Cartografia – ZIKA VIRUS
CLASSIFICAZIONE DEL RISCHIO GEOGRAFICO PER L’INFEZIONE DA ZIKA VIRUS (CDC 2025)
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Febbre Tifoide
VACCINO ORALE VIVO ED ATTENUATO:
Composizione:
E’ costituito dal ceppo di S. typhi Ty 21a liofilizzato, mescolato ad eccipienti vari e rinchiuso in capsule ciascuna delle quali contiene almeno 1000 milioni di batteri vivi. Il ceppo Ty 21a è un mutante stabile di S. typhi ottenuto in laboratorio e privo o con difetto di alcuni enzimi. Tale vaccino permette di ottenere una ottima risposta locale (IgA secretorie) ed una modesta immunità umorale.
Indicazioni:
Limite minimo di età per la somministrazione: 6 anni.
Consigliata in occasione di viaggi in tutti i paesi tropicali. Sono considerate aree a maggior rischio i paesi del Nord Africa, il Perù e il sub-continente indiano.
Efficacia:
67% Efficacia dopo: 10 giorni.
Durata:
5 anni.
Modalità di somministrazione:
il vaccino orale vivo ed attenuato va somministrato nel corso di una settimana: un totale di quattro capsule vengono a giorni alterni, con acqua o liquidi non caldi, un’ora prima dei pasti.
Effetti collaterali:
raramente febbre e disturbi gastrointestinali quale dolore addominale, nausea, vomito (ma non diarrea); orticaria o rash.>
Controindicazioni:
– Soggetti immunocompromessi
– Contemporanea assunzione di sulfonamidi o altri antibiotici: il vaccino orale può essere somministrato a distanza minima di 24 ore dalla somministrazione di antibiotici. La meflochina può inibire in vitro la crescita del ceppo Ty21a; se tale antimalarico viene somministrato, è opportuno ritardare l’assunzione del vaccino di 24 ore. L’assunzione di clorochina non interferisce con l’immunogenicità del vaccino.
Calendario:
non è una vaccinazione obbligatoria nell’infanzia.
In Italia l’obbligatorietà della vaccinazione antitifica paratifica è stata esclusa per legge, sebbene nel sud, e specialmente in Puglia, Campania e Sicilia l’andamento epidemiologico della febbre tifoide presenti “picchi” con conseguente superamento del tasso d’incidenza annuo di 5/100.000 abitanti. Tale superamento, corrispondente al limite di “riconosciuta necessità” previsto dal co.3 art. 93 della L.388/2000. giustifica, secondo le disposizioni dell’OMS e del Consiglio Superiore di Sanità, l’adozione della profilassi vaccinale. Pertanto in caso di superamento del tasso d’incidenza su base annuale di 5/100.000 (n° di casi per n° di abitanti) o di 8/100.000 (n° di casi per n° di abitanti) su base semestrale, la A.S.L. valuterà la necessità di proporre la immuno profilassi antitifica agli alimentaristi (Gelatieri; Pasticcieri; Addetti rosticcerie, pastifici, bar con tavola calda o fredda; Lavoratori presso stabilimenti di prodotti d’uovo, gastronomici; Addetti lavorazione carni -macelli, salumifici, macellerie con annesso laboratorio- e pesce; Addetti lavorazione pane e prodotti da forno; Allievi e personale scuola alberghiera). La vaccinazione è dunque consigliata in Italia per tutti coloro che manipolano il cibo e per le categorie di lavoratori a rischio come gli addetti alla raccolta rifiuti solidi, il personale sanitario ed altre categorie a rischio.
INIETTABILE – VACCINO POLISACCARIDICO
Composizione:
Polisaccaride capsulare purificato Vi di Salmonella Typhi. Il polisaccaride Vi viene estratto dal ceppo di Salmonella typhi Ty2, inattivato con calore e purificato. Eccipienti: Fenolo, soluzione tamponata isotonica.
Efficacia:
55-74% Efficacia dopo: 10 giorni
Durata:
almeno 3 anni.
Indicazioni:
Limite di età per la somministrazione: 2 anni
Il vaccino protegge contro la febbre tifoide causata da Salmonella typhi; non viene conferita protezione contro malattie causate da Salmonella paratyphi e da altre salmonelle non tifoidi.
Consigliata in occasione di viaggi in paesi a rischio. (vedi Indicazioni Viaggiatori Internazionali)
Modalità di somministrazione:
1 fiala da 0,5 ml per via intramuscolare deltoidea dai 2 anni di età. Il vaccino deve essere somministrato preferibilmente due settimane prima del rischio di esposizione alla febbre tifoide. Richiamo ogni due anni.
Effetti collaterali:
– Dolore locale ed infiltrazione nel 10-20% dei casi
– Reazioni generalizzate quali febbre, cefalea, malessere e nausea, in meno del 5% dei casi
Controindicazioni:
– L’ipersensibilità accertata verso i componenti del vaccino.
VIAGGIATORI INTERNAZIONALI
La Febbre Tifoide è diffusa ubiquitariamente nel mondo ed in misura minore nei Paesi altamente Industrializzati (Stati Uniti, Canada, Europa Occidentale, Australia, Giappone). Negli ultimi 10 anni le aree maggiormente a rischio sono state l’Asia, l’Africa, e l’America Latina. Sono considerati specialmente a rischio i paesi del Nord Africa, il Perù e il sub-continente indiano. E’ una vaccinazione raccomandata a tutti i viaggiatori che si recano in paesi tropicali e subtropicali. E’ inoltre consigliata a coloro che si recano in paesi del bacino del mediterraneo e dell’Est Europa. Numerosi studi internazionali, eseguiti in diversi paesi dell’area tropicale, hanno individuato le forme capsulate, e quindi portatrici dell’antigene Vi, prevalenti rispetto alle forme non Vi (oltre il 70%). Per questo motivo il vaccino iniettivo (polisaccaride Vi), nelle zone sopradescritte, ha una protezione maggiore.
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Malattia della Rabbia
La rabbia è probabilmente la più antica malattia di cui si ha notizia. La parola “rabbia” deriva dal sanscrito “rabbahs”, che significa “fare violenza”. Risale al trentesimo secolo avanti Cristo, quando in India il dio della Morte era dipinto sempre accompagnato da un cane, emissario, appunto, del trapasso.
La rabbia è una malattia virale a carattere zoonosico. Provoca un’encefalite negli animali, domestici e selvatici. Si trasmette attraverso il contatto diretto con la saliva di animali infetti (morsi, ferite, graffi, soluzioni di continuo della cute o contatto con mucose anche integre). Una volta che i sintomi si sviluppano, la malattia è sempre letale per l’uomo e per gli animali. Nella situazione epidemiologica attuale non determina danni al settore agro-zootecnico nazionale, ponendo esclusivamente gravi rischi di sanità pubblica.
Il virus della rabbia è un virus ad RNA a singola elica che appartiene alla famiglia dei rhabdovirus. All’interno di questa famiglia è compreso il genere Lyssavirus, che include il gruppo degli agenti che causano la rabbia negli animali e negli esseri umani. Virus rabici isolati da diverse specie animali e da diverse zone possiedono differenti proprietà biologiche e antigieniche che possono rendere conto di differenze nella virulenza tra i diversi ceppi isolati. Il virus presenta, inoltre, un particolare tropismo per le fibre muscolari e le cellule nervose, cosa che spiega il particolare decorso della malattia. Esistono diversi genotipi di virus della rabbia con specifici reservoir.
Il morso di animali infetti rappresenta la principale modalità di esposizione alla rabbia; occasionalmente può verificarsi una contaminazione aerea, attraverso aerosol infetti, una contaminazione digestiva o una contaminazione da trapianti di organi infetti. La trasmissione aerea del virus è limitata a situazioni molto particolari, di elevata concentrazione di virus in aerosol, come potrebbe verificarsi in laboratorio o in grotte con popolazioni di pipistrelli infetti.
Rari casi di infezione nell’uomo per via alimentare sono stati segnalati recentemente nel Sud Est Asiatico.
La rabbia esiste in due forme epidemiologiche: la rabbia urbana, diffusa principalmente dal cane e dal gatto domestici non immunizzati, e la rabbia silvestre, propagata da volpi, tassi, faine, martore, donnole, moffette, manguste, procioni, lupi e pipistrelli. L’infezione negli animali domestici è in genere espressione di una saturazione del serbatoio di infezione selvatico; l’infezione nell’uomo tende, quindi, a verificarsi in zone dove la rabbia è enzootica o epizootica, dove la gran parte degli animali domestici non è immunizzata e dove è comune il contato con l’uomo. Il ciclo urbano è presente prevalentemente in Africa, Asia e Sud America, dove la presenza di animali randagi è molto elevata.
Il ciclo silvestre è predominante in Europa e in Nord America. L’epidemiologia di questo ciclo è piuttosto complessa: vanno tenuti in considerazione il genotipo virale, il comportamento e l’ecologia delle specie ospiti e i fattori ambientali. Nello stesso ecosistema una o più specie possono essere coinvolte nell’epidemiologia della malattia.
Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale di sanità (Oms) la rabbia è ampiamente diffusa in tutto il globo. Ogni anno, a causa di questa malattia, muoiono più di 55 mila persone. Di questi decessi, il 95% si registra in Asia e Africa. Il 99% dei casi di rabbia nell’uomo dipendono da rabbia canina e circa il 30-60% delle vittime di morsi di cane sono bambini minori di 15 anni. Inoltre, oltre 10 milioni di persone ogni anno vengono sottoposte a trattamento post-esposizione a seguito di contatto a rischio con ad animali sospetti rabidi.
Negli ultimi anni, la rabbia dei pipistrelli è emersa come uno dei principali problemi di salute pubblica nelle Americhe e in Europa. Per la prima volta nel 2003 in Sud America sono morte più persone per rabbia da animali selvatici (in particolare pipistrelli) che da cani. Il peso economico della rabbia nei Paesi in via di sviluppo è molto pesante.
Negli Stati Uniti, nel 2008, 49 Stati, il Distretto di Columbia e Porto Rico hanno testato oltre 121 mila animali e riportato ai Cdc più di 6800 casi di rabbia tra gli animali e 2 casi nell’uomo. Il totale dei casi riferiti è sceso di circa il 3,1% rispetto al 2007. Il 93% dei casi registrati nel 2008 riguarda animali selvatici e il 7% animali domestici. Il numero dei decessi tra gli uomini è di circa 2-3 all’anno.
In Europa, nonostante zone molto estese abbiano ottenuto lo status di libere da rabbia, la vaccinazione degli animali da compagnia rimane una fase importante della prevenzione.
La rabbia in Europa è prevalentemente rabbia silvestre: alle specie selvatiche è attribuito l’80% di tutti i casi di rabbia. Di questi, più dell’80% è legato a volpi rosse (Vulpes vulpes), appartenenti alla famiglia dei Canidae. La vaccinazione orale delle volpi, sviluppata ormai quasi 25 anni fa, ha offerto una nuova prospettiva per il controllo della rabbia tra le specie selvatiche. Questo metodo, è stato provato come l’unico modo efficace per eliminare la rabbia tra le volpi e tra altre specie terrestri: se si elimina la rabbia tra le volpi scompare anche tra gli altri animali domestici.
I risultati ottenuti con questo metodo sono significativi, il numero annuale di casi di rabbia è sceso da 21 mila nel 1990 a 5400 nel 2004. Nella maggior parte delle zone dell’Europa occidentale e centrale la rabbia è stata eradicata e il controllo è stato di successo. A oggi, molti Paesi sono considerati liberi da rabbia. In Francia nel 2004 e nel 2008 si sono verificati due casi di rabbia, diagnosticati entrambi in cani importati dal Marocco. Nel 2004 in Germania sono stati segnalati tre casi di rabbia post-trapianto su sei pazienti che avevano ricevuto organi dalla stessa donatrice.
Dal 1997 e fino all’ottobre 2008, l’Italia è stata considerata libera da rabbia (rabies free). Successivamente, secondo i dati dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (IZSVe), dal 2008 a febbraio 2010, sono stati diagnosticati centinaia di casi di rabbia in animali in Friuli-Venezia Giulia, in Veneto e nella Provincia Autonoma di Trento. I casi di rabbia diagnosticati sono da mettere in stretta correlazione con la situazione epidemiologica della rabbia silvestre nella vicina Slovenia.
Nel corso del 2009 e inizio 2010 l’epidemia si è diffusa in direzione Sud-Ovest, comprendendo il Friuli Venezia Giulia, il Veneto in particolare la provincia di Belluno, fino ai casi più recenti riscontrati nella provincia di autonoma di Trento.
La prevalenza dei casi ha interessato gli animali selvatici, per lo più le volpi, che rappresentano il principale serbatoio della malattia, ed alcuni caprioli e tassi. Sono stati riscontrati positivi anche animali domestici tra cui cani, gatti, un cavallo ed un asino.
Le autorità veterinarie nazionali e locali hanno messo in atto tutte le misure sanitarie necessarie al controllo della diffusione della malattia. Grazie a questi interventi, la malattia è ritenuta sotto controllo e al momento si assiste ad una riduzione dei casi accertati: infatti si è passati dalle 49 positività al virus registrate nelle volpi nel mese di gennaio 2010, ai 9 casi dell’ultimo mese (Giugno 2010).

La trasmissione del virus della rabbia agli esseri umani di solito è dovuta al morso di un animale infetto, ma può avvenire anche tramite contatto diretto delle membrane mucose o di ferite dell’epidermide con materiale infetto (ad es. saliva, tessuti neurali, fluido cerebrospinale). La replicazione virale comincia all’interno delle fibrocellule muscolari striate prossime al punto di inoculazione. Il virus si diffonde poi in direzione centripeta lungo il nervo sino al sistema nervoso centrale in cui si moltiplica; quindi prosegue attraverso i nervi efferenti verso le ghiandole salivari e compare nella saliva. L’autopsia (post-mortem) mostra un intasamento vasale con emorragie puntiformi nelle meningi e nel cervello; l’esame microscopico mostra raccolte perivascolari di linfociti con distruzione minima delle cellule nervose. Corpi inclusi intracitoplasmatici (corpi di Negri), solitamente nel corno di Ammone, sono patognomonici della rabbia, anche se non sono sempre presenti.
Il periodo di incubazione della rabbia è assai variabile, oscillando da 7 giorni a più di un anno (in media 1-2 mesi). La latenza sembra dipendere dalla carica infettante, dall’estensione dell’interessamento tissutale in sede di inoculo, dai meccanismi di difesa dell’ospite e dalla distanza che il virus deve coprire dalla sede di inoculazione al sistema nervoso centrale. I tassi di infezione e la mortalità sono elevati a seguito di morsi sul capo o sul tronco, minori in occasione di morsi sugli arti inferiori.
Le manifestazioni cliniche della rabbia (forma furiosa, 75% dei casi) configurano 4 stadi:
1.una sindrome prodromica aspecifica: dura circa da 1 a 4 giorni ed è caratterizzata da febbre, cefalea, malessere, mialgie, astenia ingravescente, anoressia, nausea e vomito, mal di gola e tosse non produttiva; un sintomo fortemente suggestivo, presente nel 50-80% dei pazienti, è rappresentato dalla comparsa di parestesie e/o fascicolazioni nella sede dell’inoculo;
2. una fase encefalitica acuta, generalmente preceduta da periodi di iperattività motoria, ipereccitabilità e agitazione; rapidamente compaiono confusione, allucinazioni, aggressività, bizzarre aberrazioni del pensiero, spasmi muscolari, meningismo, convulsioni e paralisi distrettuali; i periodi di alterazione mentale si alternano a periodi di perfetta lucidità, ma con il procedere della malattia questi ultimi si fanno più rari finchè il paziente cade in coma; molto comune è l’iperestesia con eccessiva sensibilità alla luce intensa, ai rumori forti, al tocco e talvolta anche allo sfioramento. La temperatura corporea può raggiungere i 40°C; comune è la paralisi delle corde vocali;
3. una fase encefalitica di tipo rabico da profonda alterazione dei centri del tronco encefalico: l’interessamento dei nervi cranici causa diplopia, paralisi facciali, neurite ottica e la caratteristica difficoltà alla deglutizione; questa, associata all’eccessiva salivazione, dà luogo al tipico quadro di “bava alla bocca”; nel 50% dei casi compare idrofobia, ovvero una dolorosa, violenta contrazione involontaria del diaframma e dei muscoli respiratori accessori, faringei e laringei, scatenata dall’ingestione di liquidi; il paziente diventa comatoso e l’interessamento dei centri respiratori determina una morte per apnea.
4. morte, o in rari casi, guarigione: in assenza di una terapia rianimatoria, la sopravvivenza media dall’esordio dei sintomi è di quattro giorni. La guarigione è eccezionale e quando si verifica è graduale.
La forma paralitica (25% dei casi) è caratterizzata da una paralisi ascendente del tipo sindrome di Landry/Guillain-Barrè (rabbia muta, rabbia tranquilla); si osserva più frequentemente in coloro che sono stati morsicati da pipistrelli o in coloro che hanno ricevuto una profilassi post-esposizione; si manifesta, inoltre, nel sud-est asiatico in soggetti morsicati da cani.
In generale, la letteratura scientifica disponibile è concorde nell’affermare che il controllo della rabbia si identifica nella rigorosa attuazione degli interventi codificati da norme di polizia veterinaria, specificamente mirati alla protezione dell’uomo nei confronti della malattia.
La prevenzione nei confronti della rabbia si basa sulla vaccinazione preventiva degli animali domestici, sulla lotta al randagismo e su altri provvedimenti finalizzati a impedire contatti a rischio con le popolazioni selvatiche.
Per quanto riguarda la prevenzione della rabbia negli animali è importante :
la vaccinazione antirabbica (obbligatoria o volontaria a seconda del dato epidemiologico) degli animali domestici, la lotta al randagismo e l’attuazione di provvedimenti coercitivi (cattura ed eventuale abbattimento) al fine di realizzare, attorno all’uomo, un anello di protezione costituito da animali domestici non recettivi e, quindi, incapaci di trasmettere l’infezione (prevenzione del ciclo urbano della malattia);
la vaccinazione orale dei carnivori selvatici, volpi in particolare, introdotta da più di un decennio in alcuni paesi europei.
A seguito di tale misura è stato osservato un significativo decremento dell’incidenza della malattia, rilevato attraverso piani di sorveglianza sul serbatoio selvatico (prevenzione e controllo del ciclo silvestre della malattia).
Nell’uomo, la prevenzione della malattia si basa sulla vaccinazione preventiva per chi svolge attività professionale “a rischio specifico” (veterinari, guardie forestali, cinovigili, guardie venatorie ecc.), sulla vaccinazione pre-contagio e sul trattamento vaccinale post-esposizione che sarà considerato di volta in volta in funzione della tipologia di esposizione verificatasi.
Le linee guida Oms individuano tre tipologie di esposizione:
– contatto di una superficie cutanea intatta con animali, con le loro mucose o con il loro cibo (se la ricostruzione dei fatti è attendibile, non c’è esposizione e quindi non è necessaria una profilassi);
– graffi minori o abrasioni senza sangue o leccate di animali su pelle tagliata e piccoli morsi su pelle abrasa (si consiglia sola la vaccinazione), morsi singoli o multipli transdermici, graffi o contaminazione della membrana della mucosa con saliva o contatti sospetti con pipistrelli (in questo caso si devono somministrare sia le immunoglobuline, che il vaccino).
Le cure post-esposizione per prevenire la rabbia includono la pulizia e la disinfezione della ferita o dei punti di contatto e la somministrazione precoce della vaccinazione (se necessaria), senza aspettare i risultati dei test diagnostici di laboratorio e, comunque, senza ritardi per l’osservazione dell’animale sospetto. Per quanto riguarda le immunoglobuline, non ci sono limiti di tempo alla somministrazione. La maggior parte delle immunoglobuline deve essere somministrata in profondità nella ferita, mentre la parte restante, se avanza, dovrebbe essere iniettata in un altro sito muscolare aggiuntivo lontano dalla ferita. L’Oms raccomanda, infine, l’osservazione dell’animale sospetto per 10 giorni, perché i primi sintomi nei cani e nei gatti non sono molto specifici. Francia, Spagna e Inghilterra raccomandano 14 giorni di osservazione.
All’insorgenza dei sintomi neurologici la rabbia non è curabile.
La diagnosi clinica della rabbia non è affidabile. La diagnosi definitiva può essere fatta solo con l’esame di laboratorio. La diagnosi post-mortem è effettuata sul SNC e comprende come test di elezione l’immunofluorescenza diretta (FAT) e l’isolamento del virus in coltura cellulare (RTCIT). La RT-PCR e le altre tecniche di amplificazione sono di solito utilizzate come test di conferma.
La diagnosi intra-vitam è utilizzata spesso nell’uomo a partire da saliva, urina, liquido cefalorachidiano e biopsia cutanea effettuata sulla nuca e prevede tecniche di FAT, RTCIT e RT-PCR. L’ulteriore caratterizzazione dell’isolato virale avviene mediante sequenziamento o l’utilizzo di anticorpi monoclonali.
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Agente patogeno:
Poliovirus.
Porta di ingresso:
cavità orale, quindi faringe, intestino e talora SNC.
Aspetti clinici:
Sintomatologia poco caratteristica se non è interessato il SNC, altrimenti manifestazioni tipiche con paralisi muscolari ed esiti permanenti di paralisi flaccida (poliomielite paralitica). Può determinare grave insufficienza respiratoria e morte se colpisce rispettivamente i muscoli respiratori o i centri del respiro. Prima dell’avvento della vaccinazione in tutto il mondo erano presenti epidemie gravissime di polio paralitica; strategie vaccinali di massa hanno portato alla eradicazione della malattia in molti Paesi.
Trasmissione:
la sorgente di infezione è l’uomo, il contagio avviene per via oro – fecale.
Incubazione:
3-35 giorni (media 14 giorni).
Controllo e prevenzione:
Vaccinazione:
Efficacia: 100%
Efficacia dopo: dopo la terza dose
Durata: tutta la vita
Limite di età: 6 settimane
Indicazioni:Raccomandata. Non indicata per gli adulti.
Modalità di somministrazione: prima dose al tempo 0, IIa dopo 6-8 settimane, IIIa dopo 6-12 mesi dalla prima; richiamo a 6 anni.
Principali precauzioni e controindicazioni: tutte le limitazioni di ordine generale relativamente all’uso dei vaccini vivi.
I bambini che non possono effettuare il vaccino vivo, attenuato, i loro fratelli e i familiari conviventi riceveranno vaccino antipolio parenterale a virus uccisi tipo Salk, con il seguente calendario: prime tre dosi con un intervallo di 6-8 settimane, 4° dose dopo 6-12 mesi, 5° dose all’ingresso nella scuola elementare, quindi una dose ogni cinque anni fino ai 18 anni di età.
– Non consigliata in gravidanza e in soggetti immunocompromessi; – non somministrare se tra i contatti abituali del soggetto vi sono persone immunodepresse
Effetti collaterali più comuni: Rarissimi casi di infezione del sistema nervoso
Calendario: 1° dose 2-3° mese; 2° dose 4-5° mese; 3° dose 11-12° mese; 4° dose 3° anno. Un ritardo di somministrazione di una delle dosi di vaccino non richiede mai di ricominciare il ciclo.
Viaggiatori internazionali: E’ consigliato il richiamo antipolio a tutti i viaggiatori che si recano in paesi dove sono segnalate epidemie o situazione di endemia diffusa su tutto il territorio con rischi reali di contatto con il virus.
Obbligatoria in Italia dal 1966. Il vaccino adottato è quello a base di virus vivi attenuati secondo Sabin, somministrato per via orale, a distanza di almeno due ore dal pasto. E’ utilizzato anche il vaccino iniettivo IPV che ha preso il posto di quello orale in diversi schemi vaccinali.
efficacia: 96% – efficacia dopo la terza dose
Durata: tutta la vita
Limite di età: 6 settimane
Indicazioni: raccomandata
Modalità di somministrazione: tre dosi per via intramuscolare. Richiamo a 6 anni.
Principali precauzioni e controindicazioni: Reazioni anafilattiche a streptomicina o neomicina
Effetti collaterali più comuni: Rare reazioni locali di lieve entità
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Agente causale della febbre tifoide, (da www.nlm.nih.gov/medlineplus/ency/imagepages/1048.htm)
Descrizione:
è una malattia infettiva, contagiosa, di origine batterica, a carattere sistemico, cioè che coinvolge l’intero organismo; talvolta asintomatica o paucisintomatica, talvolta caratterizzata da esordio insidioso, talvolta fin dall’inizio da febbre elevata, cefalea, malessere generale, anoressia, bradicardia relativa, esantema papuloso localizzato al tronco, tosse secca e disturbi gastrointestinali quali costipazione o diarrea. Nella maggior parte dei casi l’infezione decorre in forma sub-clinica. Si instaura frequentemente uno stato di portatore sano cronico, che può essere anche molto prolungato nel tempo.
Agente infettivo:
La febbre tifoide, anche detta tifo addominale, è provocata da un batterio, la Salmonella typhi, appartenente al numerosissimo genere di Salmonella, di cui fanno parte anche le S. paratyphi A e B, responsabili dei paratifi e delle cosiddette salmonelle minori, responsabili di infezioni e tossinfezioni a trasmissione alimentare. Genere: Salmonella; Famiglia: Enterobacteriaceae; morfologia: sono batteri bastoncellari, diritti, asporigeni, in genere mobili per la presenza di flagelli peritrichi; esigenze metaboliche: sono microrganismi che fermentano il glucosio, producendo gas, non fermentano il lattosio e il saccarosio, non producono indolo, mentre producono idrogeno solfato, riducono i nitrati, sono positivi alla reazione rosso di metile e negativi al test di Voges Proskauer; habitat naturale: è l’intestino degli animali domestici, selvatici e dell’uomo, ma solo per alcune specie. Essi sono sensibili a molti disinfettanti chimici e fisici.
Ciclo vitale:
La Salmonella typhi, in alcuni casi può superare la barriera gastrica, è infatti molto sensibile all’ambiente acido, e raggiungere l’intestino tenue da cui può passare ai linfonodi mesenterici e poi giungere per mezzo dei vasi linfatici ed il dotto toracico il torrente circolatorio. Alla conclusione del ciclo, dopo un certo periodo, le salmonelle ritornano nel piccolo intestino attraverso l’escrezione biliare. Distribuzione: è ubiquitaria in tutto il mondo. Ancora oggi, malgrado le campagne di vaccinazione, il tifo è molto diffuso in particolare nelle zone del Mediterraneo, in Africa, in Asia e nell’America centrale e meridionale.
Porta d’ingresso:
attraverso il cavo orale, per ingestione, le Salmonelle, superata la barriera acida gastrica, raggiungono l’intestino. Trasmissione: La febbre tifoide rientra nell’ambito delle malattie a trasmissione orofecale; può quindi essere contratta in seguito all’ingestione di acqua o alimenti (mitili, frutta, verdura, latte non pastorizzato) contaminati da materiali fecali contenenti Salmonelle. Le Salmonelle sono dotate di una notevole resistenza nell’ambiente esterno, soprattutto se contenute in materiali organici e possono persistere per mesi nei liquami e nel fango; resistono a lungo anche nell’acqua e nel ghiaccio. Gli insetti, in particolar modo le mosche, possono fungere da vettori passivi dei germi patogeni. L’uomo, malato o portatore è l’unica sorgente di infezione.
Incubazione:
Il periodo di incubazione può variare da 3 giorni a 3 mesi a seconda della carica infettante, ma abitualmente è di 1-3 settimane.
Sintomi:
Nel sangue è caratteristica una leucopenia (diminuzione dei globuli bianchi), con scomparsa dei polinucleati eosinofili. La malattia si presenta molto spesso paucisintomatica con malessere generale, febbricola e malessere addominale con fastidi, lieve dolenzia e alvo irregolare o diarroico. Talvolta si presenta con febbre elevata che permane per circa una settimana, con lievi remissioni mattutine, e quindi inizia il periodo delle oscillazioni e delle intermittenze, con alterazioni dell’alvo e sintomi addominali importanti ed ingravescenti. La maggior parte dei casi evolve verso la convalescenza. Altri sintomi frequenti sono: cefalea anche assai violenta, mialgie, epistassi, un notevole grado di ottundimento psichico, che può passare fino a coma profondo, ed esantemi cutanei roseoliformi, di preferenza localizzati al tronco ed al dorso.
Mortalità:
legata ai rari casi di enterorragia e perforazione intestinale, sempre più rari dopo l’introduzione della terapia antibiotica.
Periodo di contagiosità:
I pazienti affetti da febbre tifoide sono infettanti fintanto che S. typhi è presente nelle feci, ovvero dalla prima settimana di malattia per tutta la durata della convalescenza. Il 2-5% dei pazienti diviene portatore sano cronico, potendo eliminare le salmonelle del tifo per molti mesi e, in casi estremi, per anni.
Controllo e prevenzione:
Come per tutte le malattie a trasmissione fecale, lo scrupoloso rispetto di elementari norme igieniche sia individuali, che ambientali, che per la manipolazione e la conservazione degli alimenti è fondamentale. A livello collettivo la prevenzione delle malattie a trasmissione oro-fecale si realizza attraverso il corretto smaltimento ed allontanamento dei rifiuti solidi e liquidi e la disponibilità di acqua per uso umano sicura e controllata. Le salmonelle presentano una notevole resistenza all’ambiente esterno ma sono comunque sensibili all’azione dei comuni disinfettanti. Una buona soluzione disinfettante ad uso domestico può essere ottenuta diluendo 1 cucchiaio da tavola di comune varechina in 1 litro d’acqua. La soluzione così ottenuta può essere utilizzata per la disinfezione di posate, stoviglie ed altri utensili, come per la disinfezione di servizi igienici e di biancheria. Questa soluzione può essere utilizzata anche per disinfettare frutta e verdura da consumare crude, che dovranno successivamente essere abbondantemente risciacquate con acqua pura, potabile (anche bollita altrimenti disinfettata). Derivati della comune varechina, presenti in commercio, possono essere usati anche per “disinfettare” l’acqua da bere: in questo caso, per evitare sapori sgradevoli, il quantitativo da usare è un cucchiaino da tè in un litro d’acqua. La soluzione così preparata deve essere lasciata riposare per circa un’ora prima del consumo. In commercio sono disponibili preparati già pronti per la disinfezione domestica di ambienti, acqua e altri potenziali veicoli di infezione. Approfondisci vaccinazione Febbre Tifoidea Nei confronti della febbre tifoide sono disponibili diversi vaccini – contenenti germi uccisi, da somministrare per via intramuscolare (due dosi a distanza di un mese), oppure – costituiti da germi viventi attenuati, da somministrare per via orale (tre capsule da assumere a giorni alterni), oppure – vaccini contenenti l’antigene polisaccaridico Vi della S. typhi, da somministrare ugualmente per via intramuscolare (una sola dose, con richiami ogni 2-3 anni). Questi vaccini conferiscono una protezione dal 75 al 90%, della durata presumibile di 2-3 anni; sono indicati in situazioni epidemiche e per viaggiatori diretti in zone endemico-epidemiche, oppure per soggetti maggiormente esposti al rischio di contagio per motivi professionali (tecnici di laboratorio, addetti allo smaltimento di rifiuti, etc).
Precauzioni nei confronti del paziente, di conviventi e di contatti:
Nell’assistenza a pazienti affetti da febbre tifoide, dopo trattamento idoneo, debbono essere effettuate in laboratorio 3 coprocolture consecutive, eseguite su campioni fecali prelevati a non meno di 24 ore di distanza l’uno dall’altro e a non meno di 48 ore dalla sospensione di qualsiasi antibiotico. In caso di positività anche di una sola coprocoltura, l’intera procedura terapeutica deve iniziare nuovamente e gli esami ripetuti dopo un mese. Fino a negativizzazione delle coprocolture i soggetti colpiti da febbre tifoide debbono essere allontanati dalle attività che comportino la manipolazione o distribuzione di alimenti, l’assistenza sanitaria e quella all’infanzia. I conviventi ed i contatti di un caso di febbre tifoide vanno sottoposti a sorveglianza e ricercati altri eventuali casi di infezione determinati dalla fonte di esposizione. Con l’effettuazione di 2 coprocolture e di 2 urinocolture eseguite su campioni prelevati a non meno di 24 ore di distanza l’uno dall’altro e dopo sospensione per 48 ore di qualsiasi trattamento antimicrobico.
Trattamento:
Tramite antibiotici, quali l’ampicillina e il cloramfenicolo, si è arrivati a trattare definitivamente il tifo, abbreviandone il decorso a pochi giorni. Di efficacia attualmente i chinolonici. Terapia: cloramfenicolo in 4 somministrazioni/die fino 1mg x Kg peso; la terapia si prosegue per 15 giorni. Si accerta la guarigione clinica con 3 coprocolture consecutive negative. In alternativa si possono impiegare il tiamfenicolo, oppure l’ampicillina 100 mg/Kg/die oppure il cotrimoxazolo. Farmaci attualmente di seconda scelta per il sopraggiungere di importanti forme di resistenza. Il completamento della cura prevede la reidratazione del soggetto (la lingua del paziente diventa impaniata, asciutta fino all’aspetto di “lingua a pappagallo”); saranno, dunque, somministrati liquidi in via infusiva, soluzioni saline alternate a soluzioni zuccherine; in caso di enterorragia, in attesa del primo soccorso medico è indicata la borsa di ghiaccio sull’addome e la somministrazione in caso di tossiemia grave di cortisonici. I soggetti portatori di Salmonella vanno comunque bonificati previo impiego di ampicillina, o ancora meglio di chinolonici . La profilassi per chi è venuto a contatto si effettua con vaccini iniettivi o per os, anche con agenti vivi ed attenuati. Vaccino antitifico: La vaccinazione contro il tifo è consigliata a tutti i viaggiatori, in particolare a coloro che si recano in zone ove esiste maggior rischio di esposizione ad alimenti o bevande infette. Benchè il rischio sia ubiquitario, esso è più alto in quelle aree in cui le condizioni igienico sanitarie sono più precarie. La vaccinazione può essere effettuata con:
1)Vaccino orale. È un vaccino preparato con germi vivi attenuati. Viene realizzata mediante l’assunzione di 3 dosi da assumere a giorni alterni e a digiuno. È controindicato nei bambini al di sotto dei 2 anni. Non può essere assunto insieme ad antibiotici o ad antimalarici quali la Meflochina (Lariam). La dose di richiamo viene effettuata a distanza minima di un anno.
2) Vaccino iniettabile Vi. È un vaccino costituito dal polisaccaride capsulare purificato (Antigene Vi) agente di virulenza della Salmonella Typhi. Si somministra in unica dose, per via intramuscolare, con richiamo a distanza di due o tre anni.
Assai rare le reazioni alla vaccinazione che si manifestano con: arrossamento, dolore e tumefazione nella sede di inoculazione e/o, più raramente, febbre, cefalea, nausea. Controindicazioni: è controindicato effettuare il vaccino in corso di malattia infettiva acuta, patologia cronica grave o ipersensibilità al vaccino. La vaccinazione è sconsigliata ai bambini al di sotto dei 2 anni e non deve essere effettuata contemporaneamente all’assunzione di antibiotici o antimalarici se orale. Effetti collaterali: rari i casi di eritema, tumefazione e dolore in sede di iniezione L’immunità dura 2 anni. Diagnosi: isolamento della S. Typhi da campioni di sangue, feci o altri campioni.
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L’epatite virale è uno dei più importanti problemi sanitari in tutto il mondo. Si stima che ci sono approssimativamente circa 300 milioni cronici di portatori di epatite B nel mondo, di cui la metà nel continente asiatico. In Italia il 3-4% della popolazione è portatore cronico di epatite; un portatore cronico può sviluppare malattie gravi (epatite acuta, cirrosi epatica e tumore del fegato) alcune delle quali mortali. La media è tra i 15 e i 25 anni, con una netta prevalenza per il sesso maschile. Il virus dell’epatite B è estremamente contagioso (molto più di quello dell’AIDS).

Virus dell’epatite B: Epadnavirus.
Africa, Medio Oriente, Asia, Centro e Sud America
Sangue (trasfusioni, aghi, siringhe, strumenti chirurgici contaminati, trapianto di organi infetti, parto), microlesioni della cute o delle mucose in particolare degli organi sessuali a contatto con materiali biologici infetti (rapporti sessuali, chirurgia, interventi odontoiatrici).
Rapporti sessuali, sangue infetto o altri liquidi biologici, anche se in minor misura. Trasmissione verticale dalla madre al figlio durante il parto. Se contratta in giovane età diventa molto spesso cronica: nel 90% dei casi nei neonati, nel 50% tra i bambini. Tra gli adulti, invece, cronicizza solo nel 5 % dei casi. Esiste un vaccino, obbligatorio per legge dal 1991.
60-180 giorni.
Forme asintomatiche: (65-70% del totale).
Forme anitteriche: frequenti nei bambini; malessere generale, astenia, nausea, anoressia, vomito, febbre.
Forme itteriche: come le precedenti, con ittero successivo ingravescente e (raramente nel bambino) urine ipercromiche e feci acoliche.
Rara la forma fulminante, a esito letale. Nell’epatite B cronica attiva, il 25 per cento dei pazienti va incontro a cirrosi, mentre il 5% viene colpito da carcinoma epatico.
Nel caso di epatite cronica, attiva o meno, il portatore resta comunque contagioso: certamente il contagio è più facile quanto più il virus si replica e, quindi, più elevato è il suo livello nel sangue (viremia).
L’infezione acuta da epatite A, B e C è caratterizzata nella prima fase da:
In alcuni casi (10-20%), il paziente presenta il quadro classico dell’influenza con febbre (da 37,7 a 38,3) e anche mal di gola, raffreddore e tosse. Le urine tendono a diventare ipercromiche, cioè con una colorazione più intensa. In definitiva, la sintomatologia è poco specifica (cioè non fa pensare immediatamente all’epatite) perché potrebbe essere riferita anche ad altre malattie. Ci sono però alcune circostanze che devono far pensare a un’epatite, per esempio:
Negli adulti il 10% dei casi (la percentuale è maggiore nei bambini) può cronicizzare ed evolvere verso una cirrosi o un epatocarcinoma. Tali complicanze sono inversamente proporzionali all’età di insorgenza. Superata l’infezione acuta, il soggetto può divenire portatore sano e può trasmettere il virus ad altri soggetti.
Ancora oggi non esiste un trattamento risolutivo per l’epatite cronica, ma la situazione è migliorata negli ultimi anni, in particolare con il perfezionamento delle terapie con Interferone alfa, sostanza normalmente prodotta dall’organismo che riesce a impedire la replicazione virale. Non essendoci attività del virus, il tessuto epatico non vene danneggiato e non si ha progresso verso la cirrosi. Sfortunatamente, il tasso di successo pieno delle terapie con interferone è pari al 15%, si sale al 30% con la terapia combinata (interferone più ribairina) ma nel restante 70% si assiste a un ripresa dell’attività della malattia. Quella farmacologica non è la sola terapia, ovviamente, in quanto si ricorre alla chirurgia sia per la rimozione delle zone del fegato ormai cirrotiche sia, come soluzione estrema, per il trapianto dell’organo.
Sul piano della prevenzione, il più importante passo avanti è stata la messa a punto del vaccino contro l’epatite B, che con tre inoculazioni garantisce un’immunità superiore al 90%. In questo modo, in Italia si è avuto un drastico calo dei nuovi casi, tanto che oggi nei centri di ricerca si fa fatica a trovare pazienti infettati di recente.
E’ obbligatoria in Italia dal 1991 per tutti i nuovi nati e, per i dodici anni successivi all’entrata in vigore della legge, per gli adolescenti nel corso del 12° anno. Il vaccino viene inoltre fornito ai soggetti delle seguenti categorie a rischio (D.M 4.10.1991):
Conviventi, in particolare bambini, e altre persone a contatto con soggetti HBsAg positivi.
Il vaccino attualmente in uso, prodotto con tecniche di ingegneria genetica, è efficace e privo di rischi.
Viene somministrato per via i.m. nella parte antero-laterale della coscia del lattante, e nel deltoide al di sopra dei 10 anni.
Per i neonati:1° dose 2-3° mese (con OPV-DTP); 2° dose 4-5° mese (con OPV-DTP); 3° dose 3° mese; 4° dose 11-12° mese.
Per tutti gli altri soggetti:1° dose tempo 0; 2° dose dopo un mese; 3° dose dopo sei mesi dalla prima.
Si consiglia la somministrazione del vaccino a tutti coloro che si recano in paesi iperendemici in particolare in paesi della fascia tropicale e subtropicale, dei paesi dell’Est Europeo, e del Bacino del Mediterraneo. E’ opportuno che tutti coloro che si recano per motivi di lavoro e per periodi prolungati effettuino la vaccinazione.
Oltre a quelle generiche vi è in particolare: ipersensibilità accertata verso i componenti del vaccino.
Locali : eritema, tumefazione, prurito, dolore in sede di iniezione (idrossido di alluminio), di lieve durata; generali: (circa 5%). Febbre, cefalea, nausea, vertigini, mialgie, dolori articolari, di breve durata.
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Descrizione: la Tripanosomiasi Africana, conosciuta anche come malattia del sonno, è una infezione subacuta severa, che può essere fatale se non viene trattata. Questa infezione è strettamente correlata con una infezione bovina chiamata N’gana. La malattia del sonno provoca annualmente poche vittime, ma i rischi di epidemie suggeriscono una continua monitorizzazione della malattia e l’utilizzo costante di misure di controllo e prevenzione.


Agente infettivo:
il protozoo del genere Tripanosoma, entra nelle vie sanguigne mediante la puntura della mosca tse-tse (Glossina spp.).
– Il Trypanosoma brucei rhodesiense si trova principalmente in africa dell’est e del sud.
– T.b. gambiense maggiormente in africa dell’ovest.
– T.b. brucei invece è responsabile dell’infezione bovina ma non provoca infezioni nell’uomo.
Ciclo Vitale:

La mosca TseTse (Glossina), nutrendosi di sangue, inietta nel tessuto cutaneo dell’uomo un tripomastigote metaciclico. Il parassita entra nel sistema linfatico e quindi nel circolo sanguigno.
1) una volta nell’ospite si trasforma in tripomastigote del circolo sanguigno.
2) circolando liberamente incontra altri fluidi quali per esempio il fluido spinale continuando a moltiplicarsi mediante fissione binaria
3) l’intero ciclo vitale del Tripanosoma Africano è rappresentato da fasi extracellulari. La mosca TseTse viene infettata da tripomastigoti nutrendosi del sangue di mammiferi infetti
4) il parassita, una volta negli organi interni della mosca, si trasforma in un tripomastigote prociclico, moltiplicandosi mediante fissione binaria
5) quindi abbandona gli organi interni per trasformarsi in epimastigote
6) l’epimastigote raggiunge le ghiandole salivari della mosca e continua a moltiplicarsi
7) il ciclo nella mosca dura approssimativamente tre settimane.
Distribuzione:
36 paesi in Africa Sub Sahariana:
– 7 paesi ad elevata endemia
– 4 paesi ad endemia
– 12 paesi ad endemia moderata
– 13 paesi hanno uno stato epidemiologico ancora non ben definito.
Porta d’ingresso:
cute.
Trasmissione:
la mosca TseTse, sia maschio che femmina, fa da vettore fra uomo e uomo, gli animali selvatici e i bovini invece fungono da serbatoi per l’infezione. Una volta nel corpo umano, il tripanosoma si moltiplica e invade la maggior parte dei tessuti.
Incubazione:
da 5 a 60 giorni
Sintomi:
l’infezione si presenta con malessere, spossatezza e febbre irregolare. I primi sintomi includono febbre con ingrossamento delle linfoghiandole e della milza.
– Questi sintomi sono più severi e acuti nell’infezione da T.b. rhodesiense. I primi sintomi sono seguiti da una serie di sintomi quali mal di testa, anemia, dolore alle articolazioni. I sintomi più avanzati invece includono disordini neuronali ed endocrini. Quando il parassita invade il sistema nervoso centrale, ha inizio un deterioramento mentale che può sfociare nel coma e nella morte.
– L’infezione da T. b. rhodesiense solitamente si presenta come forma acuta dell’infezione, causando la morte entro poche giorni o settimane.
– T.b. gambiense invece tende a progredire più lentamente (anche anni) ed è una forma meno severa.
Controllo e prevenzione:
viene fatto con una sistematica sorveglianza delle popolazioni ad alto rischio e congiuntamente vengono trattate le persone infette. Un altro ruolo importante è manifestato dalla riduzione della presenza della mosca TseTse, soprattutto la Rhodesiense, con efficaci azioni ambientali. Nel passato ci fu una massiccia disinfestazione dei luoghi dove potevano essere presenti le mosche e le larve mediante l’utilizzo di insetticidi.
Trattamento:
sempre stato molto difficile, soprattutto quando viene raggiunto il sistema nervoso centrale, in quanto non sono ancora presenti sul mercato medicine efficaci.
– La Pentamidina per esempio non è efficace nel tardo livello della malattia, anzi, alcuni parassiti sono resistenti alla stessa.
– La Suramina deve essere somministrata per via endovenosa e può dare importanti effetti collaterali.
– Il Melarsoprolo un derivato dell’Arsenico, farmaco sviluppato ormai più di 50 anni fa, viene usato nella tarda fase della malattia, ma spesso produce seri e a volte fatali effetti secondari.
– La Eflornithina, nuovo farmaco, originariamente sviluppato come farmaco antitumorale, ha mostrato di poter essere utilizzato efficacemente contro la T.d. Gambiense.
Stato della ricerca:
la ricerca di nuove molecole che possano essere utilizzate contro la Tripanosmiasi Africana continua. Purtroppo al giorno d’oggi c’è ancora una mancanza di target validi e di nuove idee per sviluppare farmaci contro la tripanosmiasi e la leishmaniosi. Sicuramente è stato molto difficile trovare della molecole in grado di combinare buona attività, mancanza di tossicità a la capacità di attraversare la barriera emato-encefalica, tutte caratteristiche necessarie per un farmaco che voglia essere attivo ed efficace contro la malattia del sonno causata da una infezione cronica da Tripanosoma Africano.
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Descrizione, Agente infettivo: La Schistosomiasi è causata da platelminti. Le tre specie principali che infettano l’uomo sono Schistosoma haematobium, S. japonicum e S. mansoni. Altre due specie, più localizzate geograficamente, sono S. mekongi e S. intercalatum. Inoltre, altre due specie di schistosomi, che parassitano gli uccelli ed i mammiferi, possono determinare nell’uomo la dermatite da cercarie

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Ciclo vitale:
Le uova vengono eliminate con le feci o le urine (1). In condizioni ottimali le uova rilasciano il miracidio (2), che nuota e penetra nell’ospite intermedio, il mollusco (3). Le fasi nel mollusco comprendono due generazioni di sporocisti (4) e la produzione di cercarie (5). Dopo il rilascio dal mollusco, la cercaria infettiva nuota e penetra nella pelle umana (6), dove, perdendo la coda, diventa schistosomulo (7). Gli schistosomuli migrano attraverso numerosi tessuti fino a raggiungere la sede definitiva nelle vene (8), (9). I vermi adulti , nell’uomo, risiedono nelle venule mesenteriche in varie posizioni, che sembrerebero essere distinte per le diverse specie (10). Ad esempio, S. japonicum si localizza più frequentemente nelle vene mesenteriche superiori che drenano il piccolo intestino (A), e S. mansoni si trova più spesso nelle vene mesenteriche superiori che drenano il grosso intestino (B). Tuttavia, entrambe le specie possono trovarsi in ciascuna delle posizioni, e sono in grado di spostarsi tra i due siti, per cui non è possibile stabilire la corrispondenza certa della specie con la posizione. S. haematobium si trova generalmente nel plesso venoso vescicale (C), ma può localizzarsi anche nelle piccole venule del plesso rettale. Le femmine (lunghe da 7 a 20 mm; i maschi sono leggermente più piccoli) depositano le uova nelle piccole vene dei sistemi portale e perivescicale. Le uova progrediscono sino ad arrivare al lume intestinale (S. mansoni and S. japonicum) ed al lume vesciclale ed ureterale (S. haematobium), e vengono dunque eliminate con le feci oppure con le urine, rispettivamente (1).

Distribuzione:
La Schistosomiasi è presente in Africa, Sud America e Caraibi, nel sud della Cina, nelle Filippine e nel sud-est asiatico.
CDC- YELLOW BOOK, 2016
Schistosoma mansoni si trova in aree del Sud America e Caraibi, Africa sub-sahariana, e Medio Oriente; in Egitto sta a poco a poco sostituendosi a S. haematobium a causa delle modificazioni climatiche introdotte dalla costruzione della grande diga di Assuan; S. haematobium è presente in Africa e in Medio Oriente; S. japonicum è diffuso in Estremo Oriente: eradicato dal Giappone, è endemico nella Repubblica Popolare Cinese, nelle Filippine e in focolai limitati in Indonesia. Schistosoma mekongi e S. intercalatum sono presenti a focolai nel Sud Est Asiatico (Penisola Indocinese: Laos, Thailandia, Cambogia) ed in Africa Centrale Occidentale, rispettivamente.
Porta d’ingresso:
cute.
Trasmissione:
È trasmessa attraverso l’ingresso delle larve infestanti per via transcutanea durante l’immersione prolungata (in corso di un bagno o di un guado) di parti del corpo in acque dolci e non vorticose (fiumi di portata non elevata, canali di irrigazione, laghi naturali o artificiali), in cui siano presenti gli ospiti intermedi (molluschi) infestati.
Numerosi animali come cani, gatti, roditori, suini, cavalli e capre sono reservoirs per S. japonicum, ed i cani per S. mekongi.

Uova di Schistosoma mansoni nella parete intestinale.
Incubazione:
40-60 giorni.
Sintomi:
Si tratta di un’infestazione spesso asintomatica per decenni, fino alla comparsa dell’infestazione cronica. I sintomi della malattia, legati alla reazione allergica contro le uova, sono: prurito; arrossamento della pelle; a volte febbre e dolori muscolari. paralisi o mieliti. La schistosomiasi acuta (febbre di Katayama) si può verificare alcune settimane dopo dopo l’infezione iniziale, specialmente da S. mansoni e S. japonicum. La sintomatologia comprende febbre, tosse, dolori addominali, diarrea, epatosplenomegalia, eosinofilia. Nel caso raro in cui le uova penetrino nel midollo spinale o nel cervello si possono avere granulomi cerebrali causati da uova ectopiche di S. japonicum nel cervello, mentre lesioni granulomatose intorno alle uova ectopiche nel midollo spinale di S. mansoni e S. haematobium possono risultare in mieliti trasverse con paraplegia flaccida. Nel caso di reinfezioni continue – ciò non riguarda i viaggiatori di breve periodo – si possono determinare reazioni granulomatose e fibrosi degli organi affetti che includono: poliposi del colon con diarrea con perdite ematiche (Schistosoma mansoni); ipertensione portale con ematemesi e splenomegalia (S. mansoni, S. japonicum, S. mansoni); cistite e ureterite (S. haematobium) con ematuria, che può progredie fino al tumore vescicale; ipertensione polmonare (S. mansoni, S. japonicum, più raramente S. haematobium); glomerulonefrite; lesioni del sistema nervoso centrale.
Controllo e Prevenzione:
poiché non è facile sapere se le acque sono infestate dai vermi, è bene evitare di fare i bagni o comunque avere contatto a pelle nuda con le acque superficiali quali fiumi, laghi e canali, nei Paesi a rischio. Il bagno in mare o nelle piscine, le cui acque sono state depurate, non è a rischio. Non esiste una vaccinazione, ma esistono farmaci efficaci per la cura della malattia.
Trattamento:
Per il trattamento della Schistosomiasi sono disponibili farmaci sicuri ed efficaci: il farmaco di scelta è il praziquantel per le infestazioni causate da tutte le specie. Nei confronti dello S. mansoni l’ Oxamniquina è più efficace del praziquantel.
Diagnosi:
Nel caso si sospetti la malattia, il viaggiatore dovrebbe essere sottoposto ad un’analisi delle feci e delle urine per la ricerca delle uova del parassita. Le biopsie tissutali (rettale per tutte le specie e vescicale per S. Haematobium) può dimostrare la presenza di uova se la ricerca nelle urine o nelle feci ha dato esito negativo. Inoltre la ricerca degli Anticorpi specifici può essere utile sia nel follow-up clinico che negli studi epidemiologici.
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Descrizione:
E’ una malattia infettiva di origine protozoaria, intracellulare, parassita di alcune famiglie di leucociti. HA una tipologia cronica. Il protozoo della Leishmania fu così chiamato a causa della sua scoperta nel 1901 da parte di W. B. Leishman. La Leishmaniosi è presente in 22 paesi delle Americhe, in particolare centro e sud america, e in altre 66 nazioni del mondo, ma non la si trova nel sud est asiatico. L’infezione nell’uomo è stata riscontrata in 16 paesi europei, incluse Francia, Italia, Grecia, Malta, Spagna e Portogallo. La malattia può presentarsi sotto diverse forme, e generalmente è riconoscibile per la sua forma cutanea, non mortale, ma la quale crea lesioni molto importanti, invalidanti; una epidemia della forma viscerale invece può causare un elevato numero di morti.

Agente infettivo:
è un protozoo del genere Leishmania, che viene trasmesso all’uomo dalle mosche del deserto. Più di 20 specie o sottospecie del parassita infettano l’uomo, ognuna delle quali provoca uno spettro di sintomi differente. Questi sintomi sono caratterizzati da lievi ulcere della pelle (Leishmania Major), oppure da ulcere di tipo più severo o da compromissione di organi interni che può minacciare la vita della persone infettate (per esempio la Leishmaniosi viscerale provocata da by L. donovani s.l.). In particolare viene fatta la seguente divisione:
Le diverse specie sono morfologicamente indistinguibili, ma possono essere distinte mediante analisi con isoenzimi, metodi molecolari e con anticorpi monoclonali.
Ciclo vitale:
la Leishmania viene trasmessa dal morso della femmina della mosca del deserto (Glossima). 1) La mosca in questo modo inietta i promastigoti nel circolo sanguigno dell’ospite durante il suo pasto. 2) I promastigoti che si trovano sulla ferita provocata dalla mosca, vengono fagocitati dai macrofagi e 3) trasformati in amastigoti. 4) a differenza della specie della Leishmania con la quale l’ospite viene infettato, gli amastigoti si moltiplicano e infettano tessuti differenti. E’ a questo punto che si ha la manifestazione della Leishmaniosi. 5) 6) La mosca si infetta durante il pasto ingerendo macrofagi infetti da amastigoti. 7) Negli organi interni della mosca, il parassita si differenzia in promastigote, 8) che si moltiplica e migra alla proboscide della mosca. In questo modo, la mosca, pungendo un individuo lo infetta.

Distribuzione:
la Leishmaniosi è endemica in 88 paesi. Più del 90% dei casi di Leishmaniosi cutanea avvengono in Iran, Afghanistan, Siria, Arabia Saudita, Brasile e Perù. Più del 90% della forma viscerale invece la si trova in Bangladesh, Brasile, India e Sudan.
Porta d’ingresso:
attraverso la cute, per puntura della mosca.
Trasmissione:
l’uomo viene infettato a causa del morso del Flebotomo, la mosca del deserto (che fa parte della sottofamiglia delle phlebotominae). Queste mosche sono molto piccole, colorate e si nutrono di sangue. Vivono per lo più nella foresta, in grotte o negli anfratti delle rocce. Sia animali selvaggi che l’uomo possono fungere da vettori dell’infezione. La maggior parte delle Leishmaniosi sono originalmente infezioni di piccoli mammiferi (fungono da ‘ospiti serbatoio’) e giocano un ruolo fondamentale nella epidemiologia dell’infezione. Nelle Americhe la leishmaniosi è principalmente trasmessa dalla mosca del genere Lutzomyia, nel resto del mondo invece dal genere Phlebotomus. Le mosche si infettano nutrendosi di sangue da ‘ospiti serbatoio’ o da persone infette.
Sintomi:
le 20 specie o più del parassita, provocano diversi tipi di sintomi, alcuni dei quali sono più comuni (febbre, malessere, perdita di peso, anemia); le forme viscerali causano anche l’ingrossamento della milza, del fegato e dei linfonodi.
Le Lesihmaniosi possono essere classificate in 4 forme principali:
Controllo e prevenzione:
molti casi di Leishmaniosi cutanea guariscono spontaneamente e le persone infettate rimangono immuni per successive infezioni. In molte parti del sud est asiatico l’infezione viene provocata artificialmente in forma lieve nei bambini per immunizzarli (evitando lesioni invalidanti sul volto o altrove). Altre forme di Leishmaniosi sono molto difficili da trattare e a volte richiedono l’utilizzo di farmaci a base di antimonio pentavalente. L’infezione può essere evitata evitando il morso delle mosche e utilizzando repellenti o insetticidi. Le misure di controllo dei vettori e degli ‘ospiti serbatoio’ sono molto costose e richiedono buone infrastrutture. Le misure di controllo per i vettori dell’infezione, consistono nell’utilizzare insetticidi nebulizzati e sono utili quando la trasmissione può avvenire all’interno o nelle vicinanze di una abitazione. Quando ci si trova invece altrove, è bene utilizzare altre forme di protezione, quali per esempio repellenti o insetticidi. Recentemente sono stati riportati casi di resistenza, che richiedono l’utilizzo di farmaci più tossici, ma efficaci, quali la Anfotericina B. La maggior parte dei farmaci al giorno d’oggi sono molto costosi, richiedono un trattamento molto prolungato e stanno diventando sempre meno efficaci. Le Leishmaniosi al giorno d’oggi, essendo così diversificate nelle loro forme, sono un tipo di infezione ancora molto difficile da controllare mediante un singolo approccio. Il controllo di una infezione può dipendere molto anche dalla rapida diagnosi e somministrazione di farmaci.
Trattamento:
stibogluconato sodico, che si trova al momento sotto controllo del Investigational New Drug protocol dal CDC Drug Service.
Stato della ricerca:
sono stati sviluppati modelli sia per la CL che la VL su primati. Al momento si stanno sviluppando prove di vaccini per la CL e la VL, costituiti dal parassita ucciso della Leishmania e oltretutto si sta provando anche la strada per vaccini composti da antigeni ricombinanti di seconda generazione con aggiunta di adiuvanti. Purtroppo il numero delle persone infette sta aumentando notevolmente a causa dello sviluppo economico e dei cambiamenti ambientali che provocano un aumentata esposizione alla mosca. Nel sud Europa oltretutto la co-infezione Leishmania/HIV comincia ad essere un problema emergente. La Mitefosina, sta diventando un farmaco orale ampiamente utilizzato nel trattamento della Leishmania viscerale.
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