clinico caratteristico delle lesioni. Gli elementi chiave per la diagnosi includono:
– Storia recente di viaggi in aree endemiche tropicali o subtropicali
– Esposizione della pelle a sabbia o terreno potenzialmente contaminati
– Presenza delle caratteristiche lesioni serpiginose
– Intenso prurito associato alle lesioni
Gli esami ematochimici possono evidenziare un lieve incremento degli eosinofili nel sangue, come riportato in un caso clinico di una bambina di 4 anni con larva migrans cutanea che presentava 830 eosinofili/mmc.

Trattamenti farmacologici e loro efficacia
Sebbene la larva migrans cutanea sia una condizione autolimitante, l’intenso prurito e il rischio di infezioni secondarie rendono necessario un trattamento specifico.
Opzioni terapeutiche principali
I farmaci antielmintici rappresentano il cardine della terapia, con diverse opzioni disponibili:
1. “Albendazolo”: rappresenta uno dei trattamenti di prima scelta. La posologia raccomandata è di 400 mg al giorno per via orale per 3 giorni consecutivi. Questo regime terapeutico ha dimostrato tassi di guarigione variabili tra il 46% e il 100%.
2. “Ivermectina”: può essere somministrata come dose singola di 12 mg, eventualmente ripetuta il giorno successivo. Gli studi hanno evidenziato tassi di efficacia molto elevati, compresi tra l’81% e il 100%.
3. “Terapie topiche”: alcuni esperti raccomandano il trattamento topico con ivermectina, tiabendazolo (in sospensione al 10% o crema al 15%) o metronidazolo crema, tutti utilizzati quattro volte al giorno.

Recentemente, nel febbraio 2025, l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha adottato un parere favorevole all’uso di ivermectina-albendazolo in associazione per il trattamento di infezioni causate da diverse tipologie di vermi parassiti, incluse quelle provocate da anchilostomi.

Confronto tra i diversi approcci terapeutici
Secondo gli studi disponibili, l’ivermectina orale sembra offrire i tassi di guarigione più elevati, raggiungendo fino al 100% di efficacia in dose singola.
L’albendazolo, seppur altamente efficace, mostra una maggiore variabilità nei risultati terapeutici (46-100%).
I trattamenti topici presentano limitazioni, specialmente in caso di lesioni multiple e di follicolite da anchilostoma, e richiedono applicazioni tre volte al giorno per almeno 15 giorni. La crioterapia (congelamento del fronte avanzante della traccia cutanea) raramente risulta efficace.
Nel caso degli altri tipi di larva migrans, come la forma viscerale, possono essere necessari dosaggi o durate di trattamento differenti. Per la larva migrans viscerale, ad esempio, il dosaggio raccomandato è di 400 mg di albendazolo due volte al giorno per 5 giorni.

Prevenzione e misure profilattiche
La prevenzione della larva migrans risulta fondamentale, specialmente per i viaggiatori diretti verso aree endemiche.
Misure preventive individuali
Per ridurre il rischio di infestazione, è consigliabile:
– Evitare il contatto diretto della pelle con terreno potenzialmente contaminato;
– Non camminare a piedi nudi sulle spiagge a rischio;
– Utilizzare teli da spiaggia o sdraio anziché sdraiarsi direttamente sulla sabbia;
– Praticare una corretta igiene personale durante i soggiorni in aree endemiche

Controllo degli animali domestici
Per prevenire la contaminazione ambientale da parte di cani e gatti, è importante:
– Sottoporre regolarmente gli animali domestici a trattamenti antielmintici;
– Nelle aree in cui il rischio è rappresentato principalmente da *Toxocara* spp., per i cani e i gatti che vivono all’aperto si raccomanda la sverminazione almeno quattro volte l’anno;
– Rimuovere prontamente le feci degli animali domestici dalle aree pubbliche e private;
Queste misure, insieme a una maggiore consapevolezza dei rischi associati alle aree endemiche, possono ridurre significativamente l’incidenza della larva migrans nelle popolazioni a rischio.

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ANSIA: Il Sistema di Allarme Umano. Definizione e Funzioni Evolutive

1.1 ANSIA costituisce il “Sistema di Allarme Umano”: Definizione e Funzioni Evolutive

• Meccanismi neurobiologici dell’ansia (amigdala, corteccia prefrontale)
L’ANSIA rappresenta uno dei più raffinati sistemi di allarme sviluppati dall’evoluzione umana. In un’ottica psicobiologica ed evoluzionista, questo meccanismo funge da indispensabile segnalatore quando potenziali pericoli entrano nel nostro “spazio di vita”. Come un sofisticato dispositivo di sicurezza, ci informa di minacce imminenti e ci …. continua a leggere

 

• Differenze tra ansia adattiva e patologica

Ansia adattiva e patologica: quando l’allarme funziona e quando si inceppa
L’ansia, come ogni sistema di allarme, ha una funzione adattiva fondamentale che ci ha permesso, come specie, di sopravvivere e prosperare.
In determinate circostanze, provare ansia non solo è normale, ma assolutamente vantaggioso. Come distinguere però quando questo meccanismo opera correttamente e quando invece si trasforma in un problema? continua a leggere….


• Confronto interspecie: come altri mammiferi gestiscono l’ansia

L’ansia oltre l’umano: come i mammiferi gestiscono la paura
L’ansia non è un’esclusiva umana, ma rappresenta un antico meccanismo di sopravvivenza condiviso con molte altre specie animali. Paura e ansia giocano un ruolo centrale nella vita dei mammiferi, ma sono presenti anche negli uccelli e probabilmente in molti altri gruppi animali.  Si tratta infatti di meccanismi di protezione e difesa ……

 

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Ansia adattiva e patologica: quando l’allarme funziona e quando si inceppa

Ansia adattiva e patologica: quando l’allarme funziona e quando si inceppa
L’ansia, come ogni sistema di allarme, ha una funzione adattiva fondamentale che ci ha permesso, come specie, di sopravvivere e prosperare.
In determinate circostanze, provare ansia non solo è normale, ma assolutamente vantaggioso.

Come distinguere però quando questo meccanismo opera correttamente e quando invece si trasforma in un problema?
L’ansia adattiva rappresenta una risposta proporzionata a minacce reali o probabili.
Ad esempio quando un esame importante si avvicina, un moderato livello di ansia ci aiuta a
rimanere concentrati,
a studiare con maggiore intensità
e a mobilitare tutte le nostre risorse cognitive.
In questo caso, l’ansia funziona come un potente motivatore che ci spinge a prepararci adeguatamente.

Simili meccanismi si attivano quando dobbiamo
parlare in pubblico,
affrontare una sfida sportiva
o prendere decisioni significative per la nostra vita.
In questi contesti, l’ansia è temporanea, proporzionata alla situazione e, soprattutto, funzionale: ci aiuta piuttosto che ostacolarci.
Analizzare il contesto diventa fondamentale:
se l’ansia compare in risposta a una minaccia concreta e scompare una volta che questa è passata, stiamo osservando un sistema di allarme che funziona correttamente.
Un esempio eloquente è quello dell’automobilista che, percependo un veicolo che sbanda nella sua direzione, sperimenta un’immediata attivazione ansiosa che lo porta a reagire prontamente per evitare l’incidente. Una volta superato il pericolo, l’ansia si attenua gradualmente, lasciando forse solo un comprensibile residuo di tensione.

Ben diversa è la condizione quando l’ansia diventa patologica.
In questo caso, il sistema di allarme inizia a malfunzionare, attivandosi in modo inappropriato o con intensità sproporzionata.

Secondo gli esperti, l’ansia può considerarsi problematica
quando supera una certa soglia di intensità,
quando persiste anche in assenza di minacce concrete
o quando non è chiaro il motivo per cui si è attivata.

In queste circostanze, anziché aiutarci, l’ansia diventa essa stessa fonte di preoccupazione, innescando un circolo vizioso:
più percepiamo l’ansia,
più ci preoccupiamo,
alimentando ulteriormente il circuito in una spirale che può culminare nella temuta perdita di controllo tipica dell’attacco di panico.
La differenza tra ansia adattiva e patologica si manifesta chiaramente
nella frequenza
e nell’intensità degli episodi.
Nell’ansia patologica esistono episodi frequenti, spesso prolungati e di elevata intensità,
mentre nell’ansia adattiva gli episodi sono occasionali, di durata limitata e di intensità gestibile.

Un altro elemento distintivo riguarda la percezione del pericolo:
nell’ansia adattiva, il timore riguarda una minaccia reale o altamente probabile;
nell’ansia patologica, invece, la persona sperimenta un malessere emotivo di fronte a un danno futuro che è possibile, ma non poi così probabile.

Consideriamo un esempio concreto:
(1) un individuo con ansia adattiva potrebbe sentirsi teso e preoccupato prima di un intervento chirurgico programmato – una reazione comprensibile di fronte a una situazione oggettivamente stressante.
Una volta superata l’operazione con successo, l’ansia diminuisce naturalmente.

(2) Al contrario, una persona con ansia patologica potrebbe sviluppare una preoccupazione costante e invalidante per la propria salute anche in assenza di reali problemi medici, interpretando ogni piccola sensazione corporea come segnale di una malattia grave, sottoponendosi a continui controlli medici e vivendo in uno stato di allerta permanente che compromette significativamente la qualità della vita.

Le manifestazioni fisiche dell’ansia accompagnano entrambe le forme, ma con differenze significative.
Nei quadri patologici, i sintomi possono raggiungere un’intensità considerevole:
sensazione di soffocamento,
oppressione o dolore al petto,
vertigini,
tremori intensi,
sudorazione profusa,
tachicardia marcata.
Questi sintomi diventano spesso oggetto di ulteriore preoccupazione
(“Sto avendo un infarto?”, “Sto per svenire?”), amplificando il circolo vizioso dell’ansia.

Fortunatamente, esistono numerose tecniche efficaci per gestire l’ansia quando questa diventa problematica.
Le più semplici da apprendere e utilizzare si basano
sulla respirazione,
sfruttando il collegamento neurovegetativo che lega il diaframma al centro encefalico responsabile della risposta ansiosa1.
Tecniche di respirazione diaframmatica,
meditazione mindfulness e
training autogeno

possono aiutare a riportare il sistema di allarme a livelli funzionali, interrompendo la spirale dell’ansia prima che raggiunga intensità debilitanti.

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L’ANSIA COME SISTEMA DI ALLARME UMANO: MECCANISMI, FUNZIONI E CONFRONTI

L’ANSIA COME SISTEMA DI ALLARME UMANO: MECCANISMI, FUNZIONI E CONFRONTI

L’ANSIA rappresenta uno dei più raffinati sistemi di allarme sviluppati dall’evoluzione umana.    In un’ottica psicobiologica ed evoluzionista, questo meccanismo funge da indispensabile segnalatore quando potenziali pericoli entrano nel nostro “spazio di vita”.
Come un sofisticato dispositivo di sicurezza, ci informa di minacce imminenti e ci invita ad agire per impedirne o limitarne gli effetti dannosi.
Attraverso segnali come:
l’agitazione psico-motoria,
la difficoltà di concentrazione,
lo stato di preoccupazione
e sintomi fisici quali sudorazione, tremori e tachicardia,
l’ansia ci prepara ad affrontare o evitare situazioni potenzialmente rischiose.

Questo sistema ancestrale ha garantito per millenni la sopravvivenza della nostra specie, ma come ogni meccanismo complesso, può talvolta funzionare in modo imperfetto, trasformandosi da alleato a fonte di malessere.

Meccanismi neurobiologici dell’ansia: il cervello in stato di allerta
Il nostro cervello ospita un sofisticato circuito dedicato alla gestione delle minacce, in cui diverse strutture comunicano costantemente tra loro per valutare i pericoli e attivare risposte appropriate.
Al centro di questo network si trova l’amigdala, una piccola struttura a forma di mandorla situata nel lobo temporale, che rappresenta l’autentico epicentro degli eventi coinvolti nella modulazione degli stati d’ansia.
Quando percepiamo una potenziale minaccia, le informazioni sensoriali raggiungono prima il talamo, una sorta di centrale di smistamento che le inoltra contemporaneamente verso due direzioni:
l’amigdala
e la corteccia cerebrale.

Questa duplice trasmissione crea due percorsi distinti:
una “via rapida” che consente all’amigdala di innescare una risposta immediata,
una “via lenta” che coinvolge l’analisi corticale più sofisticata.
La via rapida rappresenta un meccanismo evolutivo fondamentale che ci permette di reagire velocemente ai pericoli prima ancora di averne piena consapevolezza cognitiva – è quella che ci fa sobbalzare istintivamente quando intravediamo qualcosa di simile a un serpente nel nostro campo visivo2.
L’amigdala, ricevute queste informazioni, attiva immediatamente il sistema di risposta allo stress, coinvolgendo il sistema nervoso autonomo.
Questo innesca la classica reazione di “combattimento o fuga” (fight or flight):
il battito cardiaco accelera,
la respirazione diventa più rapida,
i muscoli si tendono e
l’organismo si prepara ad affrontare la minaccia o a fuggire.

Contemporaneamente, vengono stimolate ghiandole endocrine che rilasciano ormoni come adrenalina e cortisolo, potenziando ulteriormente questa risposta.

Ma cosa impedisce a questo potente sistema di allarme di attivarsi continuamente in modo inappropriato? Qui entra in gioco la corteccia prefrontale, particolarmente l’area dorsomediale (DMPFC) e la corteccia prefrontale mediale.
Studi di neuroimaging hanno rivelato che queste regioni svolgono un ruolo cruciale nella regolazione dell’ansia inviando segnali inibitori all’amigdala.
In particolare, la corteccia prefrontale mediale invia informazioni capaci di attenuare le risposte di ansia e paura.
È interessante notare che in persone con disturbo d’ansia generalizzato sono stati osservati volumi maggiori sia dell’amigdala che della corteccia prefrontale dorsomediale, suggerendo alterazioni strutturali in questo delicato equilibrio.

Un esempio concreto di questo complesso meccanismo in azione lo viviamo
“quando ci troviamo di fronte a un colloquio di lavoro importante”.
Non appena riceviamo la convocazione, l’amigdala può iniziare a segnalare un potenziale “pericolo sociale”.
I pensieri di possibile fallimento attivano il circuito dell’ansia: il cuore batte più velocemente, lo stomaco si contrae, le mani potrebbero sudare. Contemporaneamente, la corteccia prefrontale cerca di contestualizzare la situazione, ricordandoci che non siamo in pericolo fisico e che abbiamo le competenze necessarie.
Questo dialogo neurale determina l’intensità della nostra ansia: sufficiente a mantenerci vigili e preparati, ma idealmente non così intensa da compromettere la nostra performance.

Le tecniche di neuroimaging hanno rivelato come questo equilibrio possa alterarsi in condizioni patologiche.
Nei disturbi d’ansia, l’iperattività dell’amigdala si accompagna spesso a una ridotta capacità della corteccia prefrontale di esercitare il suo controllo inibitorio. È come se il sistema di allarme rimanesse bloccato in posizione “on”, generando una risposta ansiosa sproporzionata o persistente anche in assenza di minacce concrete6.

La comprensione di questi meccanismi neurobiologici ha rivoluzionato l’approccio terapeutico ai disturbi d’ansia.

Tecniche come la terapia cognitivo-comportamentale mirano a rafforzare il controllo prefrontale sull’amigdala, insegnando strategie per reinterpretare le situazioni ansiogene.
Parallelamente, interventi farmacologici agiscono modulando i neurotrasmettitori coinvolti in questi circuiti, contribuendo a ristabilire l’equilibrio neurochimico alterato.

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L’ansia oltre l’umano: come i mammiferi gestiscono la paura

L’ansia oltre l’umano: anche i mammiferi ed il mondo animale gestiscono la paura.
L’ansia non è un’esclusiva umana, ma rappresenta un antico meccanismo di sopravvivenza condiviso con molte altre specie animali.
Paura e ansia giocano un ruolo centrale nella vita dei mammiferi, ma sono presenti anche negli uccelli e probabilmente in molti altri gruppi animali.
Si tratta infatti di meccanismi di protezione e difesa estremamente antichi, affinatisi attraverso milioni di anni di evoluzione per garantire la sopravvivenza in ambienti ricchi di predatori e pericoli.
Dal punto di vista evolutivo, l’importanza di questi sistemi è evidente:
un animale incapace di provare paura non sarebbe in grado di riconoscere il pericolo e finirebbe rapidamente “nei guai”, come evidenziano gli esperti.
La capacità di percepire minacce e reagire appropriatamente rappresenta quindi un vantaggio selettivo cruciale, conservato attraverso innumerevoli generazioni nella maggior parte delle specie.
Ciò che distingue l’esperienza umana dell’ansia da quella degli altri animali è principalmente il livello di astrazione.
Gli esseri umani, dotati di capacità cognitive superiori, possono provare ansia sia per minacce concrete e immediate che per pericoli più astratti o lontani nel tempo. Possiamo angosciarci per la paura della morte, per una crisi finanziaria futura o per il cambiamento climatico – concetti che richiedono un elevato grado di astrazione.
Al contrario, per animali con minori capacità di astrazione, presumiamo che solo le minacce concrete – come la presenza di predatori, individui aggressivi o esperienze dolorose – possano provocare stati ansiosi.

Un aspetto affascinante di questo fenomeno riguarda il contagio emotivo tra specie diverse.
Non solo condividiamo questi meccanismi con altri mammiferi, ma possiamo anche trasmetterci reciprocamente stati ansiosi.
Chi vive con animali domestici ha sicuramente notato come il proprio cane o gatto possa percepire e reagire all’ansia del proprietario, e viceversa.
Questa comunicazione emotiva interspecifica gioca un ruolo fondamentale nelle relazioni che stabiliamo con gli animali con cui condividiamo la nostra vita e può influenzare significativamente anche i processi di guarigione e cura.
Un esempio concreto di questo fenomeno si osserva nei rifugi per animali:
cani nervosi e ansiosi tendono a trasmettere il loro stato emotivo sia agli altri animali presenti che agli umani che interagiscono con loro.
Parallelamente, operatori calmi e centrati possono esercitare un effetto tranquillizzante sugli animali stressati.
Veterinari e comportamentalisti animali sono ben consapevoli di questa dinamica e spesso raccomandano ai proprietari di mantenere la calma durante le procedure mediche, per evitare di amplificare l’ansia dei loro animali.

Nonostante queste similitudini, esistono differenze significative nel modo in cui le diverse specie sperimentano e gestiscono l’ansia. Gli studi etologici hanno rivelato che le risposte comportamentali possono variare considerevolmente: mentre alcuni animali rispondono al pericolo con
l’immobilità (freezing),
altri optano per la fuga,
e altri ancora per l’aggressione.
Queste differenze riflettono adattamenti evoluti in risposta a pressioni ambientali specifiche e al tipo di predatori con cui ogni specie si è confrontata durante la sua storia evolutiva.

Anche a livello neurobiologico si osservano sorprendenti somiglianze tra umani e altri mammiferi. L’amigdala, struttura centrale nel circuito dell’ansia umana, svolge un ruolo analogo in molte altre specie. Studi di neuroimaging comparativo hanno mostrato attivazioni simili in questa regione cerebrale quando umani, primati non umani e altri mammiferi sono esposti a stimoli minacciosi. Queste somiglianze neuroanatomiche e funzionali suggeriscono che i meccanismi di base dell’ansia si siano conservati attraverso diversi rami dell’albero evolutivo dei vertebrati.
Un aspetto particolarmente interessante riguarda la dimensione culturale e sociale dell’ansia.
Nelle specie altamente sociali, come molti primati, i lupi o gli elefanti, i comportamenti ansiosi possono essere modulati da norme e regole sociali.
Giovani animali imparano dai membri più anziani del gruppo quali stimoli temere e come rispondere appropriatamente alle minacce. Questo apprendimento sociale delle risposte emotive rappresenta un parallelo affascinante con le dinamiche umane, dove cultura e socializzazione giocano un ruolo cruciale nella definizione di ciò che percepiamo come minaccioso.
Riconoscere queste connessioni emotive tra specie ci invita a considerare con maggiore empatia e consapevolezza il nostro rapporto con gli altri abitanti del pianeta.
L’ansia, lungi dall’essere un’esclusiva fragilità umana, emerge come un linguaggio emotivo condiviso, un ponte invisibile che collega esperienze di vita apparentemente distanti, ricordandoci la nostra profonda appartenenza alla comunità più ampia degli esseri senzienti.

Il sistema di allarme dell’ansia rappresenta uno straordinario esempio di come l’evoluzione abbia plasmato meccanismi sofisticati per garantire la nostra sopravvivenza.
Dalla neurobiologia che ne regola l’attivazione,

alle distinzioni tra forme adattive e patologiche,
fino ai paralleli con altre specie animali,
comprendere l’ansia nelle sue molteplici sfaccettature ci permette di utilizzare al meglio questo prezioso strumento evolutivo.

Quando funziona correttamente, l’ansia ci stimola a prepararci per le sfide, ci mantiene vigili di fronte ai pericoli e ci spinge a pianificare il futuro. Quando invece si inceppa, diventa essa stessa fonte di sofferenza. Riconoscere questi meccanismi ci aiuta non solo a gestire meglio le nostre risposte emotive, ma anche a sviluppare una più profonda comprensione delle dinamiche emotive che condividiamo con gli altri esseri viventi, arricchendo la nostra visione del mondo naturale e delle connessioni invisibili che ci uniscono al resto della vita sul pianeta.

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Diarrea del viaggiatore, guida alla prevenzione per turisti avventurosi. i farmaci giusti

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La Guida Essenziale alla Prevenzione e Gestione della Diarrea del Viaggiatore per Esploratori Avventurosi

 

Per il viaggiatore moderno, l’avventura non risiede solo nella scoperta di paesaggi mozzafiato o culture lontane, ma anche nella capacità di navigare le sfide sanitarie che territori esotici possono presentare. Tra queste, la **diarrea del viaggiatore** emerge come un ostacolo frequente e potenzialmente debilitante, capace di trasformare un’esperienza indimenticabile in un incubo logistico, fisico e mentale. Questo articolo approfondisce strategie pratiche per prevenire e gestire questa condizione, con un focus specifico sull’utilizzo razionale di farmaci protettivi, l’integrazione di pratiche igieniche avanzate e il ruolo innovativo della telemedicina nel supporto ai globetrotter.

L’Impatto della Diarrea del Viaggiatore sull’Esperienza di Esplorazione

Il Rischio Invisibile nelle Destinazioni Esotiche
La diarrea del viaggiatore non è un semplice inconveniente, ma una minaccia sistemica per chi si avventura in regioni con infrastrutture sanitarie fragili. Paesi come l’India, il Vietnam o il Perù, nonostante il loro fascino culturale, presentano tassi di incidenza superiori al 60% tra i visitatori internazionali, con picchi durante la stagione delle piogge o in aree rurali. Gli agenti patogeni responsabili – da *Escherichia coli* enterotossigeno (ETEC) a *Campylobacter* e *Giardia lamblia* – prosperano in ambienti con scarsa igiene idrica, trasformando fonti apparentemente innocue come il ghiaccio nelle bevande o il cibo di strada in vettori di infezione.

Fattori di Rischio Specifici per il Viaggiatore Avventuroso
L’esploratore che opta per trekking remoti, navigazione fluviale o soggiorni in eco-lodge spesso affronta condizioni estreme:
– **Approvvigionamento idrico non controllato**, con fonti dipendenti da fiumi o pozzi superficiali.
– **Carenza di refrigerazione**, che accelera la proliferazione batterica negli alimenti.
– **Esposizione a varianti microbiche non presenti nel microbiota intestinale del viaggiatore**.
Queste variabili richiedono un approccio preventivo più aggressivo rispetto al turista convenzionale, bilanciando l’uso di farmaci con adattamenti comportamentali.

 Strategie di Prevenzione Avanzata per l’Esploratore

La Triade Farmacologica Protettiva
La profilassi farmacologica rappresenta uno scudo critico per chi si spinge oltre i circuiti turistici tradizionali. Tre agenti emergono come cardini:

 1. Doxiciclina (Bassado 100 mg): L’Antibiotico Multifunzione
Agente preferito per:
**Profilassi quotidiana** (1 compressa/die) in aree ad alto rischio batterico.
**Trattamento d’urto** (2 compresse al primo sintomo), efficace su ETEC e *Vibrio cholerae*.
– **Protezione aggiuntiva** contro malaria, leptospirosi e infezioni cutanee da morso di zecca.

2. Rifaximina (Normix 200 mg): Il Disinfettante Intestinale Mirato
Sinergizza con la doxiciclina offrendo:
– **Azione topica** nel lume intestinale senza assorbimento sistemico.
– **Efficacia su ceppi resistenti** grazie al meccanismo d’azione su RNA polimerasi batterica.
– **Riduzione del rischio di disbiosi** post-terapia per il suo spettro ristretto[1].

3. Vaccino ORAVACS (Dukoral ): Immunizzazione Strategica
Il vaccino orale anticolera/ETEC fornisce:
**Protezione crociata** al 67% contro ETEC per 3 mesi.
**Riduzione della gravità** degli episodi anche quando l’infezione supera l’immunità.
**Compatibilità** con chemioprofilassi antimalarica.

Ottimizzazione dell’Igiene in Condizioni Estreme
Oltre ai farmaci, tecniche sul campo minimizzano l’esposizione:
**Purificazione idrica a 3 stadi**: Filtrazione (0.2 μm) → Clorazione (2 ppm) → Ebollizione (1’ a pieno rollio).
– **Disinfezione UV portatile** per alimenti crudi, con esposizione di 90 secondi/cm².
**Protocollo di cottura DIN 10536**: Temperatura interna ≥74°C mantenuta per 15” in carne/pesce.

Gestione Acuta: Dall’Intervento Precoce alla Crisi

L’Algoritmo del Primo Soccorso Farmacologico
Al manifestarsi di ≥3 scariche liquide/24h:
1. **Doxiciclina 200 mg** in dose singola + **Rifaximina 400 mg** ogni 8h per 72h.
2. **Soluzione reidratante WHO-ORS** (1L/die) con aggiunta di 20g di amido resistente per riparazione mucosa.
3. **Monitoraggio biomarkers**: Stick fecale per leucociti, lattoferrina e calprotectina per discriminare eziologia.

Evitare le Trappole Terapeutiche
– **Loperamide (Imodium)**: Utilizzabile solo in combinazione con antibiotici e mai oltre 48h, per il rischio di megacolon tossico.
– **Probiotici**: *Saccharomyces boulardii* CNCM I-745 riduce la durata dei sintomi del 23% se iniziato precocemente.
– **Bimixin**: Obsoleto per resistenze >80% in Asia e Africa, da evitare in protocolli moderni.

 

Il Ruolo della Telemedicina nell’Esplorazione Remota

 Consulenza Pre-Partenza Personalizzata
Piattaforme digitali consentono:
– **Analisi del rischio microbiologico** basata su destinazione, stagione e itinerario.
– **Piano vaccinale/farmacologico adattato**
– **Simulazioni di emergenza** con realtà virtuale per gestione crisi in assenza di rete.

Supporto Real-Time Durante l’Esplorazione
– **Teleconsulto con infettivologo** per aggiustamento terapeutico in base all’antibiogramma locale.
– **Mappe interattive** dei focolai attivi aggiornate in crowdsourcing dalla community medica globale.

## Oltre la Prevenzione: Verso un Nuovo Paradigma di Viaggio Sicuro

La diarrea del viaggiatore non deve rappresentare una barriera all’esplorazione, ma piuttosto un’opportunità per adottare tecnologie e protocolli innovativi. Integrando farmaci intelligenti, biosensori indossabili e telemedicina avanzata, il moderno avventuriero può trasformare la propria preparazione sanitaria in un vantaggio competitivo, esplorando confini inaccessibili con una sicurezza impensabile solo un decennio fa. La chiave risiede nell’approccio proattivo: come un esploratore studia mappe e condizioni meteo, così deve padroneggiare il microbiota del destino scelto.

Citations:

Bassado, Normix, Bimixin, Imodium: farmaci per la diarrea del viaggiatore

Diarrea del viaggiatore, guida alla prevenzione per turisti avventurosi. i farmaci giusti Leggi tutto »

INSETTI E ARTROPODI VELENOSI

INSETTI E ARTROPODI VELENOSI
CARATTERISTICHE, EFFETTI E TRATTAMENTO DELLE PUNTURE

 

Gli artropodi rappresentano il phylum più numeroso del regno animale. Sono un gruppo di invertebrati che comprende circa il 5/6% delle specie finora classificate. Ne fanno parte insetti, zecche, ragni, acari. La maggior parte degli artropodi vive tranquillamente, cibandosi di succhi vegetali e piante o predando altri piccoli animali. Alcuni di questi organismi sono però capaci di inoculare veleni potenzialmente pericolosi per la salute dell’uomo.

   GLI ARTROPODI
                             GLI ARTROPODI

Desidero fornirvi notizie sulle principali specie di insetti e altri artropodi velenosi, con particolare attenzione a quelli presenti in Italia ed Europa, esaminando sinteticamente le loro caratteristiche morfologiche e comportamentali. Seguirà la descrizione gli effetti dei loro veleni sull’organismo umano e i protocolli terapeutici più efficaci per il trattamento delle punture e delle reazioni sistemiche associate.

 

CLASSIFICAZIONE DEGLI ARTROPODI VELENOSI

 

IMENOTTERI
Gli imenotteri costituiscono uno degli ordini di insetti più rilevanti dal punto di vista sanitario per la capacità di provocare reazioni anche gravi mediante l’inoculazione di veleno.

Tra le specie più significative troviamo:

Api (Apis mellifera)

Le api mellifere sono insetti sociali di dimensioni medio-piccole (10-15 mm), caratterizzate da un corpo peloso a strisce gialle e nere. Vivono in colonie organizzate e sono diffuse in tutta Europa. Il loro apparato pungente è costituito da un aculeo uncinato che rima

APE
                               APE

ne conficcato nella cute della vittima insieme al sacco velenifero, causando la morte dell’insetto dopo la puntura. Le api pungono principalmente in primavera ed estate e lo fanno una sola volta, a differenza di altri imenotteri.
Il veleno dell’ape contiene una complessa miscela di sostanze bioattive, tra cui istamina, fosfolipasi, ialuronidasi e chinine, che possiedono azione emolitica, neurotossica e ipersensibilizzante, ed accelerano la reazione infiammatoria. La puntura provoca dolore immediato, arrossamento ed edema locale che generalmente regrediscono in poche ore, ma in soggetti sensibilizzati può scatenare reazioni allergiche anche severe fino ad arrivare allo shock allergico.

 

Vespe e Calabroni
Le vespe (Vespula spp., Polistes spp.) sono imenotteri di dimensioni variabili (12-25 mm) con caratteristica colorazione a bande gialle e nere. A differenza delle api, possiedono un pungiglione liscio che consente punture multiple senza perdere l’apparato velenifero. Le punture di vespa sono più frequenti in primavera, ma anche in estate.
I calabroni (Vespa crabro) sono i più grandi imenotteri europei, raggiungendo i 3-3,5 cm di lunghezza. Anch’essi dotati di pungiglione liscio, tendono a pungere principalmente a fine estate. Il loro veleno contiene componenti simili a quello delle vespe ma in concentrazioni maggiori, potendo causare reazioni più intense e raramente anche mortali.

 

 

 

Formiche
In Europa, le formiche del genere Formica possono provocare punture dolorose, mentre in altre regioni del mondo, come l’America, le formiche di fuoco (Solenopsis invicta) rappresentano un rischio sanitario più significativo. Il veleno delle formiche contiene alcaloidi ed enzimi capaci di provocare reazioni locali infiammatorie significative ed anche dolorose.

 

Aracnidi
Gli aracnidi velenosi comprendono principalmente ragni e scorpioni:

Ragni
In Italia, le specie di ragni potenzialmente pericolose includono:
• Malmignatta o vedova nera mediterranea (Latrodectus tredecimguttatus)
• Ragno violino (Loxosceles rufescens)
Entrambe queste specie possono provocare sintomi locali e generali e sistemici rilevanti attraverso l’inoculazione di neurotossine o citotossine.

 

 

Scorpioni
Gli scorpioni presenti in Europa e in Italia raramente causano avvelenamenti gravi, a differenza di quelli presenti in altre regioni del mondo. Il loro veleno può causare disturbi gravi e a volte mortali, specialmente nei bambini.

 

Distribuzione geografica in Italia e in Europa

 

Imenotteri
Le api (Apis mellifera) sono diffuse in tutta Europa, con varianti subspecifiche come l’ape ligustica (tipica dell’Italia centrale). Le vespe più comuni in Italia includono la Vespula germanica, la Vespula vulgaris e diverse specie di Polistes. Il calabrone europeo (Vespa crabro) è presente in tutto il continente, mentre più recentemente si è diffuso anche il calabrone asiatico (Vespa velutina).

Aracnidi
In Italia, la malmignatta è presente principalmente nelle regioni centro-meridionali e nelle isole, mentre il ragno violino è diffuso in tutto il territorio nazionale, specialmente nelle aree urbane.

 

Gli scorpioni presenti in Italia (Euscorpius spp.) sono generalmente poco pericolosi per l’uomo.

 

 

 

Composizione dei veleni e meccanismi d’azione

 

Veleno degli imenotteri
Il veleno degli insetti imenotteri (api, vespe, calabroni) contiene una complessa miscela di sostanze biologicamente attive, tra cui:
• Istamina (responsabile della reazione infiammatoria locale)
• Fosfolipasi (enzima che danneggia le membrane cellulari)
• Ialuronidasi (facilita la diffusione del veleno nei tessuti)
• Chinine e altre sostanze vasoattive
• Peptidi con proprietà neurotossiche
Queste componenti conferiscono al veleno proprietà infiammatorie, emolitiche, neurotossiche e fortemente ipersensibilizzanti. Il meccanismo d’azione principale consiste nell’attivazione di una risposta infiammatoria locale, che nei soggetti sensibilizzati può scatenare una reazione allergica sistemica mediata da IgE.

 

Effetti sull’organismo umano e rischi associati

Reazioni locali
Le reazioni locali rappresentano la risposta più comune alle punture di artropodi velenosi e si manifestano con:
• Dolore immediato e intenso
• Eritema e gonfiore nella zona interessata
• Prurito
• Formazione di edema locale
Questi fenomeni tendono generalmente a regredire rapidamente, nell’arco di poche ore o giorni.

 

Reazioni sistemiche
Le reazioni sistemiche possono manifestarsi con diversi gradi di severità e sono classificate secondo scale standardizzate come quella di Mueller o di Ring.
I sintomi possono comparire da pochi minuti fino a un’ora dopo la puntura, sebbene occasionalmente possano manifestarsi anche a distanza di ore o giorni.
Il decesso causato dalla puntura di imenotteri può verificarsi in due circostanze principali:
1. Punture multiple da parte di un gran numero di insetti (decine o centinaia)
2. Reazione anafilattica scatenata dal veleno di un singolo insetto in soggetti sensibilizzati

 

Fattori di rischio
Diversi fattori influenzano la probabilità di sviluppare reazioni severe:
• Storia di precedenti reazioni sistemiche
• Età avanzata
• Comorbidità (patologie cardiovascolari, asma, mastocitosi)
• Assunzione di farmaci (beta-bloccanti, ACE-inibitori)
• Frequenza di esposizione e tipo di insetto
È interessante notare che in alcuni pazienti con anamnesi di reazione anafilattica, sia il dosaggio delle IgE specifiche che i test cutanei possono risultare negativi. Questo fenomeno è particolarmente frequente nei pazienti affetti da mastocitosi, nei quali è ipotizzabile un meccanismo tossico di rilascio aspecifico dei mediatori dai mastociti.

Prevenzione delle punture di insetti velenosi

Le misure preventive includono:
1. Evitare abbigliamento con colori vivaci e profumi intensi in ambienti a rischio
2. Indossare abiti a maniche lunghe e pantaloni lunghi in ambienti naturali
3. Utilizzo di repellenti specifici
4. Prestare attenzione durante attività all’aperto, specialmente durante i periodi di maggiore attività degli insetti
5. Evitare di disturbare nidi e alveari
Per i soggetti allergici al veleno di imenotteri, la prevenzione più efficace è rappresentata dall’immunoterapia specifica, che può modificare la risposta immunitaria e prevenire reazioni anafilattiche in caso di nuove punture.

Una breve sintesi del trattamento delle punture di insetti velenosi

Primo soccorso
In caso di puntura di imenottero (api, vespe, calabroni), le misure di primo intervento includono:

1. Rimozione del pungiglione (se presente, come nel caso delle api) senza spremere il sacco velenifero, preferibilmente raschiando con una carta di credito o un oggetto simile
2. Lavaggio dell’area con acqua e sapone
3. Applicazione di ghiaccio per ridurre il dolore e limitare l’assorbimento del veleno
4. Disinfezione locale della zona colpita
5. Intervento farmacologico idoneo (clicca qui per gli interventi terapeutici)

Per le punture di api, vespe, calabroni e altri artropodi velenosi è disponibile anche un dispositivo di stimolazione elettrica denominato Ecosave, che emette scariche ad elevato voltaggio e basso amperaggio. Questo strumento, se applicato rapidamente, può contribuire a ridurre i sintomi locali come dolore, bruciore, arrossamento e gonfiore, così come le conseguenze del veleno introdotto sotto cute.
La procedura prevede l’applicazione di un elettrodo sulla puntura e, facendo perno su di essa, l’erogazione in senso circolare di 3-7 scariche o più, secondo necessità. Prima dell’utilizzo è necessario asportare eventuali pungiglioni, aculei o spine rimasti conficcati nella cute.

Trattamento farmacologico delle reazioni locali CLICCA QUI

Il trattamento delle reazioni locali si basa su:
• Antistaminici per via orale per ridurre il prurito
• Corticosteroidi topici per ridurre l’infiammazione
• Analgesici (paracetamolo, FANS) per il controllo del dolore

Gestione delle reazioni allergiche severe e dello shock anafilattico
In caso di reazione allergica severa o shock anafilattico, il trattamento deve essere immediato e comprende:
1. Somministrazione di adrenalina (epinefrina) intramuscolare, farmaco di prima scelta che può essere salvavita
2. Ossigenoterapia
3. Fluidoterapia endovenosa per contrastare l’ipotensione
4. Antistaminici (anti-H1) per via parenterale
5. Corticosteroidi per via endovenosa (metilprednisolone)
6. Beta-agonisti per via inalatoria in caso di broncospasmo

I pazienti con storia di reazioni anafilattiche dovrebbero essere dotati di un autoiniettore di adrenalina da utilizzare tempestivamente in caso di nuova puntura, in attesa di soccorsi medici.

Conclusioni
Le punture di insetti e artropodi velenosi rappresentano un problema sanitario rilevante, specialmente per i soggetti allergici nei quali anche una singola puntura può determinare reazioni potenzialmente letali. La conoscenza delle specie più pericolose, il riconoscimento tempestivo delle reazioni sistemiche e l’applicazione rapida delle appropriate misure terapeutiche sono fondamentali per la gestione efficace di questi eventi.
Per i soggetti con storia di reazioni allergiche, l’immunoterapia specifica rappresenta attualmente l’unico trattamento in grado di modificare la storia naturale della malattia, riducendo significativamente il rischio di reazioni anafilattiche in caso di nuove punture.
dr. Paolo Meo
direttore POLO VIAGGI la clinica del viaggiatore

 

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Ospedale Al Rajaa di Aleppo un baluardo di “SPERANZA”

il prof KETTI nel suo ospedale
                 Il prof KETTI nel suo ospedale

Marzo 2025
L’ospedale Al Rajaa di Aleppo, il cui nome significa “Speranza”, rappresenta una delle poche strutture sanitarie ancora funzionanti in una città devastata da anni di conflitto. Fondato nel 2003 dal chirurgo ortopedico Emile Katti in collaborazione con Monsignor Giuseppe Nazzaro, questo ospedale è diventato un simbolo di resilienza e un esempio di coesistenza pacifica in un paese lacerato dalle divisioni settarie.
La struttura, di proprietà della Custodia di Terra Santa, è uno dei più grandi ospedali privati di Aleppo con 65 posti letto e uno dei pochi ancora pienamente funzionanti nel nord della Siria. Il Professor Katti, che dirige l’ospedale da oltre vent’anni, ha scelto di rimanere ad Aleppo nonostante il suo passaporto francese e le qualifiche professionali gli avrebbero permesso di trasferirsi all’estero. La sua decisione testimonia un profondo impegno nei confronti della popolazione siriana. Nel corso degli anni, il Dottor Katti è diventato una voce autorevole per la situazione sanitaria in Siria, partecipando a convegni internazionali per testimoniare le difficoltà affrontate dai medici siriani.
Uno degli aspetti più significativi dell’ospedale è la composizione del suo staff, che riflette la diversità etnica e religiosa della Siria. L’équipe medica include professionisti di diverse confessioni: cristiani cattolici, maroniti, musulmani sciiti, sunniti e alawiti. Anche dal punto di vista etnico, l’ospedale accoglie personale di diverse origini, tra cui curdi e armeni. Questa coesistenza pacifica ha fatto dell’ospedale quello che il Dottor Katti ha definito “un ottimo laboratorio di convivenza” prima della guerra. Anche durante il conflitto, l’ospedale ha mantenuto questa filosofia inclusiva, offrendo cure a tutti i pazienti senza discriminazioni, come sottolineato dallo stesso Katti: “Non chiediamo mai se sono civili o militari, cristiani o musulmani”.
Durante gli ultimi quattordici anni di conflitto, l’ospedale ha dovuto affrontare sfide enormi. Tra le principali difficoltà vi è stata la carenza di personale medico specializzato, poiché molti professionisti hanno lasciato il paese. Il Dottor Katti ha spiegato che ad Aleppo, che nel 2005 contava 2 milioni di abitanti, erano rimasti solo due o tre neurochirurghi, con altre specializzazioni in condizioni simili.
L’ospedale ha anche sofferto di gravi problemi infrastrutturali. La mancanza di elettricità ha costretto a fare affidamento su generatori a gasolio, che spesso si guastavano o esplodevano perché non progettati per un uso continuativo. La carenza di acqua, bloccata in alcuni periodi dall’ISIS, ha ulteriormente complicato le operazioni. I macchinari si danneggiavano frequentemente a causa degli improvvisi blackout, e la loro riparazione era difficile per la fuga degli ingegneri biomedici.
L’embargo internazionale ha rappresentato un altro ostacolo significativo. Il Dottor Katti ha denunciato come le sanzioni occidentali abbiano reso quasi impossibile ricevere fondi dall’Europa o acquistare nuove attrezzature mediche. Nonostante queste difficoltà, Al Rajaa è riuscito a continuare la sua attività, offrendo cure a circa 800-1000 persone al mese nel 2014, numero salito a oltre 1000 pazienti mensili negli anni successivi.
L’ospedale ha beneficiato del sostegno di diverse organizzazioni umanitarie e religiose internazionali. L’Associazione Pro Terra Sancta ha fornito regolarmente aiuti umanitari, tra cui generi alimentari, beni di consumo e medicinali essenziali. La Fondazione Cesmet ed il gruppo India ha sostenuto l’ospedale attraverso campagne di raccolta fondi, mentre Radio Vaticana ha contribuito a dare visibilità internazionale alla situazione. Nel 2025, Caritas Ambrosiana ha stanziato fondi per garantire l’autonomia energetica dell’ospedale attraverso l’installazione di un impianto fotovoltaico, cercando di risolvere uno dei problemi più persistenti: la mancanza di elettricità affidabile.
Negli ultimi mesi, la situazione ad Aleppo è drammaticamente peggiorata.
A fine novembre 2024, la città è caduta nuovamente in mano ai ribelli del gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham, dopo essere stata sotto il controllo governativo dal 2016. Questo cambio ha generato nuove tensioni e violenze, con conseguenze dirette sulla popolazione civile e sulle infrastrutture sanitarie. Il parroco latino di Aleppo, Padre Bahjat Elia Karakach, ha recentemente descritto la città come “sull’orlo di una guerra civile”, con un clima di grande tensione che si respira in tutta la Siria.
In questo contesto estremamente volatile, l’ospedale Al Rajaa continua a rappresentare uno dei pochi punti di riferimento sanitari per la popolazione locale. Nonostante le notizie recenti non forniscano dettagli specifici sulle condizioni attuali dell’ospedale, gli sforzi continuativi delle organizzazioni internazionali per sostenerlo suggeriscono che continui a operare, pur tra mille difficoltà. L’impegno di Caritas Ambrosiana per l’installazione di un impianto fotovoltaico nel 2025 indica che ci sono progetti attivi per migliorare la funzionalità dell’ospedale anche in questa fase critica.
L’ospedale Al Rajaa rappresenta molto più di una semplice struttura sanitaria. In un paese devastato da anni di conflitto, divisioni settarie e crisi umanitarie, è diventato un simbolo di speranza e resilienza.

Grazie alla dedizione del Professor Emile Katti e del suo staff multietnico e multireligioso, Al Rajaa continua a offrire assistenza medica vitale alla popolazione di Aleppo, indipendentemente dalle loro affiliazioni religiose o politiche, rimanendo un faro di speranza per migliaia di siriani in un periodo di profonda incertezza.

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In Siria la città di Aleppo vive una crisi umanitaria senza precedenti

Marzo 2025 da Aleppo, la storica città siriana, patrimonio dell’UNESCO, giungono notizie drammatiche. La città sta vivendo una grave crisi umanitaria dalla fine di novembre 2024, quando gruppi ribelli islamisti guidati da Hayat Tahrir al-Sham (HTS) hanno lanciato un’offensiva lampo conquistandola. La popolazione è intrappolata in una città sotto assedio, dove i servizi essenziali sono collassati e la violenza continua a imperversare.

 

Solo due ospedali rimangono operativi, mentre il rumore delle mitragliatrici risuona nel centro città.
L’offensiva ribelle ha violato un cessate il fuoco che durava da cinque anni. I gruppi jihadisti, sostenuti dalla Turchia, hanno preso rapidamente il controllo di punti strategici, annunciando di aver conquistato il quartier generale della polizia e l’edificio del governatorato. Le milizie hanno occupato numerosi     quartieri occidentali della città e circa 60 villaggi nel nord-ovest della Siria. L’aviazione russa ha cercato di fermare l’avanzata bombardando i ribelli, dichiarando di aver eliminato circa 200 combattenti, senza riuscire a impedire la caduta della città. L’offensiva ha provocato oltre 300 morti nei primi giorni dell’attacco.
La crisi umanitaria si aggrava giorno dopo giorno. Un attacco jihadista recente ha causato più di 200 morti tra civili e militari. Le forze armate sono a soli 10 chilometri dal centro città. I servizi di base sono paralizzati: la popolazione vive senza elettricità, acqua e cibo sufficiente. I luoghi di lavoro sono deserti e la chiusura dell’autostrada strategica tra Aleppo e Damasco ha ulteriormente complicato l’arrivo di soccorsi.
Circa 25.000 cristiani e migliaia di altre persone sono rimaste intrappolate in città. Come riferisce Marielle Boutros di ACS Internazionale, “la gente è in trappola, nessuno può entrare o uscire dalla città”. Il cibo scarseggia, i prezzi sono saliti alle stelle e si rischia il collasso energetico

Il sistema sanitario è al collasso.

OSPEDALE AL RAJAA
                    OSPEDALE AL RAJAA

Solo due ospedali rimangono operativi per i casi critici, lottando per mantenere i servizi di emergenza in un contesto sempre più precario.  Mancano medicine e attrezzature essenziali, mentre il personale medico opera in condizioni estremamente difficili. Organizzazioni umanitarie come Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) e AVSI hanno lanciato campagne di emergenza, ma queste iniziative non bastano a coprire l’enorme divario tra i bisogni della popolazione e i servizi disponibili.

La vita quotidiana è una lotta per la sopravvivenza. Le scuole non sono operative, le banche hanno smesso di funzionare e il coprifuoco limita la mobilità delle persone. Le famiglie lottano per procurarsi cibo e beni di prima necessità, mentre l’inflazione rende i prezzi inaccessibili. La situazione è particolarmente difficile per bambini, anziani e persone con disabilità. L’impatto psicologico del conflitto prolungato è devastante, con traumi diffusi tra la popolazione.
Nonostante il contesto difficile, diverse organizzazioni umanitarie continuano a operare. ACS ha avviato quattro progetti: “Una Goccia di Latte” per l’alimentazione dei bambini, assistenza agli ospedali, aiuti agli sfollati e soluzioni energetiche alternative. AVSI fornisce supporto psicosociale, assistenza in denaro mensile e inclusione sociale per le persone disabili.
Le sfide future sono immense. La ricostruzione della città richiederà un impegno massiccio e coordinato a livello internazionale. L’instabilità politica della Siria, il recente cambio di regime e le tensioni settarie complicano gli sforzi di stabilizzazione. Aleppo si trova intrappolata tra le rovine di un conflitto che sembra non avere fine, mentre la popolazione lotta quotidianamente per sopravvivere in condizioni estremamente difficili.

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Siria un periodo critico verso un futuro incerto

SIRIA 10 marzo 2025. Un paese sempre più violento.

La Siria sta attraversando un periodo critico dalla caduta del regime di Bashar al-Assad avvenuta a dicembre 2024. Negli ultimi giorni il paese è stato teatro di violenti scontri settari tra le forze governative e i lealisti dell’ex presidente, con un bilancio di oltre mille morti, principalmente civili alawiti. Le violenze sono concentrate nelle province costiere di Latakia e Tartus, roccaforti storiche del sostegno ad Assad.
Gli scontri sono iniziati il 6 marzo 2025, quando un’imboscata contro una pattuglia governativa nei pressi di Jableh ha innescato una spirale di violenza. L’Osservatorio siriano per i diritti umani riporta almeno 745 civili alawiti uccisi “a sangue freddo” in quello che viene descritto come un “massacro settario”. Le nuove autorità hanno inviato rinforzi nelle città di Latakia e Tartus, imponendo il coprifuoco. La periferia delle città di Baniyas e Jableh, così come Qardaha, città natale dell’ex presidente, e diversi villaggi alawiti rimangono sotto il controllo dei lealisti di al-Assad.
La transizione politica è iniziata dopo la caduta di Assad l’8 dicembre 2024, quando gruppi di insorti guidati dall’islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS) hanno rovesciato il governo. Il 29 gennaio 2025, Ahmad al-Sharaa, precedentemente noto come Abu Mohammad al-Jolani e leader di HTS, è stato nominato presidente ad interim. Tra i primi provvedimenti: scioglimento del vecchio parlamento, sospensione della costituzione del 2012, scioglimento del partito Baath e smantellamento dell’esercito e delle agenzie di sicurezza del vecchio regime.
Il presidente ad interim al-Sharaa ha delineato come priorità la ricostruzione delle istituzioni, il mantenimento della pace, il rilancio dell’economia e il ripristino del ruolo internazionale della Siria. Il 25 febbraio 2025 si è tenuta una conferenza per il dialogo nazionale, formulando 18 raccomandazioni sulla transizione.
Al-Sharaa sta affrontando enormi sfide per stabilizzare il paese. Dopo i recenti scontri, ha invitato alla concordia: “Possiamo vivere insieme. Quello che sta succedendo nel Paese è fra le sfide che erano prevedibili, ma dobbiamo preservare l’unità nazionale”. La presidenza siriana ha annunciato la creazione di una “commissione d’inchiesta” indipendente per indagare sui massacri di civili. Al-Sharaa ha sviluppato una strategia di riabilitazione, con gesti come il restyling da civile e dichiarazioni inclusive in favore delle minoranze. Tuttavia, ha dichiarato che potrebbero essere necessari fino a quattro anni prima delle elezioni.
La situazione umanitaria è disastrosa: 16,7 milioni di persone necessitano di assistenza, quasi due terzi della popolazione totale. Tra queste, i minori rappresentano il 45%. Più di un milione di persone sono fuggite dalle proprie case negli ultimi mesi. Nel corso degli anni ci sono stati più di 7,2 milioni di sfollati interni e oltre 5 milioni di rifugiati nei Paesi vicini. Il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.
A livello internazionale, l’Iran ha perso un importante alleato, mentre Qatar e Arabia Saudita sostengono la nuova amministrazione. La Turchia ha assunto un ruolo significativo, con al-Sharaa invitato ad Ankara dal presidente Erdogan. L’Unione Europea ha mostrato cauto ottimismo, dicendosi pronta a sostenere il processo di transizione e ricostruzione.
La Siria si trova a un punto di svolta cruciale. La caduta di Assad ha aperto la possibilità di una transizione più democratica, ma le violenze settarie dimostrano la fragilità dell’equilibrio attuale. La strada verso la stabilità è irta di ostacoli, e il popolo siriano, stremato da quasi 14 anni di conflitto, attende finalmente la pace.

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