Paolo Meo - MioDottore.it

Paolo Meo 2

Poliomelite – Scheda malattia

Poliomelite

poliomenite

  • Agente patogeno
  • Porta di ingresso
  • Aspetti clinici
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Controllo e prevenzione

Agente patogeno:
Poliovirus.

Porta di ingresso:
cavità orale, quindi faringe, intestino e talora SNC.

Aspetti clinici:
Sintomatologia poco caratteristica se non è interessato il SNC, altrimenti manifestazioni tipiche con paralisi muscolari ed esiti permanenti di paralisi flaccida (poliomielite paralitica). Può determinare grave insufficienza respiratoria e morte se colpisce rispettivamente i muscoli respiratori o i centri del respiro. Prima dell’avvento della vaccinazione in tutto il mondo erano presenti epidemie gravissime di polio paralitica; strategie vaccinali di massa hanno portato alla eradicazione della malattia in molti Paesi.

Trasmissione:
la sorgente di infezione è l’uomo, il contagio avviene per via oro – fecale.

Incubazione:
3-35 giorni (media 14 giorni).

Controllo e prevenzione:
Vaccinazione:

  • Orale

Efficacia: 100%
Efficacia dopo: dopo la terza dose
Durata: tutta la vita
Limite di età: 6 settimane
Indicazioni:Raccomandata. Non indicata per gli adulti.
Modalità di somministrazione: prima dose al tempo 0, IIa dopo 6-8 settimane, IIIa dopo 6-12 mesi dalla prima; richiamo a 6 anni.

Principali precauzioni e controindicazioni: tutte le limitazioni di ordine generale relativamente all’uso dei vaccini vivi.
I bambini che non possono effettuare il vaccino vivo, attenuato, i loro fratelli e i familiari conviventi riceveranno vaccino antipolio parenterale a virus uccisi tipo Salk, con il seguente calendario: prime tre dosi con un intervallo di 6-8 settimane, 4° dose dopo 6-12 mesi, 5° dose all’ingresso nella scuola elementare, quindi una dose ogni cinque anni fino ai 18 anni di età.
–   Non consigliata in gravidanza e in soggetti immunocompromessi; –   non somministrare se tra i contatti abituali del soggetto vi sono persone immunodepresse

Effetti collaterali più comuni: Rarissimi casi di infezione del sistema nervoso

Calendario: 1° dose 2-3° mese; 2° dose 4-5° mese; 3° dose 11-12° mese; 4° dose 3° anno. Un ritardo di somministrazione di una delle dosi di vaccino non richiede mai di ricominciare il ciclo.

Viaggiatori internazionali: E’ consigliato il richiamo antipolio a tutti i viaggiatori che si recano in paesi dove sono segnalate epidemie o situazione di endemia diffusa su tutto il territorio con rischi reali di contatto con il virus.

Obbligatoria in Italia dal 1966. Il vaccino adottato è quello a base di virus vivi attenuati secondo Sabin, somministrato per via orale, a distanza di almeno due ore dal pasto. E’ utilizzato anche il vaccino iniettivo IPV che ha preso il posto di quello orale in diversi schemi vaccinali.

  • Iniettabile

efficacia: 96% – efficacia dopo la terza dose
Durata: tutta la vita
Limite di età: 6 settimane
Indicazioni: raccomandata
Modalità di somministrazione: tre dosi per via intramuscolare. Richiamo a 6 anni.
Principali precauzioni e controindicazioni: Reazioni anafilattiche a streptomicina o neomicina
Effetti collaterali più comuni: Rare reazioni locali di lieve entità

Poliomelite – Scheda malattia Leggi tutto »

Meningite – Scheda malattia

 

Descrizione Agente infettivo Ciclo vitale Distribuzione Porta di ingresso Trasmissione
Incubazione Sintomi Mortalità Controllo e prevenzione Trattamento Diagnosi 

 

Descrizione

La meningite è una malattia infettiva di origine batterica o virale, di tipo infiammatorio, che coinvolge le meningi ed il liquido cefalorachidiano. Spesso viene identificata come meningite spinale, la forma che coinvolge le meningi del tratto della colonna vertebrale e che si presenta con sintomatologia precisa. È importante identificare l’agente patogeno della malattia, se virus o batterio  per impostare una terapia corretta. Generalmente la meningite ad eziologia virale è meno severa e si autolimita, quasi sempre, senza specifici trattamenti, mentre la meningite batterica può manifestarsi in modo severo e può dare luogo a danni cerebrali, perdita dell’udito o problemi nell’apprendimento. Nel caso della meningite batterica è molto importante identificare  l’agente patogeno per poter utilizzare il farmaco adatto, efficace, ed evitare in questo modo l’espandersi dell’infezione. Prima del 1990, l’Haemophilus influenzae di tipo b (Hib) era considerato la causa principale di meningite batterica, ma una vaccinazione di massa fra i bambini,  ha portato una riduzione drastica del numero di casi. Oggi i principali batteri causa di meningite sono lo Streptococcus pneumoniae e la Neisseria meningitidis.

Agente infettivo

MeningiteMeningococco (Neisseria meningitidis) suddiviso in diversi sieogruppi,  gram negativo, asporigeno, assai labile in ambiente esterno.

Ciclo vitale

La Neisseria meningitidis risiede nella mucosa del tratto naso-faringeo che è il suo habitat naturale. Circa il 5-15% della popolazione umana è portatrice sana di questo batterio nella sua forma non patogena. Un primo meccanismo di infezione è costituito dalla colonizzazione della mucosa nasale e faringea attraverso cui il batterio attraversa le cellule epiteliali mediante endocitosi penetrando in questo modo nel microcircolo dermico. A questo punto il batterio prolifera adattandosi al nuovo ambiente. La risposta clinica alla infezione può variare da una forma benigna asintomatica o paucisintomatica fino ad una forma grave e fatale (meningococciemia – forma setticemica da meningococco). Nella forma più severa dell’infezione si hanno cariche assai elevate di batteri nel sangue. Questi batteri sono in grado di superare la barriera ematomeningea-encefalica. Questo fenomeno induce una infiammazione progressiva delle stesse meningi, con produzione anche di materiale purulento. I soggetti immuno-depressi (es. per trauma cervicale, HIV etc.) tendono a manifestare questi tipi di meningiti batteriche. Altri individui si contagiano ed ammalano per contatto  diretto con portatori primari. I soggetti portatori di Neisseria nasofaringea possono sviluppare una immunità naturale da stimolazione immunogena cronica ed essere protetti dalla malattia.

Distribuzione

La meningite da Neisseria è ubiquitaria e la sua incidenza media è di 0.5-5 casi/100,000 persone. Nel periodo compreso fra il 1996 e il 1997 sono stati denunciati 213,658 casi con 21,830 decessi nei paesi della così detta cintura Africana della meningite.

 

Porta d’ingresso

Cavo orale, rino faringe, prime vie aeree.

Trasmissione

Per via aerogena, contatti ripetuti con ammalati o portatori. Sono favorenti le situazioni di sovraffollamento. Fonte d’infezione: i portatori sani o paucisintomatici del batterio.

Incubazione

1-7 giorni (generalmente  2 o 3 giorni)

Sintomi

Febbre alta, cefalea, torcicollo, contrazione dei muscoli nucali e rigidità nucale, sintomo tipico e patognomonico. Questi sintomi sono tipici dell’infezione in individui al di sopra dei 2 anni di età. Questi sintomi possono svilupparsi in poche ore o in 1 o 2 giorni. Altri sintomi possono includere nausea, vomito, forte fastidio degli stimoli luminosi, confusione e sonnolenza, con manifestazioni meningee fino al coma. Nei neonati e nei bambini i sintomi classici quali febbre, mal di testa e torcicollo possono essere assenti o difficili da determinare e il bambino può solo apparire lento o inattivo, o a volte facilmente irritabile con vomito e anoressia. Frequente la rigidità nucale. Il 10%-15% dei casi di infezione da meningite è fatale. Il 10-15% dei pazienti che guariscono invece hanno una perdita o una diminuzione permanente dell’udito, ritardo mentale, un danneggiamento del sistema limbico, con vertigini.

Mortalità

Elevata nelle sepsi e nelle forme accompagnate da coagulazione intravascolare disseminata.

Controllo e prevenzione

La meningite è una infezione contagiosa. Viene trasmessa mediante scambio di secrezioni mucose (es. tosse, bacio),  ma è molto meno diffusiva rispetto ad un raffreddore o una influenza da causa virale. Non viene trasmessa respirando l’aria presente in un ambiente dove abbia transitato un individuo infetto, ma solamente stazionando per lungo tempo vicino a persona infetta. È opportuno sottoporre a prevenzione antibiotica chiunque sia stato a stretto contatto con un individuo affetto da meningite.

Vaccinazione

La vaccinazione è uno strumento preventivo efficace e da effettuare per chi si reca in zone o in ambienti a rischio di contagio. La vaccinazione contro la meningite da Neisseria non è una vaccinazione obbligatoria nell’infanzia.  È stata resa obbligatoria ai giovani di leva. – Per  i viaggiatori internazionali: è consigliata ai viaggiatori che si recano nei paesi africani inclusi nella “cintura meningococcica” (Senegal, Gambia, Guinea Bissau, Guinea Conakry, Mali, Burkina Faso, Togo, Benin Ghana, Niger, Nigeria, Ciad, Cameroon, Rep. Centrafricana, Sudan, Etiopia, Gibuti, Eritrea, Somalia), durante i periodi considerati a rischio epidemia. I periodi di secca, lontani dal periodo monsonico. – Anche per i viaggiatori che si recano in India, in Cina ed in Mongolia, in particolare per chi si reca nelle provincie dove sono stati segnalati casi di meningite da Meningococco, è consigliata l’effettuazione del vaccino antimeningococcico. – È obbligatoria per tutti i pellegrini che si recano in pellegrinaggio alla Mecca. Controindicazioni: la vaccinazione è controindicata nei soggetti che manifestano malattie infettive acute in corso e malattie evolutive e croniche debilitanti. Effetti collaterali: Locali: raro il dolore con gonfiore nella zona di inoculo. Generali: rara la reazione febbrile ed ancora più rari i sintomi lievi delle prime vie aeree.

Secondo un comunicato stampa emesso il 16 novembre 2012, un nuovo vaccino realizzato per la prevenzione della Meningite da Neisseria menigitidis di gruppo B e della setticemia che può associarsi, ha ricevuto l’approvazione da parte del Comitato dell’Agenzia Europea dei Medicinali per Uso Umano (Commitee for Medicinal Products for Human Use o CHMP). Il nuovo vaccino, chiamato Bexsero e sviluppato da Novartis, è destinato all’immunizzazione contro la meningite sostenuta dal meningococco di gruppo B.

I tipi di vaccino

Esiste in commercio un vaccino contro diversi tipi di  N. meningitidis. – Il vaccino contro l’Hib è sicuro e molto efficace. Esistono altri vaccini contro lo Streptococcus pneumoniae. Questo è un vaccino polisaccaridico pneumococcico raccomandato per gli individui con più di 65 anni di età, che solitamente hanno problemi di malattie croniche, e per i bambini al di sotto dei 2 anni. – Vi è anche un nuovo tipo di vaccino, pneumococcico coniugato, che sembra essere efficace nei bambini per la prevenzione da infezione pneumococcica ed è solitamente raccomandato per i bambini al di sopra dei 2 anni di età.

Trattamento

Esiste un trattamento preventivo da iniziare entro 14 giorni dal contatto con persone infette e non oltre. Solitamente questa chemioprofilassi viene utilizzata per quelle persone a rischio, che si trovano a contatto o che si sono trovate a contatto con individui infetti e serve per prevenire la colonizzazione del meningococco nelle mucose del rinofaringe. La Rifampicina è il farmaco di elezione per l’eradicazione della N. Meningitidis dal tratto naso-faringeo ma non deve essere somministrato in donne in gravidanza. La Ciproflossacina e il ceftriaxone sono antibiotici di alternativa alla Rifampicina ma non devono essere somministrati a bambini al di sotto degli  8 anni di età, alle donne in gravidanza o nel periodo dell’allattamento.  La Penicillina G, la Ampicillina, il Cloramfenicolo e il ceftriaxone sono comunque antibiotici utilizzati in terapia.

Diagnosi

Una diagnosi precoce e conseguente trattamento sono fondamentali nella prognosi del caso. Se vengono segnalati i classici sintomi, è bene rivolgersi immediatamente ad un sanitario. La diagnosi viene effettuata mediante crescita in coltura seminando campioni prelevati dal liquido cefalorachidiano, mediante puntura spinale. Il prelievo viene eseguito mediante l’introduzione di un ago nell’ultima porzione del canale spinale dove il fluido è prontamente accessibile, nel retro del dorso. In questo modo viene eseguita una pronta identificazione del batterio con un antibiogramma necessario per la determinazione del corretto antibiotico da somministrare.

Stato della ricerca

I vaccini contro il meningococco attualmente approvati per uso umano, sono costituiti dalla variante del polisaccaride capsulare purificato, caratteristico delle membrane batteriche. Questo tipo di vaccino è particolarmente attivo contro il sierotipo A e C. E’ stato realizzato anche un vaccino quadrivalente contenente i 4 tipi del batterio meningococcico (sierogruppo A, C, Y, W-135). Questo vaccino è attivo nel 75-90% dei casi. È utilizzabile negli individui di età superiore ai 2 anni. È stato osservato che le persone vaccinate rimangono immuni per un periodo di circa 3 anni. Oltretutto si è osservato che questo tipo di vaccino polisaccaridico capsulato non è attivo nei bambini al di sotto dei 2 anni ed ha una copertura immunologica nei bambini e negli adolescenti di breve durata.

Sono allo studio nuovi vaccini con diverse caratteristiche. Ad esempio si procede legando una proteina di trasporto ad un polisaccaride capsulato e purificato. La proteina trasporto in questo modo richiama ed aumenta la risposta dei linfociti di tipo T attivando in questo modo la memoria anticorpale, all’inizio e successivamente la risposta di tipo cellulare. Il meccanismo consente una risposta anche negli individui al di sotto dei 18 mesi. Si sta cercando di sviluppare un vaccino anche contro il sierogruppo di tipo B. Il problema nell’ottenere un vaccino contro questo sierotipo è nella somiglianza esistente fra la struttura del polisaccaride B capsulare del batterio e l’acido polisialico  presente nel tessuto del cervello umano. Questa similitudine induce una tolleranza immunogenetica al polisaccaride e la difficoltà di realizzare un vaccino efficace contro il meningococco di tipo B.

Meningite – Scheda malattia Leggi tutto »

Febbre Tifoide – Scheda malattia

Febbre Tifoide

febbre tifoide

  • Descrizione
  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Mortalità
  • Periodo di contagiosità
  • Controllo e prevenzione
  • Precauzioni
  • Trattamento
  • Vaccino antitifico
  • Diagnosi

Agente causale della febbre tifoide, (da www.nlm.nih.gov/medlineplus/ency/imagepages/1048.htm)

Descrizione:
è una malattia infettiva, contagiosa, di origine batterica, a carattere sistemico, cioè che coinvolge l’intero organismo; talvolta  asintomatica o paucisintomatica, talvolta caratterizzata da esordio insidioso, talvolta fin dall’inizio da febbre elevata, cefalea, malessere generale, anoressia, bradicardia relativa, esantema papuloso localizzato al tronco, tosse secca e disturbi gastrointestinali quali costipazione o diarrea.  Nella maggior parte dei casi l’infezione decorre in forma sub-clinica. Si instaura frequentemente uno stato di portatore sano cronico, che può essere anche molto prolungato nel tempo.

Agente infettivo:
La febbre tifoide, anche detta tifo addominale, è provocata da un batterio, la Salmonella typhi, appartenente al numerosissimo genere di Salmonella, di cui fanno parte anche le S. paratyphi A e B, responsabili dei paratifi e delle cosiddette salmonelle minori, responsabili di infezioni e tossinfezioni a trasmissione alimentare. Genere: Salmonella; Famiglia: Enterobacteriaceae; morfologia: sono batteri bastoncellari, diritti, asporigeni, in genere mobili per la presenza di flagelli peritrichi; esigenze metaboliche: sono microrganismi che fermentano il glucosio, producendo gas, non fermentano il lattosio e il saccarosio, non producono indolo, mentre producono idrogeno solfato, riducono i nitrati, sono positivi alla reazione rosso di metile e negativi al test di Voges Proskauer; habitat naturale: è l’intestino degli animali domestici, selvatici e dell’uomo, ma solo per alcune specie. Essi sono sensibili a molti disinfettanti chimici e fisici.

Ciclo vitale:
La Salmonella typhi, in alcuni casi può superare la barriera gastrica, è infatti molto sensibile all’ambiente acido, e raggiungere l’intestino tenue da cui può passare ai linfonodi mesenterici e poi giungere per mezzo dei vasi linfatici ed il dotto toracico il torrente circolatorio. Alla conclusione del ciclo, dopo un certo periodo, le salmonelle ritornano nel piccolo intestino attraverso l’escrezione biliare. Distribuzione: è ubiquitaria in tutto il mondo. Ancora oggi, malgrado le campagne di vaccinazione, il tifo è molto diffuso in particolare nelle zone del Mediterraneo, in Africa, in Asia e nell’America centrale e meridionale.

Porta d’ingresso:
attraverso il cavo orale, per ingestione, le Salmonelle, superata la barriera acida gastrica, raggiungono l’intestino. Trasmissione: La febbre tifoide rientra nell’ambito delle malattie a trasmissione orofecale; può quindi essere contratta in seguito all’ingestione di acqua o alimenti (mitili, frutta, verdura, latte non pastorizzato) contaminati da materiali fecali contenenti Salmonelle. Le Salmonelle sono dotate di una notevole resistenza nell’ambiente esterno, soprattutto se contenute in materiali organici e possono persistere per mesi nei liquami e nel fango; resistono a lungo anche nell’acqua e nel ghiaccio. Gli insetti, in particolar modo le mosche, possono fungere da vettori passivi dei germi patogeni. L’uomo, malato o portatore è l’unica sorgente di infezione.

Incubazione:
Il periodo di incubazione può variare da 3 giorni a 3 mesi a seconda della carica infettante, ma abitualmente è di 1-3 settimane.

Sintomi:
Nel sangue è caratteristica una leucopenia (diminuzione dei globuli bianchi), con scomparsa dei polinucleati eosinofili. La malattia si presenta molto spesso paucisintomatica con malessere generale, febbricola e malessere addominale con fastidi, lieve dolenzia e alvo irregolare o diarroico. Talvolta si presenta con febbre elevata che permane per circa una settimana, con lievi remissioni mattutine, e quindi inizia il periodo delle oscillazioni e delle intermittenze, con alterazioni dell’alvo e sintomi addominali importanti ed ingravescenti. La maggior parte dei casi evolve verso la  convalescenza. Altri sintomi frequenti sono: cefalea anche assai violenta, mialgie, epistassi, un notevole grado di ottundimento psichico, che può passare fino a coma profondo, ed esantemi cutanei roseoliformi, di preferenza localizzati al tronco ed al dorso.
Mortalità:
legata ai rari casi di enterorragia e perforazione intestinale, sempre più rari dopo l’introduzione della terapia antibiotica.

Periodo di contagiosità:
I pazienti affetti da febbre tifoide sono infettanti fintanto che S. typhi è presente nelle feci, ovvero dalla prima settimana di malattia per tutta la durata della convalescenza. Il 2-5% dei pazienti diviene portatore sano cronico, potendo eliminare le salmonelle del tifo per molti mesi e, in casi estremi, per anni.
Controllo e prevenzione:
Come per tutte le malattie a trasmissione fecale, lo scrupoloso rispetto di elementari norme igieniche sia individuali, che ambientali, che per la manipolazione e la conservazione degli alimenti è fondamentale. A livello collettivo la prevenzione delle malattie a trasmissione oro-fecale si realizza attraverso il corretto smaltimento ed allontanamento dei rifiuti solidi e liquidi e la disponibilità di acqua per uso umano sicura e controllata. Le salmonelle presentano una notevole resistenza all’ambiente esterno ma sono comunque sensibili all’azione dei comuni disinfettanti. Una buona soluzione disinfettante ad uso domestico può essere ottenuta diluendo 1 cucchiaio da tavola di comune varechina in 1 litro d’acqua. La soluzione così ottenuta può essere utilizzata per la disinfezione di posate, stoviglie ed altri utensili, come per la disinfezione di servizi igienici e di biancheria. Questa soluzione può essere utilizzata anche per disinfettare frutta e verdura da consumare crude, che dovranno successivamente essere abbondantemente risciacquate con acqua pura, potabile (anche bollita altrimenti disinfettata). Derivati della comune varechina, presenti in commercio, possono essere usati anche per “disinfettare” l’acqua da bere: in questo caso, per evitare sapori sgradevoli, il quantitativo da usare è un cucchiaino da tè in un litro d’acqua. La soluzione così preparata deve essere lasciata riposare per circa un’ora prima del consumo. In commercio sono disponibili preparati già pronti per la disinfezione domestica di ambienti, acqua e altri potenziali veicoli di infezione. Approfondisci vaccinazione Febbre Tifoidea Nei confronti della febbre tifoide sono disponibili diversi vaccini – contenenti germi uccisi, da somministrare per via intramuscolare (due dosi a distanza di un mese), oppure – costituiti da germi viventi attenuati, da somministrare per via orale (tre capsule da assumere a giorni alterni), oppure – vaccini contenenti l’antigene polisaccaridico Vi della S. typhi, da somministrare ugualmente per via intramuscolare (una sola dose, con richiami ogni 2-3 anni). Questi vaccini conferiscono una protezione dal 75 al 90%, della durata presumibile di 2-3 anni; sono indicati in situazioni epidemiche e per viaggiatori diretti in zone endemico-epidemiche, oppure per soggetti maggiormente esposti al rischio di contagio per motivi professionali (tecnici di laboratorio, addetti allo smaltimento di rifiuti, etc).

Precauzioni nei confronti del paziente, di conviventi e di contatti:
Nell’assistenza a pazienti affetti da febbre tifoide, dopo trattamento idoneo, debbono essere effettuate in laboratorio 3 coprocolture consecutive, eseguite su campioni fecali prelevati a non meno di 24 ore di distanza l’uno dall’altro e a non meno di 48 ore dalla sospensione di qualsiasi antibiotico. In caso di positività anche di una sola coprocoltura, l’intera procedura terapeutica deve iniziare nuovamente e gli esami ripetuti dopo un mese. Fino a negativizzazione delle coprocolture i soggetti colpiti da febbre tifoide debbono essere allontanati dalle attività che comportino la manipolazione o distribuzione di alimenti, l’assistenza sanitaria e quella all’infanzia. I conviventi ed i contatti di un caso di febbre tifoide vanno sottoposti a sorveglianza e ricercati altri eventuali casi di infezione determinati dalla fonte di esposizione. Con l’effettuazione di 2 coprocolture e di 2 urinocolture eseguite su campioni prelevati a non meno di 24 ore di distanza l’uno dall’altro e dopo sospensione per 48 ore di qualsiasi trattamento antimicrobico.

Trattamento:
Tramite antibiotici, quali l’ampicillina e il cloramfenicolo, si è arrivati a trattare definitivamente il tifo, abbreviandone il decorso a pochi giorni. Di efficacia attualmente i chinolonici. Terapia: cloramfenicolo in 4 somministrazioni/die fino 1mg x Kg peso; la terapia si prosegue per 15 giorni. Si accerta la guarigione clinica con 3 coprocolture consecutive negative. In alternativa si possono impiegare il tiamfenicolo, oppure l’ampicillina 100 mg/Kg/die oppure il cotrimoxazolo. Farmaci attualmente di seconda scelta per il sopraggiungere di importanti forme di resistenza. Il completamento della cura prevede la reidratazione del soggetto (la lingua del paziente diventa impaniata, asciutta fino all’aspetto di “lingua a pappagallo”); saranno, dunque, somministrati liquidi in via infusiva, soluzioni saline alternate a soluzioni zuccherine; in caso di enterorragia, in attesa del primo soccorso medico è indicata la borsa di ghiaccio sull’addome e la somministrazione in caso di tossiemia grave di cortisonici. I soggetti portatori di Salmonella vanno comunque bonificati previo impiego di ampicillina, o ancora meglio di chinolonici . La profilassi per chi è venuto a contatto si effettua con vaccini iniettivi o per os, anche con agenti vivi ed attenuati. Vaccino antitifico: La vaccinazione contro il tifo è consigliata a tutti i viaggiatori, in particolare a coloro che si recano in zone ove esiste maggior rischio di esposizione ad alimenti o bevande infette. Benchè il rischio sia ubiquitario, esso è più alto in quelle aree in cui le condizioni igienico sanitarie sono più precarie. La vaccinazione può essere effettuata con:

1)Vaccino orale. È un vaccino preparato con germi vivi attenuati. Viene realizzata mediante l’assunzione di 3 dosi da assumere a giorni alterni e a digiuno. È controindicato nei bambini al di sotto dei 2 anni. Non può essere assunto insieme ad antibiotici o ad antimalarici quali la Meflochina (Lariam). La dose di richiamo viene effettuata a distanza minima di un anno.

2) Vaccino iniettabile Vi. È un vaccino costituito dal polisaccaride capsulare purificato (Antigene Vi) agente di virulenza della Salmonella Typhi.  Si somministra in unica dose, per via intramuscolare, con richiamo a distanza di due o tre anni.

Assai rare le reazioni alla vaccinazione che si manifestano con: arrossamento, dolore e tumefazione nella sede di inoculazione e/o, più raramente, febbre, cefalea, nausea. Controindicazioni: è controindicato effettuare il vaccino in corso di malattia infettiva acuta, patologia cronica grave o ipersensibilità al vaccino. La vaccinazione è sconsigliata ai bambini al di sotto dei 2 anni e non deve essere effettuata contemporaneamente all’assunzione di antibiotici o antimalarici se orale. Effetti collaterali: rari i casi di eritema, tumefazione e dolore in sede di iniezione L’immunità dura 2 anni. Diagnosi: isolamento della S. Typhi da campioni di sangue, feci o altri campioni.

Febbre Tifoide – Scheda malattia Leggi tutto »

Febbre da West Nile Virus – Scheda malattia

Febbre da West Nile

 

  • Descrizione
  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

Descrizione

Descrizione: la Malattia del Nilo Occidentale (West Nile Disease – WND) è una malattia infettiva ad eziologia virale trasmessa da un Flavivirus, il virus West Nile (WNV), isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda, nel distretto West Nile (da cui prende il nome) e diffusosi in Africa, Asia occidentale, Europa, Australia ed America.

 

Agente infettivo: il virus West Nile è un virus ad RNA a singolo filamento che appartiene al gruppo antigenico del virus dell’Encefalite Giapponese, situato all’interno del genere Flavivirus della famiglia Flaviviridae. In questo gruppo sono compresi anche i virus responsabili dell’Encefalite di St. Louis, Encefalite della Valle del Murray, il virus Usutu, Kunjin, Kokobera, Stratford e Alfuy.

 

Ciclo vitale: I serbatoi del virus sono gli uccelli selvatici e le zanzare (più frequentemente del tipo Culex), le cui punture sono il principale mezzo di trasmissione all’uomo. Il virus si mantiene nell’ambiente attraverso il continuo passaggio tra gli insetti ematofagi, che albergano il virus a livello delle ghiandole salivari, e gli uccelli, che rappresentano il reservoir di infezione. Il ciclo biologico, quindi, coinvolge gli uccelli selvatici come ospiti amplificatori, mentre i mammiferi infettati si comportano come ospiti accidentali a fondo cieco, in quanto la viremia non presenta un titolo tale da poter infettare nuovamente un vettore competente. Nell’uomo, dopo la puntura dell’insetto vettore, il virus si replica nelle cellule di Langerhans del derma, che migrano verso la rete linfatica e, quindi, verso il torrente circolatorio. Questa fase corrisponde alla prima viremia, durante la quale il virus si diffonde in tutti gli organi del sistema linfatico. Successivamente avviene una seconda gittata viremica che corrisponde alla seconda viremia. Il virus può essere isolato nel sangue dopo 1-2 giorni dalla puntura dell’insetto vettore fino a poco più di una settimana. La comparsa nel siero di anticorpi di tipo IgM coincide con il termine della viremia. La viremia  da West Nile Virus è a basso titolo nell’uomo ed è assente al momento della comparsa dei sintomi.

 

 

West Nile Transmission Cycle

 

Distribuzione: WNV è stato isolato per prima volta in Uganda nel 1937 dal sangue di una donna febbricitante. Nel 1957 in Israele il virus fu responsabile di una dozzina di casi di encefalite nell’uomo, mentre casi di encefalite negli equini furono osservati per la prima volta nel 1960 in Egitto e in Francia. In un’epidemia scoppiata nel 1974 in Sudafrica il numero dei casi è stato stimato in circa 18.000, senza morti. Dagli anni Novanta sono stati segnalati diversi focolai nel bacino del Mediterraneo e, dal 1999, soprattutto in America.Nel 1996 in Romania il virus West Nile fu responsabile di oltre 350 casi umani di cui 20 mortali. Altri focolai umani sono stati segnalati nella Repubblica Ceca nel 1997 (5 casi), in Russia nel 1999 (826 pazienti ricoverati, 183 casi confermati e 40 morti) e in Francia nel 2003 (7 casi). Nel 1999 WNV fu isolato in Nord America da carcasse di corvi trovati morti e prima di allora il virus non era mai stato evidenziato nell’emisfero occidentale; dal 2002 la diffusione in America è drammaticamente aumentata con numerosi casi di encefalite e meningite, con elevata letalità, negli anni successivi il virus si diffuse da costa a costa interessando sia il confine canadese che quello messicano causando numerosi casi di encefalite nell’uomo.

 

 

Italia

 

In Italia, dal 1998 ad oggi sono stati segnalati 2 focolai epidemici. In entrambi gli episodi non sono stati segnalati casi nell’uomo. Il primo si è verificato in Toscana (Palude di Fucecchio) dove causò 14 casi clinici in cavalli, di cui 6 mortali. Nel corso dell’epidemia, pur in assenza di malattia conclamata, vennero rilevate positività anticorpali in persone che condividevano con i cavalli il rischio delle punture di zanzara. Il secondo focolaio italiano ha interessato nel 2008 i territori delle province di Ferrara, Bologna, Modena, Rovigo, Padova e Mantova, con casi confermati  di infezione in cavalli; successivamente a questo episodio sono stati segnalati  tre casi umani di WND: uno in provincia di Bologna e due in provincia di Ferrara. Nel 2008 in Italia si sono verificati per la prima volta casi di malattia neuro-invasiva di West Nile (WNND) nell’uomo in alcune province dell’Emilia Romagna e del Veneto, per un totale di 8 casi. Nel 2009 si sono verificati 18 casi di WNND nell’uomo nelle regioni Emilia Romagna, Veneto e Lombardia, così distribuiti: 5 casi nella provincia di Ferrara, tra cui 2 decessi, 1 caso nella provincia di Bologna, 3 casi nella provincia di Modena, tra cui 1 decesso, 6 casi nella provincia di Rovigo, 1 caso tra la provincia di Rovigo e Venezia (1 decesso) e 2 casi nella provincia di Mantova.

 

            AGGIORNAMENTI (15 settembre 2010):

 

Ad oggi si registrano in Europa:

 

–                    Russia: 246 casi di infezione umana con 6 decessi;

–                    Grecia: 164 casi di infezione umana con 14 decessi;

–                    Romania: 25 casi di infezione umana con 2 decessi;

–                    Olanda: 2 casi di infezione umana (secondo Eurosurveillance imporati da Israele);

–                    Ungheria: 3 casi di infezione umana;

–                    Spagna: 2 casi di infezione equina.

 

           In Italia la West Nile Disease è ricomparsa per il terzo anno consecutivo interessando anche territori in precedenza non coinvolti dalla circolazione virale.

L’Istituto Zooprofilattico di Teramo, laboratorio di referenza Oie per la febbre West Nile, riporta i dati confermati ad oggi, dal Centro di Referenza Nazionale per lo Studio delle Malattie Esotiche (CESME):

• una positività alla PCR su organi di un esemplare di ghiandaia (Garrulus glandarius) catturato in provincia di Modena;

• sette positività alla PCR di altrettanti pool di zanzare catturate in provincia di Venezia,

di Rovigo e di Modena;

• sei casi clinici di malattia negli equidi: 5 in provincia di Trapani, 1 in provincia di Venezia.

La provincia di Trapani, territorio in cui sono stati segnalati i primi sospetti clinici in data 23 agosto 2010, non è compresa fra le aree sottoposte a sorveglianza in base alla normativa

vigente.

La Regione Veneto ha segnalato un’infezione confermata da virus West Nile, durante il mese di agosto 2010. Il modesto quadro clinico associato all’infezione (febbre) non risponde alla definizione di caso riportata nella circolare del ministero della Salute del 21 luglio 2010.

In Italia la sorveglianza per malattie neuro invasive da West Nile è attiva nella stagione in cui si attende la massima probabilità di circolazione (15 giugno – 15 novembre). Ad oggi in tutto il 2010 non sono stati registrati casi di malattia neuroinvasiva.

Fonte: “West Nile Disease in Italia nel 2010” bollettino n.6 del 14 settembre 2010 dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale “G. Caporale” di Teramo, laboratorio di referenza Oie per la febbre West Nile.

Si registrano, inoltre, segnalazioni di infezione animale in 43 delle 67 contee della Florida, con 4 decessi umani, ed un nuovo primo caso umano negli USA dal 2002.

 

Al 10 agosto, Israele ha riportato 24 casi confermati e 6 presunti di infezione da virus West Nile nell’uomo. La maggioranza dei casi provengono dalla regione centrale e da Tel Aviv, mentre casi isolati sono stati riportati dalla regione di Haifa.

 

In Turchia si contano 7 casi di infezione umana con 3 decessi.

Al 24 agosto 2010 in Marocco si sono registrati 18 casi di infezione equina con 8 decessi, ma nessun caso di infezione umana.

 

 

Porta di ingresso: cute, tramite puntura della zanzara vettore durante il pasto ematico.

 

 

Trasmissione: il virus West Nile è trasmesso sia negli animali che all’uomo tramite la puntura di zanzare infette. Altri mezzi di infezione documentati, anche se molto più rari, sono trapianti di organi, trasfusioni di sangue e la trasmissione madre-feto in gravidanza. Il virus infetta diversi mammiferi, soprattutto equini, ma in alcuni casi anche cani, gatti, conigli e altri. E’ importante sottolineare che il virus non si trasmette da persona a persona, né da cavallo a persona attraverso la puntura di una zanzara infetta a causa dei bassi livelli di viremia.

 

 

Incubazione: Il periodo di incubazione dal momento della puntura della zanzara infetta varia fra 2 e 14 giorni, ma può essere anche di 21 giorni nei soggetti con deficit a carico del sistema immunitario.

 

 

Sintomi: La maggior parte delle persone infette non mostra alcun sintomo. Fra i casi sintomatici, circa il 20% dei soggetti sviluppa una malattia sistemica febbrile chiamata comunemente febbre di West Nile (WNF) caratterizzata dalla comparsa di febbre, cefalea, nausea, vomito, linfoadenopatia, possibili eruzioni cutanee. Generalmente questa fase acuta si risolve in una settimana o poco più, e possono variare molto a seconda dell’età della persona. Nei bambini è più frequente una febbre leggera, nei giovani la sintomatologia è caratterizzata da febbre mediamente alta, arrossamento degli occhi, mal di testa e dolori muscolari. Negli anziani e nelle persone debilitate, invece, la sintomatologia può essere più grave.

I sintomi più gravi si presentano in media in meno dell’1% delle persone infette (1 persona su 150), manifestandosi come una malattia neuro-invasiva (encefalite, meningo-encefalite, paralisi flaccida), con possibile decorso fatale. Il rischio di contrarre la forma neurologica della malattia aumenta all’aumentare dell’età ed è particolarmente elevato nei soggetti di età superiore ai 60 anni. Viceversa, in uno studio di sorveglianza  effettutato negli Stati Uniti tra il 1998 e il 2008, è emerso che le paralisi flaccide acute sono state segnalate in percentuale maggiore in soggetti di età inferiore ai 60 anni. La letalità delle forme neuro-invasive si aggira intorno al 9% nei soggetti anziani e meno dell’1% nei bambini.

 

 

Diagnosi: La diagnosi nell’uomo viene prevalentemente effettuata attraverso test di laboratorio (Elisa o Immunofluorescenza) effettuati su siero e, dove indicato, su fluido cerebrospinale, per la ricerca di anticorpi del tipo IgM. Questi anticorpi possono persistere per periodi anche molto lunghi nei soggetti malati (fino a un anno), pertanto la positività a questi test può indicare anche un’infezione pregressa.  La siero-conversione o l’aumento di 4 volte del titolo anticorpale può essere utilizzata per diagnosticare un’infezione recente. I campioni raccolti entro 8 giorni dall’insorgenza dei sintomi potrebbero risultare negativi, pertanto è consigliabile ripetere a distanza di tempo il test di laboratorio prima di escludere la malattia. In alternativa la diagnosi può anche essere effettuata attraverso Pcr o coltura virale su campioni di siero e fluido cerebrospinale entro 7 giorni dall’inizio della sintomatologia acuta, tenendo conto che la viremia è relativamente di breve durata e di basso titolo.

 

 

Controllo e prevenzione: Non esiste un vaccino per la febbre West Nile. Attualmente sono allo studio dei vaccini, ma per il momento la prevenzione consiste soprattutto nel ridurre l’esposizione alle punture di zanzare.

Pertanto è consigliabile proteggersi dalle punture ed evitare che le zanzare possano riprodursi facilmente:

·         usando repellenti e indossando pantaloni lunghi e camicie a maniche lunghe quando si è all’aperto, soprattutto all’alba e al tramonto

·         usando delle zanzariere alle finestre

·         svuotando di frequente i vasi di fiori o altri contenitori (per esempio i secchi) con acqua stagnante

·         cambiando spesso l’acqua nelle ciotole per gli animali.

 

Il controllo nei confronti della WND si basa essenzialmente sulla sorveglianza degli uccelli stanziali di specie sinantropiche, degli equidi e dell’avifauna selvatica di specie migratorie. A seconda della situazione epidemiologica riscontrata, per il 2010 sono state individuate 3 aree geografiche distinte:

A.    area con circolazione virale (anno 2009) (ACV)

B.    area di sorveglianza esterna all’area ACV, estesa per un raggio di 20 km intorno ai casi verificatisi (AE)

C.    undici aree a rischio (AR)

 

 

 

 

Trattamento: Non esiste una terapia specifica per la febbre West Nile, il trattamento è solo sintomatico. Nella maggior parte dei casi, i sintomi scompaiono da soli dopo qualche giorno o possono protrarsi per qualche settimana. Nei casi più gravi è invece necessario il ricovero in ospedale, dove i trattamenti somministrati comprendono fluidi intravenosi e respirazione assistita. Vi sono recentissime segnalazioni in letteratura che suggeriscono, su modelli animali, la possibile efficacia del trattamento con immunoglobuline specifiche anti WNV.

Febbre da West Nile Virus – Scheda malattia Leggi tutto »

Epatite B – Scheda malattia

Descrizione

L’epatite virale è uno dei più importanti problemi sanitari in tutto il mondo. Si stima che ci sono approssimativamente circa 300 milioni cronici di portatori di epatite B nel mondo, di cui la metà nel continente asiatico. In Italia il 3-4% della popolazione è portatore cronico di epatite; un portatore cronico può sviluppare malattie gravi (epatite acuta, cirrosi epatica e tumore del fegato) alcune delle quali mortali. La media è tra i 15 e i 25 anni, con una netta prevalenza per il sesso maschile. Il virus dell’epatite B è estremamente contagioso (molto più di quello dell’AIDS).

Epatite B

  • Descrizione
  • Agente infettivo
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Evoluzione
  • Controllo e prevenzione
  • Vaccinazione

Agente Infettivo

Virus dell’epatite B: Epadnavirus.

Distribuzione

Africa, Medio Oriente, Asia, Centro e Sud America

Porta di ingresso

Sangue (trasfusioni, aghi, siringhe, strumenti chirurgici contaminati, trapianto di organi infetti, parto), microlesioni della cute o delle mucose in particolare degli organi sessuali a contatto con materiali biologici infetti (rapporti sessuali, chirurgia, interventi odontoiatrici).

Trasmissione

Rapporti sessuali, sangue infetto o altri liquidi biologici, anche se in minor misura. Trasmissione verticale dalla madre al figlio durante il parto. Se contratta in giovane età diventa molto spesso cronica: nel 90% dei casi nei neonati, nel 50% tra i bambini. Tra gli adulti, invece, cronicizza solo nel 5 % dei casi. Esiste un vaccino, obbligatorio per legge dal 1991.

Incubazione

60-180 giorni.

Sintomi

Forme asintomatiche: (65-70% del totale).
Forme anitteriche: frequenti nei bambini; malessere generale, astenia, nausea, anoressia, vomito, febbre.
Forme itteriche: come le precedenti, con ittero successivo ingravescente e (raramente nel bambino) urine ipercromiche e feci acoliche.

Rara la forma fulminante, a esito letale. Nell’epatite B cronica attiva, il 25 per cento dei pazienti va incontro a cirrosi, mentre il 5% viene colpito da carcinoma epatico.

Nel caso di epatite cronica, attiva o meno, il portatore resta comunque contagioso: certamente il contagio è più facile quanto più il virus si replica e, quindi, più elevato è il suo livello nel sangue (viremia).

L’infezione acuta da epatite A, B e C è caratterizzata nella prima fase da:

  • Malessere generale
  • Perdita dell’appetito
  • Nausea
  • Debolezza
  • Facile affaticabilità
  • Mal di testa
  • Dolori addominali non intensi e difficilmente localizzabili
  • Ittero (la pelle e la sclera assumono un colore giallastro)

In alcuni casi (10-20%), il paziente presenta il quadro classico dell’influenza con febbre (da 37,7 a 38,3) e anche mal di gola, raffreddore e tosse. Le urine tendono a diventare ipercromiche, cioè con una colorazione più intensa. In definitiva, la sintomatologia è poco specifica (cioè non fa pensare immediatamente all’epatite) perché potrebbe essere riferita anche ad altre malattie. Ci sono però alcune circostanze che devono far pensare a un’epatite, per esempio:

  • Recentemente si sono mangiati frutti di mare crudi
  • Si è sofferto di un’intossicazione alimentare
  • Si sono avuti rapporti sessuale non protetti
  • Si sono avuti contatti con persone con deficit immunitari
  • Si è entrati in contatto con sangue o emoderivati
  • Si è fatto uso di stupefacenti con scambio di siringhe

Evoluzione

Negli adulti il 10% dei casi (la percentuale è maggiore nei bambini) può cronicizzare ed evolvere verso una cirrosi o un epatocarcinoma. Tali complicanze sono inversamente proporzionali all’età di insorgenza. Superata l’infezione acuta, il soggetto può divenire portatore sano e può trasmettere il virus ad altri soggetti.

Controllo e prevenzione

Ancora oggi non esiste un trattamento risolutivo per l’epatite cronica, ma la situazione è migliorata negli ultimi anni, in particolare con il perfezionamento delle terapie con Interferone alfa, sostanza normalmente prodotta dall’organismo che riesce a impedire la replicazione virale. Non essendoci attività del virus, il tessuto epatico non vene danneggiato e non si ha progresso verso la cirrosi. Sfortunatamente, il tasso di successo pieno delle terapie con interferone è pari al 15%, si sale al 30% con la terapia combinata (interferone più ribairina) ma nel restante 70% si assiste a un ripresa dell’attività della malattia. Quella farmacologica non è la sola terapia, ovviamente, in quanto si ricorre alla chirurgia sia per la rimozione delle zone del fegato ormai cirrotiche sia, come soluzione estrema, per il trapianto dell’organo.

Sul piano della prevenzione, il più importante passo avanti è stata la messa a punto del vaccino contro l’epatite B, che con tre inoculazioni garantisce un’immunità superiore al 90%. In questo modo, in Italia si è avuto un drastico calo dei nuovi casi, tanto che oggi nei centri di ricerca si fa fatica a trovare pazienti infettati di recente.

Vaccinazione

E’ obbligatoria in Italia dal 1991 per tutti i nuovi nati e, per i dodici anni successivi all’entrata in vigore della legge, per gli adolescenti nel corso del 12° anno. Il vaccino viene inoltre fornito ai soggetti delle seguenti categorie a rischio (D.M 4.10.1991):

Conviventi, in particolare bambini, e altre persone a contatto con soggetti HBsAg positivi.

  • Politrasfusi, emofilici, emodializzati
  • Vittime di punture accidentali con aghi potenzialmente infetti.
  • Soggetti affetti da lesioni croniche eczematose e psoriasiche della cute delle mani. Detenuti negli Istituti di prevenzione e pena.
  • Persone che si rechino all’estero, per motivi di lavoro, in aree geografiche ad alta endemia di HBV.
  • Tossicodipendenti, omosessuali e soggetti dediti alla prostituzione.
  • Personale sanitario di nuova assunzione nel SSN e personale già impegnato in attività a maggior rischio di contagio, segnatamente che lavori in reparti di emodialisi, rianimazione, oncologia, chirurgia generale e specialistica, ostetricia, malattie infettive, ematologia, laboratori di analisi, centri trasfusionali, sale operatorie, studi dentistici, medicina legale e sale autoptiche, pronto soccorso.
  • Soggetti che svolgono attività di lavoro, studio e volontariato nel settore della sanità.
  • Personale e ospiti di istituti ritardati mentali.
  • Personale religioso che svolge attività nell’ambito dell’assistenza sanitaria.
  • Personale addetto alla lavorazione degli emoderivati.
  • Personale della Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo degli agenti di custodia, Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco, Comandi Municipali dei Vigili Urbani.
  • Addetti ai servizi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti.

Il vaccino attualmente in uso, prodotto con tecniche di ingegneria genetica, è efficace e privo di rischi.

Viene somministrato per via i.m. nella parte antero-laterale della coscia del lattante, e nel deltoide al di sopra dei 10 anni.

Calendario vaccinale

Per i neonati:1° dose 2-3° mese (con OPV-DTP); 2° dose 4-5° mese (con OPV-DTP); 3° dose 3° mese; 4° dose 11-12° mese.

Per tutti gli altri soggetti:1° dose tempo 0; 2° dose dopo un mese; 3° dose dopo sei mesi dalla prima.

Viaggiatori internazionali

Si consiglia la somministrazione del vaccino a tutti coloro che si recano in paesi iperendemici in particolare in paesi della fascia tropicale e subtropicale, dei paesi dell’Est Europeo, e del Bacino del Mediterraneo. E’ opportuno che tutti coloro che si recano per motivi di lavoro e per periodi prolungati effettuino la vaccinazione.

Controindicazioni

Oltre a quelle generiche vi è in particolare: ipersensibilità accertata verso i componenti del vaccino.

Effetti collaterali

Locali : eritema, tumefazione, prurito, dolore in sede di iniezione (idrossido di alluminio), di lieve durata; generali: (circa 5%). Febbre, cefalea, nausea, vertigini, mialgie, dolori articolari, di breve durata.

Epatite B – Scheda malattia Leggi tutto »

Epatite A – Scheda malattia

Descrizione: l’epatite virale di tipo A è una malattia infettiva, acuta, contagiosa, di tipo alimentare, ad evoluzione generalmente benigna. Le epatiti virali, conosciute ad oggi, sono cinque più una, che ha caratteristiche cliniche e sierologiche molto particolari (epatite G). L’epatite A provoca una malattia acuta che nei bambini causa pochi sintomi e può anche passare inosservata, mentre negli adulti è decisamente più grave: produce ittero, costringe a letto per qualche settimana e a volte ha periodi di convalescenza piuttosto lunghi. Tuttavia non cronicizza e le forme mortali (fulminanti) sono rare. Esiste un vaccino utilizzato a scopo preventivo e di grande importanza nel viaggiatore.

Epatite A

  • Descrizione
  • Agente infettivo
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Evoluzione
  • Controllo e prevenzione
  • Calendario
  • Controindicazioni
  • Effetti collaterali

È consigliata a tutti i viaggiatori che si recano in zona di endemia del virus, in particolare in paesi tropicali, subtropicali e del bacino del Mediterraneo e dell’Est Europa. La vaccinazione è particolarmente consigliata alla popolazione sotto i 35 anni.

 

Agente infettivo:
virus dell’epatite A.

Distribuzione:
Aree iperendemiche sono l’Africa, il sud-est asiatico, l’America del Sud, il bacino del mediterraneo e l’est europeo.

Porta di ingresso:
orale, infezione orofecale.

Trasmissione:
oro-fecale attraverso cibi crudi o poco cotti (verdure, frutti di mare). Segnalati rari casi di trasmissione parenterale.
Trasmettendosi attraverso cibi e acqua contaminati e i contatti interpersonali, la sua diffusione è legata alle condizioni igieniche generali e personali, ed all’igiene degli alimenti, contaminati attraverso materiale fecale di persone infette: dal cuoco che non si è lavato le mani dopo essere andato in bagno agli scarichi fognari che contaminano acque dalle quali si prelevano frutti di mare. Non a caso il cattivo stato degli acquedotti e delle fogne sono spesso causa di endemia dell’infezione.

Incubazione:
15 – 30 giorni.

Sintomi:
disturbi gastrointestinali, febbre, astenia, artralgie, ittero di durata variabile. Al di sotto dei due anni d’età le forme sono quasi sempre inapparenti.

L’infezione acuta da epatite A, B e C è caratterizzata nella prima fase da:

  •   Malessere generale – Perdita dell’appetito – Nausea – Debolezza – Facile affaticabilità – Mal di testa – Dolori addominali non intensi e difficilmente localizzabili – Ittero (la pelle e la sclera assumono un colore giallastro)

In alcuni casi (10-20%), il paziente presenta il quadro classico dell’influenza con febbre (da 37,7 a 38,3) e anche mal di gola, raffreddore e tosse. Le urine tendono a diventare ipercromiche, cioè con una colorazione più intensa. In definitiva, la sintomatologia è poco specifica (cioè non fa pensare immediatamente all’epatite) perché potrebbe essere riferita anche ad altre malattie. Ci sono però alcune circostanze che devono far pensare a un’epatite, per esempio:

  • Recentemente si sono mangiati frutti di mare crudi – Si è sofferto di un’intossicazione alimentare – Si sono avuti contatti con persone con deficit immunitari

Evoluzione:
di solito è favorevole.

Controllo e prevenzione:
Vaccino è realizzato con virus inattivato, altamente efficace e sicuro, somministrato per via intramuscolare. Raccomandata per i viaggiatori in zone ad alto rischio (30-100 casi/100mila abitanti/anno), per il personale sanitario, per gli addetti alla manipolazione di alimenti, per i soggetti che vivono in comunità chiuse, tossicodipendenti, omosessuali. Bambini < 10 anni dose pediatrica; > 10 anni dose adulti.
Approfondisci vaccinazione Epatite A

Calendario:
Dal 3° mese di vita: 1° dose tempo 0; 2° dose dopo 1 mese; 3° dose dopo 6-12 mesi dalla prima.

Controindicazioni:
In caso di malattie infettive in atto. il vaccino non va somministrato a soggetti con diatesi emorragiche o disturbi ematologici; ai bambini al di sotto di 1 anno; e va sconsigliato durante la gravidanza e l’allattamento.

Effetti collaterali:
Arrossamento e tumefazione nella sede di inoculazione. Irritazione e tumefazione in sede di iniezione, febbre, cefalea, nausea.

Epatite A – Scheda malattia Leggi tutto »

Tripanosmiasi Africana – Scheda malattia

Descrizione: la Tripanosomiasi Africana, conosciuta anche come malattia del sonno, è una infezione subacuta severa, che può essere fatale se non viene trattata. Questa infezione è strettamente correlata con una infezione bovina chiamata N’gana. La malattia del sonno provoca annualmente poche vittime, ma i rischi di epidemie suggeriscono una continua monitorizzazione della malattia e l’utilizzo costante di misure di controllo e prevenzione.

tripanosmiasi

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Stato della ricerca

 

descrizione

Agente infettivo:
il protozoo del genere Tripanosoma, entra nelle vie sanguigne mediante la puntura della mosca tse-tse (Glossina spp.).
–    Il Trypanosoma brucei rhodesiense si trova principalmente in africa dell’est e del sud.
–    T.b. gambiense maggiormente in africa dell’ovest.
–    T.b. brucei  invece è responsabile dell’infezione bovina ma non provoca infezioni nell’uomo.

Ciclo Vitale:
ciclo vitale

La mosca TseTse (Glossina), nutrendosi di sangue, inietta nel tessuto cutaneo dell’uomo un tripomastigote metaciclico. Il parassita entra nel sistema linfatico e quindi nel circolo sanguigno.

1)  una volta nell’ospite si trasforma in tripomastigote del circolo sanguigno.
2)  circolando liberamente incontra altri fluidi quali per esempio il fluido spinale continuando a moltiplicarsi mediante fissione binaria
3)  l’intero ciclo vitale del Tripanosoma Africano è rappresentato da fasi extracellulari. La mosca TseTse viene infettata da tripomastigoti nutrendosi del sangue di mammiferi infetti
4)  il parassita, una volta negli organi interni della mosca, si trasforma in un tripomastigote prociclico, moltiplicandosi mediante fissione binaria
5)  quindi abbandona gli organi interni per trasformarsi in epimastigote
6)  l’epimastigote raggiunge le ghiandole salivari della mosca e continua a moltiplicarsi
7) il ciclo nella mosca dura approssimativamente tre settimane.

Distribuzione:
36 paesi in Africa Sub Sahariana:
–   7 paesi ad elevata endemia
–   4 paesi ad endemia
–   12 paesi ad endemia moderata
–   13 paesi hanno uno stato epidemiologico ancora non ben definito.

Porta d’ingresso:
cute.

Trasmissione:
la mosca TseTse, sia maschio che femmina, fa da vettore fra uomo e uomo, gli animali selvatici e i bovini invece fungono da serbatoi per l’infezione. Una volta nel corpo umano, il tripanosoma si moltiplica e invade la maggior parte dei tessuti.

Incubazione:
da 5 a 60 giorni

Sintomi:
l’infezione si presenta con malessere, spossatezza e febbre irregolare. I primi sintomi includono febbre con ingrossamento delle linfoghiandole e della milza.

–   Questi sintomi sono più severi e acuti nell’infezione da T.b. rhodesiense. I primi sintomi sono seguiti da una serie di sintomi quali mal di testa, anemia, dolore alle articolazioni. I sintomi più avanzati invece includono disordini neuronali ed endocrini. Quando il parassita invade il sistema nervoso centrale, ha inizio un  deterioramento mentale che può sfociare nel coma e nella morte.
–   L’infezione da T. b. rhodesiense solitamente si presenta come forma acuta dell’infezione, causando la morte entro poche giorni o settimane.
–   T.b. gambiense invece tende a progredire più lentamente (anche anni) ed è una forma meno severa.

Controllo e prevenzione:
viene fatto con una sistematica sorveglianza delle popolazioni ad alto rischio e congiuntamente vengono trattate le persone infette. Un altro ruolo importante è manifestato dalla riduzione della presenza della mosca TseTse, soprattutto la Rhodesiense, con efficaci azioni ambientali. Nel passato ci fu una massiccia disinfestazione dei luoghi dove potevano essere presenti le mosche e le larve mediante l’utilizzo di insetticidi.

Trattamento:
sempre stato molto difficile, soprattutto quando viene raggiunto il sistema nervoso centrale, in quanto non sono ancora presenti sul mercato medicine efficaci.
–   La Pentamidina per esempio non è efficace nel tardo livello della malattia, anzi, alcuni parassiti sono resistenti alla stessa.
–   La Suramina deve essere somministrata per via endovenosa e può dare importanti effetti collaterali.
–    Il Melarsoprolo un derivato dell’Arsenico, farmaco sviluppato ormai più di 50 anni fa, viene usato nella tarda fase della malattia, ma spesso produce seri e a volte fatali effetti secondari.
–    La Eflornithina, nuovo farmaco, originariamente sviluppato come farmaco antitumorale, ha mostrato di poter essere utilizzato efficacemente contro la T.d. Gambiense.

Stato della ricerca:
la ricerca di nuove molecole che possano essere utilizzate contro la Tripanosmiasi Africana continua. Purtroppo al giorno d’oggi c’è ancora una mancanza di target validi e di nuove idee per sviluppare farmaci contro la tripanosmiasi e la leishmaniosi. Sicuramente è stato molto difficile trovare della molecole in grado di combinare buona attività, mancanza di tossicità a la capacità di attraversare la barriera emato-encefalica, tutte caratteristiche necessarie per un farmaco che voglia essere attivo ed efficace contro la malattia del sonno causata da una infezione cronica da Tripanosoma Africano.

Tripanosmiasi Africana – Scheda malattia Leggi tutto »

Schistosomiasi – Scheda malattia

Descrizione, Agente infettivo: La Schistosomiasi è causata da platelminti.  Le tre specie principali che infettano l’uomo sono Schistosoma haematobium, S. japonicum e S. mansoni.  Altre due specie, più localizzate geograficamente, sono S. mekongi e S. intercalatum.  Inoltre, altre due specie di schistosomi, che parassitano gli uccelli ed i mammiferi, possono determinare nell’uomo la dermatite da cercarie

Uova di Schistosoma mansoni con la caratteristica spina laterale

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

 

agente infettivo.

Ciclo vitale:
Le uova vengono eliminate con le feci o le urine (1).  In condizioni ottimali le uova rilasciano il miracidio (2), che nuota e penetra nell’ospite intermedio, il mollusco (3).  Le fasi nel mollusco comprendono due generazioni di sporocisti (4) e la produzione di cercarie (5).  Dopo il rilascio dal mollusco, la cercaria infettiva nuota e penetra nella pelle umana (6), dove, perdendo la coda, diventa schistosomulo (7).  Gli schistosomuli migrano attraverso numerosi tessuti fino a raggiungere la sede definitiva nelle vene (8), (9).  I vermi adulti , nell’uomo, risiedono nelle venule mesenteriche in varie posizioni, che sembrerebero essere distinte per le diverse specie (10).  Ad esempio, S. japonicum si localizza più frequentemente nelle vene mesenteriche superiori che drenano il piccolo intestino (A), e S. mansoni si trova più spesso nelle vene mesenteriche superiori che drenano il grosso intestino (B).  Tuttavia, entrambe le specie possono trovarsi in ciascuna delle posizioni, e sono in grado di spostarsi tra i due siti, per cui non è possibile stabilire la corrispondenza certa della specie con la posizione.  S. haematobium si trova generalmente nel plesso venoso vescicale (C), ma può localizzarsi anche nelle piccole venule del plesso rettale.  Le femmine (lunghe da 7 a 20 mm; i maschi sono leggermente più piccoli) depositano le uova nelle piccole vene dei sistemi portale e perivescicale.  Le uova progrediscono sino ad arrivare al lume intestinale (S. mansoni and S. japonicum) ed al lume vesciclale ed ureterale (S. haematobium), e vengono dunque eliminate con le feci oppure con le urine, rispettivamente (1).
ciclo

Distribuzione:
La Schistosomiasi è presente in Africa, Sud America e Caraibi, nel sud della Cina, nelle Filippine e nel sud-est asiatico.

CDC- YELLOW BOOK, 2016

Schistosoma mansoni si trova in aree del Sud America e Caraibi, Africa sub-sahariana, e  Medio Oriente; in Egitto sta a poco a poco sostituendosi a S. haematobium a causa delle modificazioni climatiche introdotte dalla costruzione della grande diga di Assuan;  S. haematobium è presente in Africa e in Medio Oriente; S. japonicum è diffuso in Estremo Oriente: eradicato dal Giappone, è endemico nella Repubblica Popolare Cinese, nelle Filippine e in focolai limitati in Indonesia. Schistosoma mekongi e S. intercalatum sono presenti a focolai nel Sud Est Asiatico (Penisola Indocinese: Laos, Thailandia, Cambogia) ed in Africa Centrale Occidentale, rispettivamente.

Porta d’ingresso:
cute.

Trasmissione:
È trasmessa attraverso l’ingresso delle larve infestanti per via transcutanea durante l’immersione prolungata (in corso di un bagno o di un guado) di parti del corpo in acque dolci e non vorticose (fiumi di portata non elevata, canali di irrigazione, laghi naturali o artificiali), in cui siano presenti gli ospiti intermedi (molluschi) infestati.
Numerosi animali come cani, gatti, roditori, suini, cavalli e capre sono reservoirs per S. japonicum, ed i cani per  S. mekongi.
uova
Uova di Schistosoma mansoni nella parete intestinale.
Incubazione:
40-60 giorni.

Sintomi:
Si tratta di un’infestazione spesso asintomatica per decenni, fino alla comparsa dell’infe­stazione cronica. I sintomi della malattia, legati alla reazione allergica contro le uova, sono: prurito; arrossamento della pelle; a volte febbre e dolori muscolari. paralisi o mieliti. La schistosomiasi acuta (febbre di Katayama) si può verificare alcune settimane dopo dopo l’infezione iniziale, specialmente da S. mansoni e S. japonicum.  La sintomatologia comprende febbre, tosse, dolori addominali, diarrea, epatosplenomegalia, eosinofilia. Nel caso raro in cui le uova penetrino nel midollo spinale o nel cervello si possono avere granulomi cerebrali causati da uova ectopiche di S. japonicum nel cervello, mentre lesioni granulomatose intorno alle uova ectopiche nel midollo spinale di S. mansoni e S. haematobium possono risultare in mieliti trasverse con paraplegia flaccida.  Nel caso di reinfezioni continue – ciò non riguarda i viaggiatori di breve periodo – si possono determinare reazioni granulomatose e fibrosi degli organi affetti che includono: poliposi del colon con diarrea con perdite ematiche (Schistosoma mansoni); ipertensione portale con ematemesi e splenomegalia (S. mansoni, S. japonicum, S. mansoni); cistite e ureterite (S. haematobium) con ematuria, che può progredie fino al tumore vescicale; ipertensione polmonare (S. mansoni, S. japonicum, più raramente S. haematobium); glomerulonefrite; lesioni del sistema nervoso centrale.

Controllo e Prevenzione:
poiché non è facile sapere se le acque sono infestate dai vermi, è bene evitare di fare i bagni o comunque avere contatto a pelle nuda con le acque superficiali quali fiumi, laghi e canali, nei Paesi a rischio. Il bagno in mare o nelle piscine, le cui acque sono state depurate, non è a rischio. Non esiste una vaccinazione, ma esistono farmaci efficaci per la cura della malattia.

Trattamento:
Per il trattamento della Schistosomiasi sono disponibili farmaci sicuri ed efficaci: il farmaco di scelta è il praziquantel per le infestazioni causate da tutte le specie. Nei confronti dello S. mansoni  l’ Oxamniquina è più efficace del  praziquantel.

Diagnosi:
Nel caso si sospetti la malattia, il viaggiatore dovrebbe essere sottoposto ad un’analisi delle feci e delle urine per la ricerca delle uova del parassita. Le biopsie tissutali (rettale per tutte le specie e vescicale per S. Haematobium) può dimostrare la presenza di uova se la ricerca nelle urine o nelle feci ha dato esito negativo. Inoltre la ricerca degli Anticorpi specifici può essere utile sia nel follow-up clinico che negli studi epidemiologici.

Schistosomiasi – Scheda malattia Leggi tutto »

Leishmaniosi – Scheda malattia

Descrizione:
E’ una malattia infettiva di origine protozoaria, intracellulare, parassita di alcune famiglie di leucociti. HA una tipologia cronica. Il protozoo della Leishmania fu così chiamato a causa della sua scoperta nel 1901 da parte di W. B. Leishman.  La Leishmaniosi è presente in 22 paesi delle Americhe, in particolare centro e sud america,  e in altre 66 nazioni del mondo, ma non la si trova nel sud est asiatico. L’infezione nell’uomo è stata riscontrata in 16 paesi europei, incluse Francia, Italia, Grecia, Malta, Spagna e Portogallo. La malattia può presentarsi sotto diverse forme, e generalmente è riconoscibile per la sua forma cutanea, non mortale, ma la quale crea lesioni molto importanti, invalidanti; una epidemia della forma viscerale invece può causare un elevato numero di morti.

aleishmaniosi

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Stato della ricerca

 

Agente infettivo:
è un protozoo del genere Leishmania, che viene trasmesso all’uomo dalle mosche del deserto. Più di 20 specie o sottospecie del parassita infettano l’uomo, ognuna delle quali provoca uno spettro di sintomi differente. Questi sintomi sono caratterizzati da lievi ulcere della pelle (Leishmania Major), oppure da ulcere di tipo più severo o da compromissione di organi interni che può minacciare la vita della persone infettate  (per esempio la Leishmaniosi viscerale provocata da by L. donovani s.l.).  In particolare viene fatta la seguente divisione:

  • L. donovani che comprende 3 specie: L. donovani, L. infantum, and L. chagasi;
  • L. Mexicana anch’essa comprende 3 specie: L. mexicana, L. amazonensis e L. venezuelensis;
  • L. tropica;
  • L. major;
  • L. Aethiopica;  costituito da 4 principali specie: L. (V.) braziliensis, L. (V.) guyanensis, L. (V.) panamensis e L. (V.) peruviana.

Le diverse specie sono morfologicamente indistinguibili, ma possono essere distinte mediante analisi con isoenzimi, metodi molecolari e con anticorpi monoclonali.

Ciclo vitale:
la Leishmania viene trasmessa dal morso della femmina della mosca del deserto (Glossima). 1) La mosca in questo modo inietta i promastigoti nel circolo sanguigno dell’ospite durante il suo pasto. 2) I promastigoti che si trovano sulla ferita provocata dalla mosca, vengono fagocitati dai macrofagi e 3) trasformati in amastigoti. 4) a differenza della specie della Leishmania con la quale l’ospite viene infettato, gli amastigoti si moltiplicano e infettano tessuti differenti. E’ a questo punto che si ha la manifestazione della Leishmaniosi. 5) 6) La mosca si infetta durante il pasto ingerendo macrofagi infetti da amastigoti. 7) Negli organi interni della mosca, il parassita si differenzia in promastigote, 8) che si moltiplica e migra alla proboscide della mosca. In questo modo, la mosca, pungendo un individuo lo infetta.
ciclo

Distribuzione:
la Leishmaniosi è endemica in 88 paesi. Più del 90% dei casi di Leishmaniosi cutanea avvengono in Iran, Afghanistan, Siria, Arabia Saudita, Brasile e Perù. Più del 90% della forma viscerale invece la si trova in Bangladesh, Brasile, India e Sudan.

Porta d’ingresso:
attraverso la cute, per puntura della mosca.

Trasmissione:
insettol’uomo viene infettato a causa del morso del Flebotomo, la mosca del deserto (che fa parte della sottofamiglia delle phlebotominae). Queste mosche sono molto piccole, colorate e si nutrono di sangue. Vivono per lo più nella foresta, in grotte o negli anfratti delle rocce. Sia animali selvaggi che l’uomo possono fungere da vettori dell’infezione. La maggior parte delle Leishmaniosi sono originalmente infezioni di piccoli mammiferi (fungono da ‘ospiti serbatoio’) e giocano un ruolo fondamentale nella epidemiologia dell’infezione. Nelle Americhe la leishmaniosi è principalmente trasmessa dalla mosca del genere Lutzomyia, nel resto del mondo invece dal genere Phlebotomus. Le mosche  si infettano nutrendosi di sangue da ‘ospiti serbatoio’ o da persone infette.

Sintomi:
sintomile 20 specie o più del parassita, provocano diversi tipi di sintomi, alcuni dei quali sono più comuni (febbre, malessere, perdita di peso, anemia); le forme viscerali causano anche l’ingrossamento della milza, del fegato e dei linfonodi.
Le Lesihmaniosi possono essere classificate in 4 forme principali:

  • Leishmaniosi  viscerale (VL): la forma più seria dell’infezione in quanto può essere mortale se non trattata (per esempio il tipo Kala azar dovuta alla L. Donovani)
  • Leishmaniosi cutanea (CL): la forma più comune dell’infezione che può provocare fino a 200 tipi di lesioni diverse sulla pelle che tendono a regredire da sole in pochi mesi, ma che lasciano anche profonde cicatrici (esempio: Baghdad ulcer, Delhi boil o Bouton d’Orient, infezione provocata da L. majio in Africa e Asia)
  • Leishmaniosi mucocutanea (MCL): produce lesioni sulla pelle disseminate sul corpo intero, sono lesioni di tipo cronico rassomiglianti a quelle della Lebbra. Questo tipo di Leishmaniosi è molto difficile da curare
  • Leishmaniosi cutanea diffusa (DCL): provoca lesioni diffuse e croniche della pelle, rassomiglianti a quella della lebbra lepromatosa. E’ molto difficile da curare.
  • un semplice test diagnostico su striscia per l’identificazione sia di anticorpi circolanti (basato sull’antigene ricombinante K39) sia di antigeni nelle urine
  • uso su larga scala di zanzariere impregnate di insetticidi in aree co-endemiche per la malaria e la Leishmania.

Controllo  e prevenzione:
molti casi di Leishmaniosi cutanea guariscono spontaneamente e le persone infettate rimangono immuni per successive infezioni. In molte parti del sud est asiatico l’infezione viene provocata artificialmente in forma lieve nei bambini per immunizzarli (evitando lesioni invalidanti sul volto o altrove).  Altre forme di Leishmaniosi sono molto difficili da trattare e a volte richiedono l’utilizzo di farmaci a base di antimonio pentavalente. L’infezione può essere evitata evitando il morso delle mosche e utilizzando repellenti o insetticidi. Le misure di controllo dei vettori e degli ‘ospiti serbatoio’ sono molto costose e richiedono buone infrastrutture. Le misure di controllo per i vettori dell’infezione, consistono nell’utilizzare insetticidi nebulizzati e sono utili quando la trasmissione può avvenire all’interno o nelle vicinanze di una abitazione. Quando ci si trova invece altrove, è bene utilizzare altre forme di protezione, quali per esempio repellenti o insetticidi. Recentemente sono stati riportati casi di resistenza, che richiedono l’utilizzo di farmaci più tossici, ma efficaci, quali la Anfotericina B. La maggior parte dei farmaci al giorno d’oggi sono molto costosi, richiedono un trattamento molto prolungato e stanno diventando sempre meno efficaci. Le Leishmaniosi al giorno d’oggi, essendo così diversificate nelle loro forme, sono un tipo di infezione ancora molto difficile da controllare mediante un singolo approccio. Il controllo di una infezione può dipendere molto anche dalla rapida diagnosi e somministrazione di farmaci.

Trattamento:
stibogluconato sodico, che si trova al momento sotto controllo del Investigational New Drug protocol dal CDC Drug Service.

Stato della ricerca:
sono stati sviluppati modelli sia per la CL che la VL su primati. Al momento si stanno sviluppando prove di vaccini per la CL e la VL, costituiti dal parassita ucciso della Leishmania e oltretutto si sta provando anche la strada per vaccini composti da antigeni ricombinanti di seconda generazione con aggiunta di adiuvanti. Purtroppo il numero delle persone infette sta aumentando notevolmente  a causa dello sviluppo economico e dei cambiamenti ambientali che provocano un aumentata esposizione alla mosca. Nel sud Europa oltretutto la co-infezione Leishmania/HIV comincia ad essere un problema emergente. La Mitefosina, sta diventando un farmaco orale ampiamente utilizzato nel trattamento della Leishmania viscerale.

Leishmaniosi – Scheda malattia Leggi tutto »

Filariosi – Scheda malattia

Filariosi

amebiasi

  • Descrizione
  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

(da thailabonline.com/parasit.htm)

Descrizione:
Le infestazioni da Filaria sono provocate da vermi filiformi adulti ‘Nematodi’ (vermi ad anello) che si posizionano nei vasi linfatici e nei tessuti sottocutanei e possono dare luogo, a seconda dei differenti agenti patogeni a Filariasi Linfatica, Oncocercosi, Loiasi, Dirofilariasi (comune filaria parassita dei cani). Le femmine adulte fecondate producono ‘microfilarie’ che circolano nel sangue o migrano nei tessuti. Quando vengono ingerite da un insetto (zanzare o mosche), le microfilarie, all’interno dell’intestino dell’insetto vettore, si sviluppano in ‘larve infettive’ che vengono inoculate e deposte nel sottocutaneo  durante la puntura. Solo poche specie di parassiti infettano la razza umana. Le filarie che parassitano gli animali, a volte infettano l’ospite umano, pur non arrivando a un completo sviluppo. Le Filariasi linfatiche sono provocate da 3 specie di Filarioidea, che può provocare una adenolinfangite acuta oppure un linfedema cronico, raramente idrocele, più frequentemente chiluria.

Agente infettivo:
Ci sono otto specie di Filaria che possono infettare l’uomo. Queste sono causa della maggior parte delle infezioni da Filarie: Wuchereria bancrofti e Brugia malayi provocano la filariasi linfatica; Onchocerca volvulus provoca la oncocerchiasi (cecità fluviale). Le altre specie sono la Loa loa, Mansonella perstans, M. streptocerca, M. ozzardi, e Brugia timori (le ultime specie possono provocare la filariasi linfatica).

Ciclo vitale:
Le larve infettive sono trasmesse da artropodi mediante il morso o puntura durante il loro pasto ematico. Le larve, inoculate nel sottocutaneo,  migrano nel sito appropriato dell’ospite dove si sviluppano in ‘microfilarie’ che maturando si trasformano nelle forme adulte. Queste ultime forme possono sopravvivere nei tessuti degli ospiti anche per diversi anni. L’agente delle Filariasi linfatiche risiedono nei vasi linfatici e nei linfonodi; l’Onchocerca volvulus va a situarsi nei noduli presenti nel tessuto sottocutaneo; la Loa loa nel tessuto sottocutaneo dove migra attivamente; il Brugia malayi si situa nel tessuto linfatico, come il Wuchereria bancrofti; il Mansonella streptocerca nel derma e nel tessuto sottocutaneo; Mansonella ozzardi sembra si posizioni nel tessuto sottocutaneo e il M. perstans nelle cavità del corpo e nei tessuti circostanti. I vermi femmina, circolano nel torrente circolatorio, quelli di Onchocerca volvulus e Mansonella streptocerca, si trovano nella cute, o bulbo oculare. Le infezioni da microfilarie vengono trasmesse dal morso di artropodi (zanzare per l’agente della filariasi linfatica, mosche [Simulium] per l’Onchocerca volvulus; moscerini per Mansonella perstans e M. streptocerca; sia mosche che moscerini per Mansonella ozzardi; mosca [Chrysops] per Loa loa).  All’interno dell’artropode, le microfilarie si trasformano nella forma infettiva e filariforme della larva in 1 o 2 settimane. A seguito di un successivo pasto dell’insetto, la larva infetta l’ospite. A questo punto le larve sono in grado di migrare al sito specifico di infestazione dove sviluppano la forma adulta, un processo lento che richiede anche più di 18 mesi nel caso dell’Onchocerca.

Distribuzione:
tra gli agenti della filariasi linfatica, Wuchereria bancrofti è ubiquitaria, e si trova in tutte le aree tropicali, Brugia malayi è limitata al continente asiatico e la presenza del Brugia timori è ristretta ad alcune isole indonesiane. L’agente della cecità fluviale, l’Onchocerca volvulus, si trova prevalentemente in Africa, e meno in america latina e in Medio Oriente. Fra le altre specie,  Loa Loa e Mansonella streptocerca si trovano in Africa; Mansonella perstans sia in Africa che in Sud America e Mansonella ozzardi si trova solo nel continente americano.

Porta d’ingresso:
cute, tramite la puntura di artropodi.
ciclo

Trasmissione:
per iniezione di microfilarie dall’artropode all’ospite durante il pasto dell’insetto.

Incubazione:
anche più di 18 mesi perché le larve sviluppino nella forma adulta nell’ospite

Sintomi:
La filariasi linfatica:  produce spesso microfilaremia senza manifestazioni cliniche. Tuttavia la filariasi infiammatoria acuta comporta episodi (spesso ricorrenti) di febbre che durano da 4 a 7 giorni, linfoadenite acuta con tipica linfangite retrograda (LAA). Talvolta nel maschio funiculite acuta ed epididimite. Il linfedema transitorio di una gamba colpita può dare luogo ad un ascesso che drena all’esterno e lascia una cicatrice. La LAA in aree che drenano i linfatici delle gambe è spesso causata o aggravata da infezioni batteriche secondarie.

La filariasi cronica spesso si sviluppa insidiosamente dopo molti anni. Nella maggior parte dei pazienti si verifica una dilatazione linfatica asintomatica, ma la risposta infiammatoria cronica ai vermi adulti può portare al linfedema cronico dell’area del corpo interessata o all’idrocele. Questa situazione sintomatica grave esita in ‘elefantiasi’. Talvolta la cute si presenta  ipercheratosica e con suscettibilità locale alle infezioni batteriche e micotiche. Altre manifestazioni croniche da filarie si riferiscono alla distruzione di vasi linfatici o dal drenaggio aberrante di linfa che porta a chiluria e chilocele.

L‘eosinofilia polmonare tropicale (EPT) non è comune. Essa si manifesta con frequenti attacchi di asma, transitorie opacità polmonari, febbricola e marcata leucocitosi ed eosinofilia. Le microfilarie di solito non rimangono nel sangue, ma sono presenti in ascessi eosinofili nei polmoni o nei linfonodi. La EPT è molto probabilmente dovuta a reazioni allergiche verso le microfilarie. La EPT cronica può portare alla fibrosi polmonare. Altri segni extralinfatici includono ematuria microscopica cronica, proteinuria e moderata poliartrite, causate dalla deposizione di immunocomplessi.
Episodi di LAA di solito precedono l’esordio della malattia cronica di  2 decenni. La filariasi acuta è più grave e la progressione verso la malattia cronica è più rapida negli immigranti in aree endemiche precedentemente non esposti rispetto ai residenti nativi. La microfilaremia e i sintomi scompaiono gradualmente dopo aver lasciato l’area endemica

Oncocerchiasi: i noduli sottocutanei (o più profondi) (oncocercomi) che contengono i vermi adulti sono visibili o palpabili ma per il resto asintomatici. Essi sono composti di cellule infiammatorie e tessuto fibrotico in varie proporzioni; i vecchi noduli possono necrotizzare e calcificare. La dermatite da oncocerche è causata dalle microfilare del parassita. Il prurito intenso può essere il solo sintomo in persone con infestazione lieve. Le lesioni cutanee di solito consistono in rash maculopapuloso con escoriazioni secondarie, ulcerazioni desquamanti, lichenificazione e linfoadenopatia da lieve a moderata. Possono verificarsi prematura rugosità, atrofia cutanea, massiccia tumefazione dei linfonodi inguinali o femorali, ostruzione linfatica, ipopigmentazione a chiazze e aree transitoriamente localizzate di edema ed eritema.
La dermatite da oncocerca è generalizzata nella maggior parte dei pazienti, ma nello Yemen e in Arabia Saudita è comune una forma localizzata e delineata di dermatite eczematosa con ipercheratosi, desquamazione e depigmentazione (Sowdah).
La malattia oculare varia da una moderata riduzione del visus ad una completa cecità. Le lesioni dell’occhio anteriore includono una cheratite puntata (a fiocco di neve), un infiltrato infiammatorio acuto che circonda le microfilarie morte e si può risolvere senza causare danno permanente; una cheratite sclerosante, un groviglio di tessuto fibrovascolare che può causare lussazione del cristallino e cecità; uveite anteriore o iridociclite che può deformare la pupilla. Possono verificarsi inoltre corionretinite, neurite ottica e atrofia ottica.
L’oncocercosi è la seconda causa di cecità al mondo (dopo il tracoma). La cecità è comune nella savana dell’Africa, dove è principalmente dovuta alla cheratite sclerosante; è meno comune nelle aree delle foreste pluviali, dove è causata da lesioni corioretiniche ed è di gran lunga più rara in America, dove è causata principalmente da lesioni del segmento posteriore dell’occhio.

Loiasi: l’infezione nelle persone indigene provoca nella maggior parte dei casi aree di angioedema (edema di Calabar) che può svilupparsi in ogni parte del corpo, ma prevalentemente sulle estremità; generalmente esse persistono per 1-3 giorni e sono presumibilmente correlate a reazioni di ipersensibilità agli allergeni rilasciati dai vermi adulti durante la migrazione. I vermi migrano anche nella zona sottocongiuntivale attraverso gli occhi, e ciò può creare disturbi, anche se lesioni oculari residue non sono di frequente riscontro. Alterazioni patologiche meno comuni sono costituite: dalla nefropatia, dall’encefalopatia e dalla cardiomiopatia.
La nefropatia generalmente è caratterizzata da proteinuria accompagnata da lieve ematuria e si ritiene che il danno sia causato da immunocomplessi. La proteinuria è transitoriamente esacerbata dal trattamento con dietilcarbamazina (DEC). L’encefalopatia si presenta in forma lieve ed è generalmente associata a sfumati sintomi neurologici. La DEC aggrava i sintomi neurologici fino a provocare, raramente stato di coma e decesso.
Nei viaggiatori, a differenza della popolazione locale, sono predominanti i sintomi da iper-reattività allergica. L’edema di Calabar tende a essere più frequente e più grave nei viaggiatori, che possono anche sviluppare una sindrome sistemica con ipereosinofilia che può condurre a fibrosi endomiocardica.
La diagnosi consiste nel riscontro alla microscopia ottica di microfilarie nel sangue periferico. I campioni di sangue devono essere prelevati intorno a mezzogiorno, quando i livelli di microfilaremia sono più alti. Le persone che risiedono temporaneamente in aree endemiche rimangono spesso amicrofilaremiche. I test sierodiagnostici non sono ancora in grado di differenziare la Loa loa da altre filarie.

Controllo e prevenzione:
– Filariasi linfatica: La protezione richiede la riduzione dei contatti con zanzare infette. L’efficacia della chemioprofilassi con dietilcarbamazina (DEC) non è provata. – Oncocerchiasi: L’Ivermectina si è mostrata un farmaco efficace ed in grado controllare la malattia sul territorio e di diminuire la sua prevalenza in molte zone africane. La somministrazione annuale od ogni sei mesi di ivermectina controlla efficacemente la malattia e può diminuire la trasmissione del parassita. La rimozione chirurgica di tutti gli oncocercomi accessibili riduce il numero di microfilarie nella cute e può ridurre la prevalenza di cecità dei fiumi, con la contemporanea somministrazione di farmaco. È possibile ridurre le punture delle mosche della specie Simulium evitando le aree infestate, indossando abiti protettivi e usando in maniera abbondante agenti repellenti per insetti. L’uccisione delle larve della mosca nera rappresenta il punto cardine del programma internazionale di controllo dell’oncocerchiasi nell’Africa Occidentale. – Loiasi: Agenti repellenti per insetti possono ridurre l’esposizione alle mosche infette. Comunque, il DEC orale (300 mg una volta a settimana) è l’unica misura di provata efficacia nella prevenzione dell’infezione. Il DEC è l’unico farmaco in grado di uccidere le microfilarie e i vermi adulti. In alcuni casi, lo schema raccomandato di 8-10 mg/kg/die PO per 2-3 sett. deve essere ripetuto. In pazienti con infezioni massive, il trattamento può scatenare un’encefalopatia che può progredire fino allo stato di coma e decesso. Alcuni pazienti possono trarre beneficio da un trattamento iniziale con basse dosi di DEC (1 mg/kg/die) associato alla somministrazione di corticosteroidi. L’Ivermectina alle dosi utilizzate per il trattamento dell’oncocerchiasi può essere una valida ed efficace alternativa al DEC.

Trattamento:
– Filariasi linfatica: la terapia del linfedema cronico può essere molto efficace. La creazione chirurgica di shunt veno-linfatici per migliorare il drenaggio linfatico offre benefici a lungo termine anche in casi avanzati di elefantiasi e le misure conservative come il bendaggio elastico della gamba colpita aiutano a ridurre l’edema. La cura meticolosa della cute, compreso l’uso di pomate antibiotiche e la profilassi con antibiotici sistemici, può far regredire il linfedema e prevenirne la progressione verso l’elefantiasi. – Oncocerchiasi: Il farmaco di scelta è l’Ivermectina somministrata in una singola dose orale di 150 µg/kg una sola volta o due volte in un anno. Essa non deve essere somministrata a bambini di  5 anni di età o di peso  15 kg, alle donne in gravidanza, alle madri che allattano neonati durante la prima sett. di vita e ad ogni persona in gravi condizioni cliniche generali. L’Ivermectina riduce rapidamente il numero di microfilarie nella cute e negli occhi. Essa non sembra essere in grado di uccidere i vermi adulti, ma blocca il rilascio di microfilarie dall’utero per diversi mesi. Gli effetti collaterali sono qualitativamente simili a quelli della dietilcarbamazepina (DEC) ma sono meno frequenti e meno gravi. Il DEC non è più un farmaco raccomandato per il trattamento dell’oncocerchiasi poiché causa nefrotossicità e la reazione di Mazzotti, che può ulteriormente danneggiare la cute e gli occhi e portare a un collasso cardiovascolare, oltre ad accelerare l’insorgenza della cecità nei pazienti con un livello massiccio di infestazione nella camera oculare. La Suramina è efficace ma deve essere somministrata EV per varie settimane. L’eliminazione dei vermi adulti può essere ottenuta anche mediante la rimozione chirurgica dell’oncocercoma. –  Loiasi Il DEC è l’unico farmaco in grado di uccidere le microfilarie e i vermi adulti. In alcuni casi, lo schema raccomandato di 8-10 mg/kg/die PO per 2-3 sett. deve essere ripetuto. In pazienti con infezioni massive, il trattamento può scatenare un’encefalopatia che può progredire fino allo stato di coma ed al decesso. Alcuni pazienti possono trarre beneficio da un trattamento iniziale con basse dosi di DEC (1 mg/kg/die) associato alla somministrazione di corticosteroidi. L’Ivermectina alle dosi utilizzate per il trattamento dell’oncocerchiasi può essere una valida ed efficace alternativa al DEC.

Diagnosi in laboratorio:
la procedura migliore per la determinazione delle microfilarie è l’esame al microscopio (emoscopia). L’esame di campioni di sangue capillare permette la determinazione delle microfilarie da  Wuchereria bancrofti, Brugia malayi, Brugia timori, Loa loa, Mansonella perstans, e M. ozzardi.  Il campione di sangue può essere uno spesso striscio marcato con Giemsa o ematossilina ed eosina.  Per aumentare la sensibilità,  i campioni possono essere concentrati mediante centrifugazione del campione di sangue lisato in formalina al 2% (tecnica di Knott), o tramite filtrazione con millipore. Per l’identificazione della microfilaria dell’Onchocerca volvulus e  Mansonella streptocerca viene preso un campione di pelle, ottenuta mediante incisione della stessa. Il campione deve essere incubato da 30 min a 2 ore in medium salino o da cultura. In questo caso le micofilarie devono migrare dal tessuto alla fase liquida  del campione.

Filariosi – Scheda malattia Leggi tutto »

Colera – Scheda malattia

Descrizione

Il colera è una malattia infettiva acuta causata da batteri del genere Vibrio Cholerae. I vibrioni del colera sono di diversi tipi e si distinguono in base al sierogruppo, biotipo e sierotipo a cui appartengono. Il colera provoca diarrea profusa causata dall’infezione dell’intestino del batterio. L’infezione spesso è asintomatica o paucisintomatica ma a volte può essere severa e mortale.

Dal punto di vista epidemiologico una persona su 20 manifesta una forma severa di infezione con diarrea profusa, acquosa, vomito e crampi alle gambe. In questi individui si ha una rapida perdita dei liquidi corporei che portano a disidratazione e stato di shock. Senza idoneo trattamento, vi è la morte anche in poche ore. Oggigiorno comunque l’infezione può essere facilmente prevenuta e curata, con una adeguata reidratazione e somministrazione di sali bilanciati.

Vibrio Cholerae

Sommario

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

Agente infettivo

Batterio del genere Vibrio Cholera. Quello maggiormente responsabile della malattia nell’uomo è il Vibrio Cholerae sierogruppo 01 o 0139, biotipo El Tor, sierotipo Ogawa.

Ciclo vitale

Ci sono diversi fattori che influenzano la patogenicità del V. Cholerae e che sono importanti nella fase di colonizzazione. Questi fattori includono le adesine, la mobilità, la chemiotassi e la produzione di tossine. Se il batterio è in grado di sopravvivere alle secrezioni gastriche ed al Ph acido dello stomaco, è poi in grado di adattarsi e sopravvivere nell’intestino. Il V. Cholerae è resistente ai sali biliari ed è inoltre in grado di attraversare le mucose dell’intestino mediante l’aiuto di secrezioni di proteasi.

Questi batteri sono in grado di muoversi mediante una mobilità di tipo propulsivo e riescono ad attraversare le mucose dell’intestino mediante un processo di chemiotassi. Si pensa che l’aderenza specifica alla mucosa intestinale avvenga mediante i pili, lunghi filamenti presenti sulla superficie del batterio; oltretutto il gene per la produzione dei pili si è osservato essere co-regolato con l’espressione delle tossine del batterio. In realtà non si sa molto sulla interazione dei pili con le cellule ospiti e il recettore delle cellule ospiti alle quali aderiscono non è stato identificato. Esistono altri due tipi di adesine nel V. Colerae presenti sulla sua superficie in grado di agglutinare i globuli rossi.

Distribuzione

A causa delle scarse condizioni igienico sanitarie, della carenza di acqua potabile, spesso associate a condizioni di povertà e degrado, i Paesi in via di sviluppo rappresentano le aree a maggior rischio di diffusione della malattia. Grave l’epidemia di colera che alla fine degli anni ’90 ha coinvolto molti paesi dell’America Latina, in particolare lungo la costa del pacifico. Nel 2006 i casi sono notevolmente aumentati, raggiungendo i livelli degli ultimi anni Novanta, per un totale di 236.896 contagi in 52 diversi Paesi. Tuttavia, il numero è sicuramente sottostimato visto che si calcola che venga segnalato all’Oms solo il 10% dei casi effettivi.

Per il 2007 e il 2008 l’Oms ha segnalato la presenza di epidemie di colera in Iraq e Zimbabwe; qui, in particolare, sono stati registrati all’inizio di febbraio 2009, oltre 65 mila casi che hanno provocato la morte di circa 2 mila persone in tutte e dieci le Province del Paese. Si è trattata della più grande e grave epidemia mai registrata sul suolo nazionale, con una mortalità del 5,7%, e un risvolto transnazionale, estendendosi ai Paesi limitrofi, in particolare in Sud Africa e in Botswana. Nel corso del 2010, si sono registrati focolai epidemici in Africa (Camerun, Uganda, Nigeria, Niger, Kenya), in Cina, in India e in Pakistan, dove le devastanti inondazioni, le peggiori nella storia del Paese, hanno aggravato le già scarse condizioni igienico-sanitarie della popolazione, nonché la scarsità di acqua potabile, cibo e  medicinali.

In Europa e nei Paesi industrializzati il colera è una malattia di importazione. In Italia, l’ultima importante epidemia di colera risale al 1973 in Campania e Puglia. Nel 1994 si è verificata a Bari un’epidemia di limitate proporzioni, in cui sono stati segnalati meno di 10 casi.

Porta di ingresso

Cavo orale, per ingestione di acqua, alimenti contaminati dal batterio, trasmissione oro-fecale.

Trasmissione

Si verifica perchè il vibrione, eliminato con le feci, non viene distrutto e per carenze del sistema di depurazione dei liquami o di potabilizzazione dell’acqua, può arrivare all’uomo sano, attraverso gli alimenti e le bevande. Senza la contaminazione di cibo o acqua, il contagio diretto da persona a persona è molto raro in condizioni igienico-sanitarie normali. La carica batterica necessaria per la tramissione dell’infezione è, infatti, superiore al milione: pertanto risulta molto difficile contagiare altri individui attraverso il semplice contatto.

Gli alimenti a maggior rischio sono i frutti di mare o comunque il pesce, ingeriti senza adeguata cottura; la verdura, la frutta, l’acqua da bere e le bevande prodotte con acqua inquinata.

Incubazione

Da 1 a 5 giorni.

Sintomi

La malattia, si manifesta con diarrea improvvisa e intensa con scariche sempre più liquide e incolori, con la caratteristica “acqua di riso” e quindi con enormi perdite di liquidi, calcio e potassio. Segue il vomito che aggrava lo stato di disidratazione. Il paziente è ipoteso, tachicardico e con diuresi ridotta o addirittura assente (anuria).

Se non interviene la cura reidratante, con l’aggiunta di Sali bilanciati, la situazione clinica può evolvere verso lo stato di shock irreversibile e, in seguito ad ulteriore peggioramento verso la morte. A volte però la malattia si presenta in forma molto attenuata e quindi benigna. Essa è comunque sempre grave quando interessa i bambini, in quanto in questi l’equilibrio idrico ed elettrolitico è molto delicato.

Controllo e prevenzione

il controllo delle epidemie di colera si ottiene mediante il controllo ambientale, la purificazione delle acque, una informazione mirata delle popolazioni più esposte sull’utilizzo dei cibi o sul loro trattamento prima di essere ingeriti, sul controllo dell’ igiene personale per evitare la diffusione dell’infezione.

Per chi viaggia in Paesi a rischio, la prevenzione si basa soprattutto sulla cottura degli alimenti e sull’uso di bevande sicure (imbottigliate o in lattina). L’acqua da bere può essere bollita o trattata con disinfettante a base di cloro. Inoltre è bene sbucciare la frutta cruda, evitare di acquistare alimenti, anche cotti, da ambulanti, e di mangiare in locali con evidenti carenze igieniche.

Vaccinazione

Il vaccino iniettivo tradizionale contro il colera, costituito da cellule intere di batteri uccisi col fenolo, non viene da tempo più raccomandato dall’OMS a causa della sua modesta efficacia (30- 50% dei vaccinati), la breve durata dell’immunità (3-6 mesi) e perché può indurre nei vaccinati un immotivato e pericoloso senso di sicurezza.

Un nuovo vaccino, a disposizione dei viaggiatori, autorizzato dalla Unione Europea dallo scorso Aprile 2004, si distingue dal vecchio vaccino innanzitutto per composizione: oltre alle cellule intere di batteri, uccisi col calore e la formalina, contiene la subunità B non tossica della tossina del colera (ottenuta attraverso procedimenti di sintesi di ingegneria genetica), la quale stimola una risposta anticorpale migliore delle precedenti e permette la protezione crociata dalla Diarrea da ETEC (Escherichia Coli Enterotossigena che produce enterotossina termolabile).

Il nuovo vaccino è diverso inoltre anche per via di somministrazione: somministrazione per via orale, anziché parenterale.

Consulta il nostro approfondimento sul vaccino contro il Colera

Trattamento

L’aspetto più importante nel trattamento del colera è la reintegrazione dei liquidi e dei sali persi con la diarrea e il vomito. La reidratazione orale ha successo nel 90% dei casi, può avvenire tramite assunzione di soluzioni ricche di zuccheri, elettroliti e acqua, e deve essere intrapresa immediatamente. I casi più gravi necessitano, invece, di un ripristino dei fluidi intravenoso che, soprattutto all’inizio, richiede grandi volumi di liquidi, fino ai 4-6 litri.

Con un’adeguata reidratazione solo l’1% dei pazienti muore e, di solito, in seguito al ripristino dei fluidi, la malattia si risolve autonomamente.

Gli antibiotici, generalmente tetracicline o ciprofloxacina, possono abbreviare il decorso della malattia e ridurre l’intensità dei sintomi e sono utilizzati soprattutto per le forme più gravi o nei pazienti più a rischio, come gli anziani.

Diagnosi

La diagnosi è confermata dall’isolamento di V.Cholerae nelle colture da tamponi rettali diretti o da feci fresche e dalla successiva identificazione come sierogruppo 01 o 0139 mediante agglutinazione con antisiero specifico.

Il colera deve essere distinto dalla malattia clinicamente simile provocata dai ceppi di Escherichia Coli producenti enterotossina e dai microrganismi Salmonella e Shigella.

Colera – Scheda malattia Leggi tutto »

Amebiasi – Scheda malattia

Descrizione

L’ Amebiasi è una malattia parassitaria, che provoca  infestazione, spesso sintomatica, talvolta asintomatica, causata da un parassita mono-cellulare chiamato Entamoeba histolytica.

amebiasi

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

 

Agente infettivo

Diverse specie di protozoi del genere Entamoeba infettano l’uomo, ma non tutte sono patogene. Entamoeba histolytica è uno dei generi riconosciuti come ameba patogena, associato ad infezioni di tipo intestinale e extra-intestinale. Le altre specie sono comunque importanti in quanto possono essere confuse con l’E. histolytica durante l’investigazione diagnostica di laboratorio, e clinicamente, in certe occasioni possono manifestare sintomi, talvolta gravi.

Ciclo vitale

  1. Le cisti delle amebe, forme di resistenza e protezione vengono espulse dall’individuo affetto tramite le feci.
  2. L’infezione da Entamoeba histolytica , in un individuo, avviene mediante l’ingestione delle cisti mature da cibi, acqua o mani contaminati da residui fecali. (trasmissione orofecale)
  3. Le cisti raggiungono l’intestino.
  4. I trofozoiti vengono rilasciati mediante una mutazione delle cisti in ambiente intestinale favorevole. In particolare i trofozoiti si formano a livello colico…
  5. si moltiplicano mediante fissione binaria…
  6. producono cisti che passano nelle feci…
  7. che vengono emesse quindi in ambiente esterno. A causa della protezione dovuta alla loro membrana esterna, le cisti possono sopravvivere giorni e anche settimane nell’ambiente esterno e sono causa della trasmissione della patologia. (I trofozoiti possono essere eliminati dal corpo in caso di diarrea, ma in questo caso vengono rapidamente distrutti quando si trovano all’esterno dell’organismo e se ingeriti non sono in grado di sopravvivere al contatto con i succhi gastrici). La maggior parte delle volte i trofozoiti rimangono comunque confinati nel lume intestinale.
  • A) Infezione non invasiva asintomatica: avviene in individui portatori asintomatici ma che eliminano comunque le cisti mediante le feci.
  • B) Patologia intestinale: in alcuni pazienti le cisti invadono la mucosa intestinale e provocano i classici sintomi dell’ameba.
  • C) patologia extraintestinale: i trofozoiti dell’ameba invadono il circolo sanguigno ed organi interni quali il fegato, il cervello o i polmoni con patologie annesse. E’ stato determinato che esistono forme invasive, in particolare epatiche e forme non invasive. Queste due distinte forme patogene sono determinate da due tipi ben distinti di parassiti chiamati rispettivamente  E. histolytica e E. dispar, ma non è detto che i pazienti infettati con E. histolytica subiscano una infezione di tipo invasiva. Queste due specie sono morfologicamente non distinguibili, ma hanno caratteristiche cliniche ben diverse.

La trasmissione di questa patologia può avvenire anche mediante il contatto con residui fecali durante rapporti sessuali, caso nel quale non solo le cisti ma anche i trofozoiti possono diventare causa di infezione.

Distribuzione

Il parassita è ubiquitario, con una prevalenza elevata nei paesi in via di sviluppo, soprattutto quando le condizione sanitarie sono degradate. Nei paesi industrializzati i gruppi a rischio di infezione sono considerati gli omosessuali, i viaggiatori e recentemente gli immigrati.

Porta di ingresso

Cavo orale mediante ingestione delle cisti

Trasmissione

Ingestione accidentale delle cisti che si trovano in alimenti o bevande contaminate.

Incubazione

Da 1 a 4 settimane (valori variabili)

Sintomi

Lo spettro dei sintomi per questa infezione è alquanto vasto. Si può avere una infezione di tipo asintomatica (amebiasi luminale), una amebiasi di tipo invasiva intestinale (che si presenta con dissenteria, coliti, appendiciti) o può presentarsi come una amebiasi extraintestinale (ascessi al fegato, peritoniti, ascessi pleuropolmonari, lesioni amebiche cutanee o genitali).

Controllo e prevenzione

In caso si pensi di avere una amebiasi è bene consultare immediatamente un medico specialista. In caso debba essere intrapreso un viaggio in un paese con condizioni sanitarie scarse è bene porre attenzione ad alcune semplici regole:

  • bere solo acqua imbottigliata o acqua bollita (almeno per cinque minuti) o bere bevande gassate in lattina o bottiglia. Non bere acqua dalle fontane e nessuna bevanda con ghiaccio
  • non mangiare frutta fresca o vegetali senza che siano stati precedentemente sbucciati
  • non mangiare o bere latte, formaggio o comunque prodotti caseari freschi che non siano stati pastorizzati

La trasmissione interumana, in particolare ai contatti stretti, è possibile, ma comunque limitata se la persona infetta viene trattata con farmaci adeguati. È  controllabile anche seguendo alcune regole semplici di igiene personale quali lavarsi le mani con sapone dopo avere utilizzato i servizi igienici e prima di toccare i cibi.

Terapia

Per il trattamento possono essere utilizzati diversi farmaci. In caso di infezione asintomatica o di amebe non histolitiche, è possibile utilizzare accanto al metronidazolo la paramomicina; la diloxanide furoato è il farmaco alternativo. In caso di una patologia leggera, media o severa e in caso di infezione extraintestinale, i farmaci di prima scelta sono il metronidazolo e il tinidazolo, seguiti da iodochinolo, paramomicina o diloxanide furoato.

Diagnosi

La diagnosi della amebiasi è microscopica ed avviene mediante ricerca delle cisti, e raramente delle forme trofozoite. È possibile richiedere esami su diversi campioni di feci, se non si trovano i parassiti. Non sempre E. histolytica viene ritrovata nei campioni. Esiste un problema di diagnosi differenziale delle amebiasi, e questo è dovuto al fatto che altri parassiti possono rassomigliare molto alla E. histolytica. Esistono due tipi di infezioni da Amebe, simili morfologicamente ma diverse nella manifestazione clinica: infezioni da  E. dispar  e quelle da E. histolytica. Nel primo caso l’infezione non è mai sintomatica, ma il parassita può essere confuso con il secondo. L’ infezione da E. Histolytica invece è quasi sempre sintomatica, ma in laboratorio i reperti sono microscopicamente indistinguibili. Attraverso la tecnica di biologia molecolare della PCR (Polimerase Chain Reaction) è possibile arrivare ad una distinzione di specie tra dispar ed histolitica. È disponibile anche un test sierologico per l’identificazione degli anticorpi. L’Entamoeba histolytica deve essere differenziata da altre amebe scarsamente patogene quali: E. coli, E. hartmanni, E. gingivalis, Endolimax nana, e Iodamoeba buetschlii (l’ameba non patogena), Dientamoeba fragilis (che è un flagellato) basandosi sulle caratteristiche morfologiche delle cisti e dei trofozoi.

Amebiasi – Scheda malattia Leggi tutto »

error: Il contenuto di questo sito è protetto!
C e s m e t . c o m C l i n i c a d e l V i a g g i a t o r e
C e s m e t . c o m C l i n i c a d e l V i a g g i a t o r e
C e s m e t . c o m C l i n i c a d e l V i a g g i a t o r e