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Paolo Meo 2

Amebiasi – Scheda malattia

Descrizione

L’ Amebiasi è una malattia parassitaria, che provoca  infestazione, spesso sintomatica, talvolta asintomatica, causata da un parassita mono-cellulare chiamato Entamoeba histolytica.

amebiasi

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

 

Agente infettivo

Diverse specie di protozoi del genere Entamoeba infettano l’uomo, ma non tutte sono patogene. Entamoeba histolytica è uno dei generi riconosciuti come ameba patogena, associato ad infezioni di tipo intestinale e extra-intestinale. Le altre specie sono comunque importanti in quanto possono essere confuse con l’E. histolytica durante l’investigazione diagnostica di laboratorio, e clinicamente, in certe occasioni possono manifestare sintomi, talvolta gravi.

Ciclo vitale

  1. Le cisti delle amebe, forme di resistenza e protezione vengono espulse dall’individuo affetto tramite le feci.
  2. L’infezione da Entamoeba histolytica , in un individuo, avviene mediante l’ingestione delle cisti mature da cibi, acqua o mani contaminati da residui fecali. (trasmissione orofecale)
  3. Le cisti raggiungono l’intestino.
  4. I trofozoiti vengono rilasciati mediante una mutazione delle cisti in ambiente intestinale favorevole. In particolare i trofozoiti si formano a livello colico…
  5. si moltiplicano mediante fissione binaria…
  6. producono cisti che passano nelle feci…
  7. che vengono emesse quindi in ambiente esterno. A causa della protezione dovuta alla loro membrana esterna, le cisti possono sopravvivere giorni e anche settimane nell’ambiente esterno e sono causa della trasmissione della patologia. (I trofozoiti possono essere eliminati dal corpo in caso di diarrea, ma in questo caso vengono rapidamente distrutti quando si trovano all’esterno dell’organismo e se ingeriti non sono in grado di sopravvivere al contatto con i succhi gastrici). La maggior parte delle volte i trofozoiti rimangono comunque confinati nel lume intestinale.
  • A) Infezione non invasiva asintomatica: avviene in individui portatori asintomatici ma che eliminano comunque le cisti mediante le feci.
  • B) Patologia intestinale: in alcuni pazienti le cisti invadono la mucosa intestinale e provocano i classici sintomi dell’ameba.
  • C) patologia extraintestinale: i trofozoiti dell’ameba invadono il circolo sanguigno ed organi interni quali il fegato, il cervello o i polmoni con patologie annesse. E’ stato determinato che esistono forme invasive, in particolare epatiche e forme non invasive. Queste due distinte forme patogene sono determinate da due tipi ben distinti di parassiti chiamati rispettivamente  E. histolytica e E. dispar, ma non è detto che i pazienti infettati con E. histolytica subiscano una infezione di tipo invasiva. Queste due specie sono morfologicamente non distinguibili, ma hanno caratteristiche cliniche ben diverse.

La trasmissione di questa patologia può avvenire anche mediante il contatto con residui fecali durante rapporti sessuali, caso nel quale non solo le cisti ma anche i trofozoiti possono diventare causa di infezione.

Distribuzione

Il parassita è ubiquitario, con una prevalenza elevata nei paesi in via di sviluppo, soprattutto quando le condizione sanitarie sono degradate. Nei paesi industrializzati i gruppi a rischio di infezione sono considerati gli omosessuali, i viaggiatori e recentemente gli immigrati.

Porta di ingresso

Cavo orale mediante ingestione delle cisti

Trasmissione

Ingestione accidentale delle cisti che si trovano in alimenti o bevande contaminate.

Incubazione

Da 1 a 4 settimane (valori variabili)

Sintomi

Lo spettro dei sintomi per questa infezione è alquanto vasto. Si può avere una infezione di tipo asintomatica (amebiasi luminale), una amebiasi di tipo invasiva intestinale (che si presenta con dissenteria, coliti, appendiciti) o può presentarsi come una amebiasi extraintestinale (ascessi al fegato, peritoniti, ascessi pleuropolmonari, lesioni amebiche cutanee o genitali).

Controllo e prevenzione

In caso si pensi di avere una amebiasi è bene consultare immediatamente un medico specialista. In caso debba essere intrapreso un viaggio in un paese con condizioni sanitarie scarse è bene porre attenzione ad alcune semplici regole:

  • bere solo acqua imbottigliata o acqua bollita (almeno per cinque minuti) o bere bevande gassate in lattina o bottiglia. Non bere acqua dalle fontane e nessuna bevanda con ghiaccio
  • non mangiare frutta fresca o vegetali senza che siano stati precedentemente sbucciati
  • non mangiare o bere latte, formaggio o comunque prodotti caseari freschi che non siano stati pastorizzati

La trasmissione interumana, in particolare ai contatti stretti, è possibile, ma comunque limitata se la persona infetta viene trattata con farmaci adeguati. È  controllabile anche seguendo alcune regole semplici di igiene personale quali lavarsi le mani con sapone dopo avere utilizzato i servizi igienici e prima di toccare i cibi.

Terapia

Per il trattamento possono essere utilizzati diversi farmaci. In caso di infezione asintomatica o di amebe non histolitiche, è possibile utilizzare accanto al metronidazolo la paramomicina; la diloxanide furoato è il farmaco alternativo. In caso di una patologia leggera, media o severa e in caso di infezione extraintestinale, i farmaci di prima scelta sono il metronidazolo e il tinidazolo, seguiti da iodochinolo, paramomicina o diloxanide furoato.

Diagnosi

La diagnosi della amebiasi è microscopica ed avviene mediante ricerca delle cisti, e raramente delle forme trofozoite. È possibile richiedere esami su diversi campioni di feci, se non si trovano i parassiti. Non sempre E. histolytica viene ritrovata nei campioni. Esiste un problema di diagnosi differenziale delle amebiasi, e questo è dovuto al fatto che altri parassiti possono rassomigliare molto alla E. histolytica. Esistono due tipi di infezioni da Amebe, simili morfologicamente ma diverse nella manifestazione clinica: infezioni da  E. dispar  e quelle da E. histolytica. Nel primo caso l’infezione non è mai sintomatica, ma il parassita può essere confuso con il secondo. L’ infezione da E. Histolytica invece è quasi sempre sintomatica, ma in laboratorio i reperti sono microscopicamente indistinguibili. Attraverso la tecnica di biologia molecolare della PCR (Polimerase Chain Reaction) è possibile arrivare ad una distinzione di specie tra dispar ed histolitica. È disponibile anche un test sierologico per l’identificazione degli anticorpi. L’Entamoeba histolytica deve essere differenziata da altre amebe scarsamente patogene quali: E. coli, E. hartmanni, E. gingivalis, Endolimax nana, e Iodamoeba buetschlii (l’ameba non patogena), Dientamoeba fragilis (che è un flagellato) basandosi sulle caratteristiche morfologiche delle cisti e dei trofozoi.

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Encefalite Giapponese – Vaccinazione

Presso il  Servizio di Vaccinazioni Internazionali della Travel Clinic CESMET è disponibile il vaccino contro l’encefalite giapponese  iniettivo.
Prenota il tuo vaccino contro l’Encefalite Giapponese per viaggiare tranquillamente nei paesi asiatici, dall’India fino alle Filippine, passando per tutti i paesi del Sud Est Asiatico ed anche nelle isole del pacifico.

Prenota le tue vaccinazioni telefonando al numero 0639030481 o scrivendo a seg.cesmet@gmail.com

Consulta la ns. scheda malattia

Sommario

  • Composizione
  • Indicazioni per i viaggiatori internazionali
  • Cenni clinici
  • Forma farmaceutica
  • Indicazioni
  • Posologia
  • Modalità di somministrazione
  • Efficacia
  • Durata
  • Contro indicazioni
  • Effetti indesiderati
  • Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
  • Interazioni
  • Gravidanza e allattamento
  • Rischi per i viaggiatori

Composizione

Il vaccino per l’Encefalite Giapponese, disponibile presso il nostro Servizio, è  iniettivo: 1fiala / 1 dose (0,5 ml)  contiene: ceppo SA-14- 2 del virus dell’encefalite giapponese (inattivato) 6 microgrammi corrispondenti a una potenza di ≤460 ng ED50, coltivato su cellule Vero, adsorbito su idrossido di alluminio, idratato (circa 0,25 milligrammi Al3+).
Eccipienti con effetti noti: Questo medicinale contiene meno di 1 mmol/dose di potassio e meno di 1 mmol/dose di sodio. Il tampone fosfato isotonico 0,0067 M (in PO4) ha la seguente composizione salina: NaCl  9 mg/ml;  KH2PO4  0,144 mg/ml; Na2HPO4 0,795 mg/ml.
Il vaccino è indicato per l’immunizzazione attiva in adulti, adolescenti, bambini e neonati a partire da 2 mesi di età. L’utilizzo  è consigliato in soggetti a rischio di esposizione in previsione di un viaggio in paesi dell’Asia considerati a rischio di malattia. Il prodotto deve essere somministrato sulla base delle raccomandazioni relative alla necessità, dovuta alla presenza di zanzare del genere Culex infettate dal virus nelle aree di destinazione. (vedi sezione malattia). Il vaccino è efficace e sicuro, diventato un ottimo vaccino protettivo per l’infanzia. Tutti i bambini in partenza per le zone a rischio dovrebbero essere immunizzati.

Indicazioni per i viaggiatori internazionali

La vaccinazione non è obbligatoria per regolamento internazionale dell’OMS ma può essere consigliata a chi si reca nei paesi e nelle aree considerate a rischio. La valutazione dei rischi deve essere effettuata da personale esperto e profondo conoscitore delle realtà locali. I bambini sono i soggetti più a rischio e quindi su cui va fatta una reale valutazione.

Nessun paese richiede prova di vaccinazione contro l’encefalite giapponese quale condizione per entrare. Il rischio di sviluppare l’encefalite giapponese sintomatica nei viaggiatori diretti in aree endemiche è stata per lungo tempo inferiore ad 1 su 100.000 abitanti , ma negli ultimi anni, in particolare in India, Bangladesh, e alcuni paesi del Sud Est Asiatico è aumentata in modo esponenziale non solo per i viaggiatori che si recano in aree rurali (1 caso ogni 5000 / 10.000), ma anche nelle grandi città, in particolare nei grandi sobborghi dove la presenza di animali è costante. Le aree dei grandi mercati e di presenza di animali serbatoio possono essere considerate aree di rischio.

Sono a maggior rischio i viaggiatori internazionali, i campeggiatori, ed i viaggiatori che visitano sia aree rurali e agricole, ma oramai anche città e sobborghi di paesi considerati endemici. Inoltre, le variazioni stagionali nella trasmissione dell’infezione sono correlate alla temperatura e alle precipitazioni. Le regioni asiatiche a clima temperato (tra cui Giappone, Cina, Corea e India settentrionale) sono soggette ad epidemie annuali (da maggio a novembre), mentre nelle regioni tropicali (Indonesia, Malesia, Filippine, India meridionale, Sri Lanka, isole orientali oceaniche) la trasmissione può verificarsi in ogni stagione dell’anno, con picchi dopo le stagioni monsoniche e nei luoghi con irrigazione associata alla coltivazione del riso.

Cenni clinici

L’encefalite giapponese è una malattia virale acuta che ha come organo bersaglio l’encefalo, il midollo spinale e le meningi. La maggior parte delle forme sono in apparenti o paucisintomatiche, la gravità della malattia è data dall’attacco al sistema nervoso centrale.

Consulta la nostra scheda malattia sull’Encefalite Giapponese

Per l’immunizzazione  sono necessarie 2 dosi. E’ considerato vaccino efficace e soprattutto sicuro in quanto è prodotto su cellule Vero e il suo stabilizzante non contiene gli stessi derivati proteici ma la presenza di solfato di protamina, priva di reazioni.

Modalità di somministrazione

Il vaccino viene somministrato per via intramuscolare nel muscolo deltoide. Il vaccino non deve essere  iniettato per via intravascolare. In casi eccezionali  può essere somministrato per via sottocutanea in pazienti con trombocitopenia o disturbi della coagulazione, onde evitare il rischio di emorragie dopo l’iniezione intramuscolare. La somministrazione sottocutanea può determinare una risposta subottimale al vaccino. Si noti, tuttavia, che non esistono dati clinici che confermano l’efficacia della somministrazione per via sottocutanea.

Forma farmaceutica

Sospensione iniettabile. Liquido trasparente con un precipitato lattescente.

Indicazioni

Il vaccino è indicato per l’immunizzazione attiva contro l’encefalite giapponese nei viaggiatori sopra i 2 mesi di età, negli adulti e negli over 65 . Il suo utilizzo  è consigliato in soggetti a rischio di esposizione in previsione di un viaggio in Asia, anche di breve durata, sia in aree rurali che in aree cittadine, nelle vicinanze di aree dove sono presenti animali domestici, in particolare suini ed uccelli migratori, compresi i piccioni

Ricordiamo che questa encefalite è innanzitutto una zoonosi, ossia una malattia degli animali che si trasmette anche all’uomo.

Posologia

1) Pazienti adulti (18- 65 anni)

La vaccinazione primaria consiste in due dosi da 0,5 ml ciascuna, somministrate in conformità con il seguente calendario vaccinale:

A. Schedula classica

  • Prima dose il giorno 0.
  • Seconda dose: 28 giorni dopo la prima dose.

B. Schedula rapida

  • Prima dose il giorno 0.
  • Seconda dose: 7 giorni dopo la prima dose.

Con entrambe le schedule, l’immunizzazione primaria deve essere completata almeno una settimana prima della potenziale esposizione al virus dell’encefalite giapponese (JEV) Si raccomanda che i vaccinati che hanno ricevuto la prima dose completino il ciclo vaccinale primario con 2 dosi. Se l’immunizzazione primaria di due iniezioni non è completata, potrebbe non essere raggiunta la protezione completa contro la malattia. In base ad alcuni dati, una seconda iniezione somministrata fino a 11 mesi dopo la prima dose provoca elevati tassi di sieroconversione.

C. Dose di richiamo

Una dose di richiamo (terza dose) deve essere somministrata entro il secondo anno (cioè a 12 – 24 mesi) dall’immunizzazione primaria, prima della potenziale nuova esposizione a JEV. Le persone a rischio continuo di contrarre l’encefalite  giapponese (personale di laboratorio, viaggiatori o persone residenti in aree endemiche) devono ricevere una dose di richiamo al mese 12 dall’immunizzazione primaria I dati di sieroprotezione a lungo termine a seguito di una prima dose di richiamo somministrata 12 – 24 mesi dopo l’immunizzazione primaria suggeriscono che un secondo richiamo dovrebbe essere somministrato 10 anni dopo la prima dose di richiamo, prima della potenziale esposizione a JEV

2) Anziani (≥ 65 anni)

La vaccinazione primaria consiste in due dosi separate da 0,5 ml ciascuna, somministrate in conformità al seguente calendario vaccinale convenzionale:

A. Schedula

  • Prima dose il giorno 0
  • Seconda dose: 28 giorni dopo la prima dose.

L’immunizzazione primaria deve essere completata almeno una settimana prima della potenziale esposizione al virus dell’enfecalite giapponese (JEV) Si raccomanda che i vaccinati che hanno ricevuto la prima dose completino il ciclo vaccinale primario con 2 dosi . Se l’immunizzazione primaria di due iniezioni non è completata, potrebbe non essere raggiunta la protezione completa contro la malattia. Ci sono dati sulla base dei quali risulta che una seconda iniezione somministrata fino a 11 mesi dopo la prima dose provochi elevati tassi di sieroconversione

B. Dose di richiamo

Come per molti altri vaccini, la risposta immunitaria  negli anziani (età ≥ 65 anni) è più lenta che nei giovani adulti. La durata della protezione in questa popolazione è incerta, pertanto è necessario considerare una dose di richiamo (terza dose) prima di qualunque altra esposizione a JEV.  Non si è a conoscenza di una sieroprotezione a lungo termine successiva ad una dose di richiamo.

3) Popolazione pediatrica

Bambini ed adolescenti da 3 a < 18 anni di età:

La serie vaccinale primaria consiste in due dosi separate da 0,5ml. La prima va somministrata il giorno 0, la seconda dopo 28 giorni.

Bambini da 2 mesi a < 3 anni di età:

La serie vaccinale primaria consiste in due dosi separate da 0,25ml. La prima va somministrata il giorno 0, la seconda dopo 28 giorni.

Dose di richiamo (per bambini ed adolescenti)

Una dose di richiamo (terza dose) deve essere somministrata entro il secondo anno (cioè a 12 – 24 mesi) dopo l’immunizzazione primaria, prima di una potenziale re- esposizione a JEV. Bambini e adolescenti a rischio continuo di contrarre l’encefalite giapponese (residenti in aree endemiche) devono ricevere una dose di richiamo al mese 12 dopo l’immunizzazione primaria. Bambini e adolescenti da 3 a < 18 anni di età devono ricevere una singola dose di richiamo da 0,5 ml. I bambini da 14 mesi a < 3 anni di età devono ricevere una singola dose di richiamo da 0,25 ml.

Efficacia

Meccanismo d’azione. Il meccanismo d’azione dei vaccini per l’encefalite giapponese (JE) non è del tutto noto. Studi sugli animali hanno dimostrato che il vaccino stimola il sistema immunitario a produrre anticorpi contro il virus dell’encefalite giapponese che, il più delle volte, sono protettivi. Studi di infezione sperimentale sono stati effettuati su topi trattati con antisieri umani del vaccino. Questi studi hanno dimostrato che quasi tutti i topi con un titolo di almeno 1:10 al test di neutralizzazione della riduzione di placca erano protetti da un’infezione letale provocata con virus dell’encefalite giapponese.

Studi clinici. Non sono stati effettuati studi prospettici sull’efficacia. L’immunogenicità di Ixiaro è stata studiata in circa 3.119soggetti adulti sani inclusi in sette studi clinici controllati randomizzati e in 5 non controllati di fase 3 3 inoltre in 550 bambin sani inclusi in 2 studi clinicicontrollati randomizzati e in 2 non controllati di fase 3.

Controindicazioni

Ipersensibilità al principio attivo o a uno qualsiasi degli eccipienti o a eventuali residui (per esempio, protamina solfato). Non somministrare la seconda dose del vaccino a soggetti che hanno sviluppato reazioni di ipersensibilità dopo l’iniezione della prima dose. La somministrazione del vaccino deve essere posticipata nei pazienti in grave stato febbrile acuto.

Effetti indesiderati

La sicurezza del vaccino è stata valutata in vari studi clinici controllati, e non controllati, su 5021 soggetti adulti sani (da paesi non endemici) e 1559 bambini e adolescenti (per la maggior parte da paesi endemici). Si sono osservate reazioni avverse nel 40% circa dei soggetti trattati. Tali reazioni si verificano solitamente entro i primi tre giorni dalla somministrazione del vaccino, sono in genere di grado lieve e scompaiono nel giro di qualche giorno. Tra la prima e la seconda dose non è stato osservato un aumento del numero di reazioni avverse. Le reazioni avverse più frequenti sono cefalea e mialgia, che sono state riferite, rispettivamente, da circa il 20% e il 13% dei soggetti. Altri effetti indesiderati  sono stati  dolore nel sito di iniezione e affaticamento.

Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso

Come con qualsiasi altro vaccino, la vaccinazione potrebbe non assicurare la protezione di tutti i soggetti vaccinati. Il vaccino  non protegge il paziente da encefaliti causate da altri microrganismi.

 

Interazioni

Nell’ambito di  studi clinici è stata valutata la somministrazione contemporanea  con un vaccino inattivato dell’epatite A e con un vaccino inattivato della rabbia.

Non si è riscontrata un’interferenza con la risposta immunitariaal virus dell’encefalite giapponese o ai virus dell’epatite A o della rabbia.

Gravidanza e allattamento

Gravidanza. Esistono soltanto informazioni limitate relative all’uso in donne in gravidanza . Dagli studi condotti su animali sono stati ottenuti risultati di rilevanza clinica incerta. L’utilizzo  in gravidanza  dev’essere evitato in via precauzionale.

Allattamento. Non è noto se il vaccino sia presente nel latte materno.

Non sono previste ripercussioni sul neonato/infante allattato, data la trascurabile esposizione sistemica al vaccino della donna che allatta. Tuttavia, in assenza di dati e in misura precauzionale l’utilizzo durante l’allattamento dev’essere evitato.

Rischi per i viaggiatori

Si stima che il rischio grezzo di sviluppare l’encefalite giapponese sintomatica nei viaggiatori diretti in aree endemiche sia inferiore ad 1 su un milione, ma aumenta nel caso i viaggiatori si spostino in aree rurali (1 caso ogni 5000 per mese). Sono a maggior rischio gli espatriati, i campeggiatori, ed i viaggiatori che visitano per periodi prolungati aree rurali e agricole nei paesi endemici. Inoltre, le variazioni stagionali nella trasmissione dell’infezione sono correlate alla temperatura e alle precipitazioni. Le regioni asiatiche a clima temperato (tra cui Giappone, Cina e India settentrionale) sono soggette ad epidemie annuali (da maggio a settembre), mentre nelle regioni tropicali (Indonesia, Malesia, Filippine, India meridionale) la trasmissione può verificarsi in ogni stagione dell’anno, con picchi dopo le stagioni monsoniche e l’irrigazione associata alla coltivazione del riso.

Caratteristiche Ixiaro Je-vax
Ceppo SA 14-14-2 Nakayama-NIH
Tipo virus Attenuato selvaggio
Substrato Cellule Vero Cerebrali murine
Adiuvante Alluminio idrossido Nessuno
Stabilizzatore Nessuno Porcine gelatin
Conservante Nessuno Thimerosal
Presentazione finale Liquido Liofilizzato
Conservazione 2° – 8° C 2° – 8° C
Dosaggio 0.5 mL 1.0 mL
Via di somministrazione Intramuscolare sottocutanea
Posologia 2 dosi (0° e 28° giorno) 3 dosi (0°, 7° e 30° giorno)
Età > 17 anni > 1 anno

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Colera – Vaccinazione

Il vaccino, a disposizione dei viaggiatori, oltre ai batteri, inattivati col calore e la formalina, contiene la subunità B, non tossica della tossina del colera, (ottenuta attraverso procedimenti di sintesi di ingegneria genetica), la quale stimola una risposta anticorpale migliore dei precedenti vaccini e permette la protezione crociata dalla Diarrea da ETEC (Escherichia Coli Enterotossigena) che produce enterotossina termolabile.

Protezione quindi per il colera ma anche per alcune forme di diarrea del viaggiatore di tipo batterico.
Il vaccino viene somministrato per via orale, anziché parenterale (iniezione). Per una informazione più completa, consulta anche la Scheda Malattia
Aggiornamento Novembre 2019

  • Composizione
  • Indicazioni
  • Efficacia
  • Durata
  • Modalità Somministrazione
  • Effetti collaterali
  • Controindicazioni
  • Calendario

Composizione: 
Principi attivi:
31,25×109 batteri* per ciascuno dei seguenti ceppi di V. cholerae O1:
• biotipo classico Inaba (inattivato con il calore)
• biotipo El Tor Inaba (inattivato con formalina)
• biotipo classico Ogawa (inattivato con il calore)
• biotipo classico Ogawa (inattivato con formalina)
• Subunità B ricombinante della tossina colerica (rCTB) 1 mg
* Contenuto batterico prima dell’inattivazione.

La sospensione contiene: sodio fosfato monobasico, sodio fosfato dibasico,sodio cloruro, acqua per preparazioni iniettabili

Il granulato effervescente contiene: sodio bicarbonato, acido citrico, sodio carbonato, saccarina sodica, sodio citrato, aroma di lampone

 

Indicazioni:
Il vaccino orale è indicato per l’immunizzazione attiva nei confronti della malattia provocata dal sierogruppo O1 del Vibrio cholerae, negli adulti e nei bambini a partire dai 2 anni di età, che intendono recarsi in zone endemiche/epidemiche.
L’uso del vaccino orale  deve essere stabilito sulla base delle raccomandazioni ufficiali, tenendo conto della variabilità dell’epidemiologia e del rischio di contrarre la malattia nelle diverse aree geografiche e condizioni di viaggio.
Il vaccino orale non deve sostituire le normali misure protettive. In caso di diarrea si devono intraprendere le procedure di reidratazione secondo le normali indicazioni cliniche.
Limite di età per la somministrazione: 2 anni

Efficacia:
Per valutare l’efficacia del vaccino contro il colera, sono stati condotti due studi, rispettivamente in Bangladesh e in Perù. Nello studio in Bangladesh, condotto su circa 65.000 soggetti a partire dai 2 anni di età, il vaccino di tipo WC/rBS (Dukoral) è stato confrontato col vaccino a sole cellule di batteri uccisi.
Mentre in quest’ultimo aveva dimostrato un’efficacia protettiva del 58%, Il vaccino orale ha fatto registrare un’efficacia dell’85%. In questo studio si è misurata anche l’efficacia del vaccino contro la diarrea da ETEC in una zona endemica, e la protezione nel breve termine è risultata essere superiore al 60%.
Nello studio condotto in Perù, l’efficacia protettiva nei confronti del colera risultata sovrapponibile a quella riscontrata in Bangladesh. L’efficacia del vaccino è stata valutata non solo nelle popolazioni residenti in zone endemiche, ma anche nei viaggiatori che dai Paesi industrializzati si recano in zone a rischio. In particolare, è stato condotto uno studio in 600 turisti finlandesi che si recavano in vacanza in Marocco. In questo gruppo, il vaccino ha dimostrato di ridurre di oltre il 50% tutte le forme di diarrea da ETEC.
Il dato è ancora più alto (60%) per le diarree da ETEC che produce tossina termolabile (LT) e ancora migliore per le diarree da infezioni miste. Infatti, quando la diarrea era causata dall’ETEC più un qualunque altro patogeno, l’efficacia protettiva saliva fino al 71%; nel caso particolare di ETEC + Salmonella enterica, Il vaccino orale era in grado di prevenire l’82% delle diarree.
Il vecchio vaccino iniettivo tradizionale contro il colera, utilizzato negli anni ’70 / ’90, costituito da cellule intere di batteri uccisi col fenolo, non viene da tempo più raccomandato dall’OMS e non è da noi utilizzato a causa della sua modesta efficacia (30- 50% dei vaccinati), la breve durata dell’immunità (3-6 mesi) e perché può indurre nei vaccinati un immotivato e pericoloso senso di sicurezza.

Durata immunologia del vaccino orale: 2 anni

Modalità di somministrazione:
Il vaccino orale si somministra in due dosi, a distanza di una settimana l’una dall’altra, completando il ciclo idealmente una settimana prima della potenziale esposizione all’infezione. Il vaccino può essere impiegato anche nei bambini, a partire dai 2 anni: nei bambini di età 2-6 anni sono indicate tre dosi. Se sono trascorse più di 6 settimane tra le dosi, è necessario ricominciare il ciclo di immunizzazione di base. E’ necessario completare l’immunizzazione almeno 1 settimana prima della possibile esposizione al V. cholerae O1.
Dose di richiamo: Per una protezione continuativa nei confronti del colera, si raccomanda una singola dose di richiamo, dopo 2 anni per gli adulti e i bambini a partire dai 6 anni di età e dopo 6 mesi per i bambini tra 2 e 6 anni. Dati immunologici suggeriscono che nel caso sia trascorso un periodo fino a 2 anni dall’ultima vaccinazione, sarà necessario somministrare una singola dose di richiamo.

Somministrazione contemporanea: Non si devono ingerire cibi e bevande 1 ora prima e 1 ora dopo la vaccinazione. Evitare di somministrare altri vaccini e medicinali per os 1 ora prima e 1 ora dopo la vaccinazione.

Effetti collaterali:
– Non comuni (>1/1.000, <1/100): diarrea, dolore addominale, crampi addominali, gorgoglio gastrico/addominale (gas), fastidio addominale, cefalea.
– Rari (>1/10.000,<1/1.000): febbre, malessere, nausea, vomito, perdita dell’appetito o scarso appetito, sintomi respiratori (comprendenti rinite e tosse), vertigini.
– Molto rari (<1/10.000): stanchezza/sonnolenza, dispepsia, brividi, dolore articolare, mal di gola, ottundimento del gusto, sudorazione, insonnia, disidratazione, lipotimia, eruzione cutanea.

Controindicazioni:
Ipersensibilità ai principi attivi o ad uno qualsiasi degli eccipienti. Rinviare la somministrazione del vaccino orale nei soggetti affetti da malattie gastrointestinali acute o da malattie febbrili acute. In seguito a un’attenta valutazione dei rischi e dei benefici, è possibile somministrare il vaccino durante la gravidanza e l’allattamento, sempre consultando un medico esperto, benché non siano stati effettuati studi clinici specifici dedicati a questo argomento.
Nei soggetti HIV positivi, i dati disponibili sull’immunogenicità e la sicurezza del vaccino sono limitati. L’efficacia protettiva del vaccino non è stata studiata. L’immunizzazione dei soggetti HIV positivi potrebbe dare luogo ad aumenti transitori della carica virale. Il vaccino orale potrebbe non indurre livelli protettivi di anticorpi nei soggetti con malattia avanzata da HIV.

Calendario:
non obbligatoria in Italia nelle vaccinazioni dell’infanzia.

VIAGGIATORI INTERNAZIONALI
per regolamento internazionale dell’OMS il vaccino per il colera non è più obbligatorio in alcuna parte del mondo.
Nessun paese richiede prova di vaccinazione contro il colera quale condizione per entrare ed il Certificato Internazionale di Vaccinazione non prevede più uno spazio specifico per registrare la vaccinazione contro il colera. Buona parte del continente africano,incluso il nord-Africa, il Centro e il Sud America (escluse solo l’Argentina e il Cile) e gran parte dell’Asia sono da considerare mete dove sono presenti focolai di colera endemici ed il rischio di Diarrea del Viaggiatore da ETEC è molto elevato. Oltre che ai turisti, il vaccino è consigliato ai viaggiatori che si recano abitualmente in questi paesi per motivi di lavoro, ai volontari della Protezione Civile, ai militari, agli operatori ecologici ed al personale sanitario.
Per approfondire l’argomento

Colera – Vaccinazione Leggi tutto »

Rabbia – Scheda malattia

Malattia della Rabbia

  • Descrizione
  • Agente infettivo
  • Porta di ingresso
  • Distribuzione
  • Trasmissione e Patogenesi
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Mortalità
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

Descrizione:

La rabbia è probabilmente la più antica malattia di cui si ha notizia. La parola “rabbia” deriva dal sanscrito “rabbahs”, che significa “fare violenza”. Risale al trentesimo secolo avanti Cristo, quando in India il dio della Morte era dipinto sempre accompagnato da un cane, emissario, appunto, del trapasso.
La rabbia è una malattia virale a carattere zoonosico. Provoca un’encefalite negli animali, domestici e selvatici. Si trasmette attraverso il contatto diretto con la saliva di animali infetti (morsi, ferite, graffi, soluzioni di continuo della cute o contatto con mucose anche integre). Una volta che i sintomi si sviluppano, la malattia è sempre letale per l’uomo e per gli animali. Nella situazione epidemiologica attuale non determina danni al settore agro-zootecnico nazionale, ponendo esclusivamente gravi rischi di sanità pubblica.

Agente infettivo della Rabbia

Il virus della rabbia è un virus ad RNA a singola elica che appartiene alla famiglia dei rhabdovirus. All’interno di questa famiglia è compreso il genere Lyssavirus, che include il gruppo degli agenti che causano la rabbia negli animali e negli esseri umani. Virus rabici isolati da diverse specie animali e da diverse zone possiedono differenti proprietà biologiche e antigieniche che possono rendere conto di differenze nella virulenza tra i diversi ceppi isolati. Il virus presenta, inoltre, un particolare tropismo per le fibre muscolari e le cellule nervose, cosa che spiega il particolare decorso della malattia. Esistono diversi genotipi di virus della rabbia con specifici reservoir.

Porta d’Ingresso della Rabbia:

Il morso di animali infetti rappresenta la principale modalità di esposizione alla rabbia; occasionalmente può verificarsi una contaminazione aerea, attraverso aerosol infetti, una contaminazione digestiva o una contaminazione da trapianti di organi infetti. La trasmissione aerea del virus è limitata a situazioni molto particolari, di elevata concentrazione di virus in aerosol, come potrebbe verificarsi in laboratorio o in grotte con popolazioni di pipistrelli infetti.
Rari casi di infezione nell’uomo per via alimentare sono stati segnalati recentemente nel Sud Est Asiatico.

Distribuzione della Rabbia

La rabbia esiste in due forme epidemiologiche: la rabbia urbana, diffusa principalmente dal cane e dal gatto domestici non immunizzati, e la rabbia silvestre, propagata da volpi, tassi, faine, martore, donnole, moffette, manguste, procioni, lupi e pipistrelli. L’infezione negli animali domestici è in genere espressione di una saturazione del serbatoio di infezione selvatico; l’infezione nell’uomo tende, quindi, a verificarsi in zone dove la rabbia è enzootica o epizootica, dove la gran parte degli animali domestici non è immunizzata e dove è comune il contato con l’uomo. Il ciclo urbano è presente prevalentemente in Africa, Asia e Sud America, dove la presenza di animali randagi è molto elevata.

Il ciclo silvestre è predominante in Europa e in Nord America. L’epidemiologia di questo ciclo è piuttosto complessa: vanno tenuti in considerazione il genotipo virale, il comportamento e l’ecologia delle specie ospiti e i fattori ambientali. Nello stesso ecosistema una o più specie possono essere coinvolte nell’epidemiologia della malattia.

Rischio rabbia

La Rabbia nel Mondo

Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale di sanità (Oms) la rabbia è ampiamente diffusa in tutto il globo. Ogni anno, a causa di questa malattia, muoiono più di 55 mila persone. Di questi decessi, il 95% si registra in Asia e Africa. Il 99% dei casi di rabbia nell’uomo dipendono da rabbia canina e circa il 30-60% delle vittime di morsi di cane sono bambini minori di 15 anni. Inoltre, oltre 10 milioni di persone ogni anno vengono sottoposte a trattamento post-esposizione a seguito di contatto a rischio con ad animali sospetti rabidi.

 

Negli ultimi anni, la rabbia dei pipistrelli è emersa come uno dei principali problemi di salute pubblica nelle Americhe e in Europa. Per la prima volta nel 2003 in Sud America sono morte più persone per rabbia da animali selvatici (in particolare pipistrelli) che da cani. Il peso economico della rabbia nei Paesi in via di sviluppo è molto pesante.

Negli Stati Uniti, nel 2008, 49 Stati, il Distretto di Columbia e Porto Rico hanno testato oltre 121 mila animali e riportato ai Cdc più di 6800 casi di rabbia tra gli animali e 2 casi nell’uomo. Il totale dei casi riferiti è sceso di circa il 3,1% rispetto al 2007. Il 93% dei casi registrati nel 2008 riguarda animali selvatici e il 7% animali domestici. Il numero dei decessi tra gli uomini è di circa 2-3 all’anno.

 

La Rabbia in Europa

In Europa, nonostante zone molto estese abbiano ottenuto lo status di libere da rabbia, la vaccinazione degli animali da compagnia rimane una fase importante della prevenzione.

 

La rabbia in Europa è prevalentemente rabbia silvestre: alle specie selvatiche è attribuito l’80% di tutti i casi di rabbia. Di questi, più dell’80% è legato a volpi rosse (Vulpes vulpes), appartenenti alla famiglia dei Canidae. La vaccinazione orale delle volpi, sviluppata ormai quasi 25 anni fa, ha offerto una nuova prospettiva per il controllo della rabbia tra le specie selvatiche. Questo metodo, è stato provato come l’unico modo efficace per eliminare la rabbia tra le volpi e tra altre specie terrestri: se si elimina la rabbia tra le volpi scompare anche tra gli altri animali domestici.

I risultati ottenuti con questo metodo sono significativi, il numero annuale di casi di rabbia è sceso da 21 mila nel 1990 a 5400 nel 2004. Nella maggior parte delle zone dell’Europa occidentale e centrale la rabbia è stata eradicata e il controllo è stato di successo. A oggi, molti Paesi sono considerati liberi da rabbia. In Francia nel 2004 e nel 2008 si sono verificati due casi di rabbia, diagnosticati entrambi in cani importati dal Marocco. Nel 2004 in Germania sono stati segnalati tre casi di rabbia post-trapianto su sei pazienti che avevano ricevuto organi dalla stessa donatrice.

 

La Rabbia in Italia

Dal 1997 e fino all’ottobre 2008, l’Italia è stata considerata libera da rabbia (rabies free). Successivamente, secondo i dati dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (IZSVe), dal 2008 a febbraio 2010, sono stati diagnosticati centinaia di casi di rabbia in animali in Friuli-Venezia Giulia, in Veneto e nella Provincia Autonoma di Trento. I casi di rabbia diagnosticati sono da mettere in stretta correlazione con la situazione epidemiologica della rabbia silvestre nella vicina Slovenia.

 

Nel corso del 2009 e inizio 2010 l’epidemia si è diffusa in direzione Sud-Ovest, comprendendo il Friuli Venezia Giulia, il Veneto in particolare la provincia di Belluno, fino ai casi più recenti riscontrati nella provincia di autonoma di Trento.

La prevalenza dei casi ha interessato gli animali selvatici, per lo più le volpi, che rappresentano il principale serbatoio della malattia, ed alcuni caprioli e tassi. Sono stati riscontrati positivi anche animali domestici tra cui cani, gatti, un cavallo ed un asino.

Le autorità veterinarie nazionali e locali hanno messo in atto tutte le misure sanitarie necessarie al controllo della diffusione della malattia. Grazie a questi interventi, la malattia è ritenuta sotto controllo e al momento si assiste ad una riduzione dei casi accertati: infatti si è passati dalle 49 positività al virus registrate nelle volpi nel mese di gennaio 2010, ai 9 casi dell’ultimo mese (Giugno 2010).

Mappa di diffusione della Rabbia nel mondo

Trasmissione e Patogenesi:

La trasmissione del virus della rabbia agli esseri umani di solito è dovuta al morso di un animale infetto, ma può avvenire anche tramite contatto diretto delle membrane mucose o di ferite dell’epidermide con materiale infetto (ad es. saliva, tessuti neurali, fluido cerebrospinale). La replicazione virale comincia all’interno delle fibrocellule muscolari striate prossime al punto di inoculazione. Il virus si diffonde poi in direzione centripeta lungo il nervo sino al sistema nervoso centrale in cui si moltiplica; quindi prosegue attraverso i nervi efferenti verso le ghiandole salivari e compare nella saliva. L’autopsia (post-mortem) mostra un intasamento vasale con emorragie puntiformi nelle meningi e nel cervello; l’esame microscopico mostra raccolte perivascolari di linfociti con distruzione minima delle cellule nervose. Corpi inclusi intracitoplasmatici (corpi di Negri), solitamente nel corno di Ammone, sono patognomonici della rabbia, anche se non sono sempre presenti.

Incubazione:

Il periodo di incubazione della rabbia è assai variabile, oscillando da 7 giorni a più di un anno (in media 1-2 mesi). La latenza sembra dipendere dalla carica infettante, dall’estensione dell’interessamento tissutale in sede di inoculo, dai meccanismi di difesa dell’ospite e dalla distanza che il virus deve coprire dalla sede di inoculazione al sistema nervoso centrale. I tassi di infezione e la mortalità sono elevati a seguito di morsi sul capo o sul tronco, minori in occasione di morsi sugli arti inferiori.

Sintomi della Rabbia :

Le manifestazioni cliniche della rabbia (forma furiosa, 75% dei casi) configurano 4 stadi:
1.una sindrome prodromica aspecifica: dura circa da 1 a 4 giorni ed è caratterizzata da febbre, cefalea, malessere, mialgie, astenia ingravescente, anoressia, nausea e vomito, mal di gola e tosse non produttiva; un sintomo fortemente suggestivo, presente nel 50-80% dei pazienti, è rappresentato dalla comparsa di parestesie e/o fascicolazioni nella sede dell’inoculo;

2. una fase encefalitica acuta, generalmente preceduta da periodi di iperattività motoria, ipereccitabilità e agitazione; rapidamente compaiono confusione, allucinazioni, aggressività, bizzarre aberrazioni del pensiero, spasmi muscolari, meningismo, convulsioni e paralisi distrettuali; i periodi di alterazione mentale si alternano a periodi di perfetta lucidità, ma con il procedere della malattia questi ultimi si fanno più rari finchè il paziente cade in coma; molto comune è l’iperestesia con eccessiva sensibilità alla luce intensa, ai rumori forti, al tocco e talvolta anche allo sfioramento. La temperatura corporea può raggiungere i 40°C; comune è la paralisi delle corde vocali;

3. una fase encefalitica di tipo rabico da profonda alterazione dei centri del tronco encefalico: l’interessamento dei nervi cranici causa diplopia, paralisi facciali, neurite ottica e la caratteristica difficoltà alla deglutizione; questa, associata all’eccessiva salivazione, dà luogo al tipico quadro di “bava alla bocca”; nel 50% dei casi compare idrofobia, ovvero una dolorosa, violenta contrazione involontaria del diaframma e dei muscoli respiratori accessori, faringei e laringei, scatenata dall’ingestione di liquidi; il paziente diventa comatoso e l’interessamento dei centri respiratori determina una morte per apnea.

4. morte, o in rari casi, guarigione: in assenza di una terapia rianimatoria, la sopravvivenza media dall’esordio dei sintomi è di quattro giorni. La guarigione è eccezionale e quando si verifica è graduale.

La forma paralitica (25% dei casi) è caratterizzata da una paralisi ascendente del tipo sindrome di Landry/Guillain-Barrè (rabbia muta, rabbia tranquilla); si osserva più frequentemente in coloro che sono stati morsicati da pipistrelli o in coloro che hanno ricevuto una profilassi post-esposizione; si manifesta, inoltre, nel sud-est asiatico in soggetti morsicati da cani.

Controllo e prevenzione della rabbia:

In generale, la letteratura scientifica disponibile è concorde nell’affermare che il controllo della rabbia si identifica nella rigorosa attuazione degli interventi codificati da norme di polizia veterinaria, specificamente mirati alla protezione dell’uomo nei confronti della malattia.

La prevenzione nei confronti della rabbia si basa sulla vaccinazione preventiva degli animali domestici, sulla lotta al randagismo e su altri provvedimenti finalizzati a impedire contatti a rischio con le popolazioni selvatiche.

 

Per quanto riguarda la prevenzione della rabbia negli animali è importante :
la vaccinazione antirabbica (obbligatoria o volontaria a seconda del dato epidemiologico) degli animali domestici, la lotta al randagismo e l’attuazione di provvedimenti coercitivi (cattura ed eventuale abbattimento)  al fine di realizzare, attorno all’uomo, un anello di protezione costituito da animali domestici non recettivi e, quindi, incapaci di trasmettere l’infezione (prevenzione del ciclo urbano della malattia);

la vaccinazione orale dei carnivori selvatici, volpi in particolare, introdotta da più di un decennio in alcuni paesi europei.

A seguito di tale misura è stato osservato un significativo decremento dell’incidenza della malattia, rilevato attraverso piani di sorveglianza sul serbatoio selvatico (prevenzione e controllo del ciclo silvestre della malattia).

Prevenzione della Rabbia:

Nell’uomo, la prevenzione della malattia si basa sulla vaccinazione preventiva per chi svolge attività professionale “a rischio specifico” (veterinari, guardie forestali, cinovigili, guardie venatorie ecc.), sulla vaccinazione pre-contagio e sul trattamento vaccinale post-esposizione che sarà considerato di volta in volta in funzione della tipologia di esposizione verificatasi.

Le linee guida Oms individuano tre tipologie di esposizione:
– contatto di una superficie cutanea intatta con animali, con le loro mucose o con il loro cibo (se la ricostruzione dei fatti è attendibile, non c’è esposizione e quindi non è necessaria una profilassi);
– graffi minori o abrasioni senza sangue o leccate di animali su pelle tagliata e piccoli morsi su pelle abrasa (si consiglia sola la vaccinazione), morsi singoli o multipli transdermici, graffi o contaminazione della membrana della mucosa con saliva o contatti sospetti con pipistrelli (in questo caso si devono somministrare sia le immunoglobuline, che il vaccino).

Le cure post-esposizione per prevenire la rabbia includono la pulizia e la disinfezione della ferita o dei punti di contatto e la somministrazione precoce della vaccinazione (se necessaria), senza aspettare i risultati dei test diagnostici di laboratorio e, comunque, senza ritardi per l’osservazione dell’animale sospetto. Per quanto riguarda le immunoglobuline, non ci sono limiti di tempo alla somministrazione. La maggior parte delle immunoglobuline deve essere somministrata in profondità nella ferita, mentre la parte restante, se avanza, dovrebbe essere iniettata in un altro sito muscolare aggiuntivo lontano dalla ferita. L’Oms raccomanda, infine, l’osservazione dell’animale sospetto per 10 giorni, perché i primi sintomi nei cani e nei gatti non sono molto specifici. Francia, Spagna e Inghilterra raccomandano 14 giorni di osservazione.

Trattamento della Rabbia:

All’insorgenza dei sintomi neurologici la rabbia non è curabile.

Diagnosi:

La diagnosi clinica della rabbia non è affidabile. La diagnosi definitiva può essere fatta solo con l’esame di laboratorio. La diagnosi post-mortem è effettuata sul SNC e comprende come test di elezione l’immunofluorescenza diretta (FAT) e l’isolamento del virus in coltura cellulare (RTCIT). La RT-PCR e le altre tecniche di amplificazione sono di solito utilizzate come test di conferma.

La diagnosi intra-vitam è utilizzata spesso nell’uomo a partire da saliva, urina, liquido cefalorachidiano e biopsia cutanea effettuata sulla nuca e prevede tecniche di FAT, RTCIT e RT-PCR. L’ulteriore caratterizzazione dell’isolato virale avviene mediante sequenziamento o l’utilizzo di anticorpi monoclonali.

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Poliomelite – Scheda malattia

Poliomelite

poliomenite

  • Agente patogeno
  • Porta di ingresso
  • Aspetti clinici
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Controllo e prevenzione

Agente patogeno:
Poliovirus.

Porta di ingresso:
cavità orale, quindi faringe, intestino e talora SNC.

Aspetti clinici:
Sintomatologia poco caratteristica se non è interessato il SNC, altrimenti manifestazioni tipiche con paralisi muscolari ed esiti permanenti di paralisi flaccida (poliomielite paralitica). Può determinare grave insufficienza respiratoria e morte se colpisce rispettivamente i muscoli respiratori o i centri del respiro. Prima dell’avvento della vaccinazione in tutto il mondo erano presenti epidemie gravissime di polio paralitica; strategie vaccinali di massa hanno portato alla eradicazione della malattia in molti Paesi.

Trasmissione:
la sorgente di infezione è l’uomo, il contagio avviene per via oro – fecale.

Incubazione:
3-35 giorni (media 14 giorni).

Controllo e prevenzione:
Vaccinazione:

  • Orale

Efficacia: 100%
Efficacia dopo: dopo la terza dose
Durata: tutta la vita
Limite di età: 6 settimane
Indicazioni:Raccomandata. Non indicata per gli adulti.
Modalità di somministrazione: prima dose al tempo 0, IIa dopo 6-8 settimane, IIIa dopo 6-12 mesi dalla prima; richiamo a 6 anni.

Principali precauzioni e controindicazioni: tutte le limitazioni di ordine generale relativamente all’uso dei vaccini vivi.
I bambini che non possono effettuare il vaccino vivo, attenuato, i loro fratelli e i familiari conviventi riceveranno vaccino antipolio parenterale a virus uccisi tipo Salk, con il seguente calendario: prime tre dosi con un intervallo di 6-8 settimane, 4° dose dopo 6-12 mesi, 5° dose all’ingresso nella scuola elementare, quindi una dose ogni cinque anni fino ai 18 anni di età.
–   Non consigliata in gravidanza e in soggetti immunocompromessi; –   non somministrare se tra i contatti abituali del soggetto vi sono persone immunodepresse

Effetti collaterali più comuni: Rarissimi casi di infezione del sistema nervoso

Calendario: 1° dose 2-3° mese; 2° dose 4-5° mese; 3° dose 11-12° mese; 4° dose 3° anno. Un ritardo di somministrazione di una delle dosi di vaccino non richiede mai di ricominciare il ciclo.

Viaggiatori internazionali: E’ consigliato il richiamo antipolio a tutti i viaggiatori che si recano in paesi dove sono segnalate epidemie o situazione di endemia diffusa su tutto il territorio con rischi reali di contatto con il virus.

Obbligatoria in Italia dal 1966. Il vaccino adottato è quello a base di virus vivi attenuati secondo Sabin, somministrato per via orale, a distanza di almeno due ore dal pasto. E’ utilizzato anche il vaccino iniettivo IPV che ha preso il posto di quello orale in diversi schemi vaccinali.

  • Iniettabile

efficacia: 96% – efficacia dopo la terza dose
Durata: tutta la vita
Limite di età: 6 settimane
Indicazioni: raccomandata
Modalità di somministrazione: tre dosi per via intramuscolare. Richiamo a 6 anni.
Principali precauzioni e controindicazioni: Reazioni anafilattiche a streptomicina o neomicina
Effetti collaterali più comuni: Rare reazioni locali di lieve entità

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Meningite – Scheda malattia

 

Descrizione Agente infettivo Ciclo vitale Distribuzione Porta di ingresso Trasmissione
Incubazione Sintomi Mortalità Controllo e prevenzione Trattamento Diagnosi 

 

Descrizione

La meningite è una malattia infettiva di origine batterica o virale, di tipo infiammatorio, che coinvolge le meningi ed il liquido cefalorachidiano. Spesso viene identificata come meningite spinale, la forma che coinvolge le meningi del tratto della colonna vertebrale e che si presenta con sintomatologia precisa. È importante identificare l’agente patogeno della malattia, se virus o batterio  per impostare una terapia corretta. Generalmente la meningite ad eziologia virale è meno severa e si autolimita, quasi sempre, senza specifici trattamenti, mentre la meningite batterica può manifestarsi in modo severo e può dare luogo a danni cerebrali, perdita dell’udito o problemi nell’apprendimento. Nel caso della meningite batterica è molto importante identificare  l’agente patogeno per poter utilizzare il farmaco adatto, efficace, ed evitare in questo modo l’espandersi dell’infezione. Prima del 1990, l’Haemophilus influenzae di tipo b (Hib) era considerato la causa principale di meningite batterica, ma una vaccinazione di massa fra i bambini,  ha portato una riduzione drastica del numero di casi. Oggi i principali batteri causa di meningite sono lo Streptococcus pneumoniae e la Neisseria meningitidis.

Agente infettivo

MeningiteMeningococco (Neisseria meningitidis) suddiviso in diversi sieogruppi,  gram negativo, asporigeno, assai labile in ambiente esterno.

Ciclo vitale

La Neisseria meningitidis risiede nella mucosa del tratto naso-faringeo che è il suo habitat naturale. Circa il 5-15% della popolazione umana è portatrice sana di questo batterio nella sua forma non patogena. Un primo meccanismo di infezione è costituito dalla colonizzazione della mucosa nasale e faringea attraverso cui il batterio attraversa le cellule epiteliali mediante endocitosi penetrando in questo modo nel microcircolo dermico. A questo punto il batterio prolifera adattandosi al nuovo ambiente. La risposta clinica alla infezione può variare da una forma benigna asintomatica o paucisintomatica fino ad una forma grave e fatale (meningococciemia – forma setticemica da meningococco). Nella forma più severa dell’infezione si hanno cariche assai elevate di batteri nel sangue. Questi batteri sono in grado di superare la barriera ematomeningea-encefalica. Questo fenomeno induce una infiammazione progressiva delle stesse meningi, con produzione anche di materiale purulento. I soggetti immuno-depressi (es. per trauma cervicale, HIV etc.) tendono a manifestare questi tipi di meningiti batteriche. Altri individui si contagiano ed ammalano per contatto  diretto con portatori primari. I soggetti portatori di Neisseria nasofaringea possono sviluppare una immunità naturale da stimolazione immunogena cronica ed essere protetti dalla malattia.

Distribuzione

La meningite da Neisseria è ubiquitaria e la sua incidenza media è di 0.5-5 casi/100,000 persone. Nel periodo compreso fra il 1996 e il 1997 sono stati denunciati 213,658 casi con 21,830 decessi nei paesi della così detta cintura Africana della meningite.

 

Porta d’ingresso

Cavo orale, rino faringe, prime vie aeree.

Trasmissione

Per via aerogena, contatti ripetuti con ammalati o portatori. Sono favorenti le situazioni di sovraffollamento. Fonte d’infezione: i portatori sani o paucisintomatici del batterio.

Incubazione

1-7 giorni (generalmente  2 o 3 giorni)

Sintomi

Febbre alta, cefalea, torcicollo, contrazione dei muscoli nucali e rigidità nucale, sintomo tipico e patognomonico. Questi sintomi sono tipici dell’infezione in individui al di sopra dei 2 anni di età. Questi sintomi possono svilupparsi in poche ore o in 1 o 2 giorni. Altri sintomi possono includere nausea, vomito, forte fastidio degli stimoli luminosi, confusione e sonnolenza, con manifestazioni meningee fino al coma. Nei neonati e nei bambini i sintomi classici quali febbre, mal di testa e torcicollo possono essere assenti o difficili da determinare e il bambino può solo apparire lento o inattivo, o a volte facilmente irritabile con vomito e anoressia. Frequente la rigidità nucale. Il 10%-15% dei casi di infezione da meningite è fatale. Il 10-15% dei pazienti che guariscono invece hanno una perdita o una diminuzione permanente dell’udito, ritardo mentale, un danneggiamento del sistema limbico, con vertigini.

Mortalità

Elevata nelle sepsi e nelle forme accompagnate da coagulazione intravascolare disseminata.

Controllo e prevenzione

La meningite è una infezione contagiosa. Viene trasmessa mediante scambio di secrezioni mucose (es. tosse, bacio),  ma è molto meno diffusiva rispetto ad un raffreddore o una influenza da causa virale. Non viene trasmessa respirando l’aria presente in un ambiente dove abbia transitato un individuo infetto, ma solamente stazionando per lungo tempo vicino a persona infetta. È opportuno sottoporre a prevenzione antibiotica chiunque sia stato a stretto contatto con un individuo affetto da meningite.

Vaccinazione

La vaccinazione è uno strumento preventivo efficace e da effettuare per chi si reca in zone o in ambienti a rischio di contagio. La vaccinazione contro la meningite da Neisseria non è una vaccinazione obbligatoria nell’infanzia.  È stata resa obbligatoria ai giovani di leva. – Per  i viaggiatori internazionali: è consigliata ai viaggiatori che si recano nei paesi africani inclusi nella “cintura meningococcica” (Senegal, Gambia, Guinea Bissau, Guinea Conakry, Mali, Burkina Faso, Togo, Benin Ghana, Niger, Nigeria, Ciad, Cameroon, Rep. Centrafricana, Sudan, Etiopia, Gibuti, Eritrea, Somalia), durante i periodi considerati a rischio epidemia. I periodi di secca, lontani dal periodo monsonico. – Anche per i viaggiatori che si recano in India, in Cina ed in Mongolia, in particolare per chi si reca nelle provincie dove sono stati segnalati casi di meningite da Meningococco, è consigliata l’effettuazione del vaccino antimeningococcico. – È obbligatoria per tutti i pellegrini che si recano in pellegrinaggio alla Mecca. Controindicazioni: la vaccinazione è controindicata nei soggetti che manifestano malattie infettive acute in corso e malattie evolutive e croniche debilitanti. Effetti collaterali: Locali: raro il dolore con gonfiore nella zona di inoculo. Generali: rara la reazione febbrile ed ancora più rari i sintomi lievi delle prime vie aeree.

Secondo un comunicato stampa emesso il 16 novembre 2012, un nuovo vaccino realizzato per la prevenzione della Meningite da Neisseria menigitidis di gruppo B e della setticemia che può associarsi, ha ricevuto l’approvazione da parte del Comitato dell’Agenzia Europea dei Medicinali per Uso Umano (Commitee for Medicinal Products for Human Use o CHMP). Il nuovo vaccino, chiamato Bexsero e sviluppato da Novartis, è destinato all’immunizzazione contro la meningite sostenuta dal meningococco di gruppo B.

I tipi di vaccino

Esiste in commercio un vaccino contro diversi tipi di  N. meningitidis. – Il vaccino contro l’Hib è sicuro e molto efficace. Esistono altri vaccini contro lo Streptococcus pneumoniae. Questo è un vaccino polisaccaridico pneumococcico raccomandato per gli individui con più di 65 anni di età, che solitamente hanno problemi di malattie croniche, e per i bambini al di sotto dei 2 anni. – Vi è anche un nuovo tipo di vaccino, pneumococcico coniugato, che sembra essere efficace nei bambini per la prevenzione da infezione pneumococcica ed è solitamente raccomandato per i bambini al di sopra dei 2 anni di età.

Trattamento

Esiste un trattamento preventivo da iniziare entro 14 giorni dal contatto con persone infette e non oltre. Solitamente questa chemioprofilassi viene utilizzata per quelle persone a rischio, che si trovano a contatto o che si sono trovate a contatto con individui infetti e serve per prevenire la colonizzazione del meningococco nelle mucose del rinofaringe. La Rifampicina è il farmaco di elezione per l’eradicazione della N. Meningitidis dal tratto naso-faringeo ma non deve essere somministrato in donne in gravidanza. La Ciproflossacina e il ceftriaxone sono antibiotici di alternativa alla Rifampicina ma non devono essere somministrati a bambini al di sotto degli  8 anni di età, alle donne in gravidanza o nel periodo dell’allattamento.  La Penicillina G, la Ampicillina, il Cloramfenicolo e il ceftriaxone sono comunque antibiotici utilizzati in terapia.

Diagnosi

Una diagnosi precoce e conseguente trattamento sono fondamentali nella prognosi del caso. Se vengono segnalati i classici sintomi, è bene rivolgersi immediatamente ad un sanitario. La diagnosi viene effettuata mediante crescita in coltura seminando campioni prelevati dal liquido cefalorachidiano, mediante puntura spinale. Il prelievo viene eseguito mediante l’introduzione di un ago nell’ultima porzione del canale spinale dove il fluido è prontamente accessibile, nel retro del dorso. In questo modo viene eseguita una pronta identificazione del batterio con un antibiogramma necessario per la determinazione del corretto antibiotico da somministrare.

Stato della ricerca

I vaccini contro il meningococco attualmente approvati per uso umano, sono costituiti dalla variante del polisaccaride capsulare purificato, caratteristico delle membrane batteriche. Questo tipo di vaccino è particolarmente attivo contro il sierotipo A e C. E’ stato realizzato anche un vaccino quadrivalente contenente i 4 tipi del batterio meningococcico (sierogruppo A, C, Y, W-135). Questo vaccino è attivo nel 75-90% dei casi. È utilizzabile negli individui di età superiore ai 2 anni. È stato osservato che le persone vaccinate rimangono immuni per un periodo di circa 3 anni. Oltretutto si è osservato che questo tipo di vaccino polisaccaridico capsulato non è attivo nei bambini al di sotto dei 2 anni ed ha una copertura immunologica nei bambini e negli adolescenti di breve durata.

Sono allo studio nuovi vaccini con diverse caratteristiche. Ad esempio si procede legando una proteina di trasporto ad un polisaccaride capsulato e purificato. La proteina trasporto in questo modo richiama ed aumenta la risposta dei linfociti di tipo T attivando in questo modo la memoria anticorpale, all’inizio e successivamente la risposta di tipo cellulare. Il meccanismo consente una risposta anche negli individui al di sotto dei 18 mesi. Si sta cercando di sviluppare un vaccino anche contro il sierogruppo di tipo B. Il problema nell’ottenere un vaccino contro questo sierotipo è nella somiglianza esistente fra la struttura del polisaccaride B capsulare del batterio e l’acido polisialico  presente nel tessuto del cervello umano. Questa similitudine induce una tolleranza immunogenetica al polisaccaride e la difficoltà di realizzare un vaccino efficace contro il meningococco di tipo B.

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Febbre Tifoide – Scheda malattia

Febbre Tifoide

febbre tifoide

  • Descrizione
  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Mortalità
  • Periodo di contagiosità
  • Controllo e prevenzione
  • Precauzioni
  • Trattamento
  • Vaccino antitifico
  • Diagnosi

Agente causale della febbre tifoide, (da www.nlm.nih.gov/medlineplus/ency/imagepages/1048.htm)

Descrizione:
è una malattia infettiva, contagiosa, di origine batterica, a carattere sistemico, cioè che coinvolge l’intero organismo; talvolta  asintomatica o paucisintomatica, talvolta caratterizzata da esordio insidioso, talvolta fin dall’inizio da febbre elevata, cefalea, malessere generale, anoressia, bradicardia relativa, esantema papuloso localizzato al tronco, tosse secca e disturbi gastrointestinali quali costipazione o diarrea.  Nella maggior parte dei casi l’infezione decorre in forma sub-clinica. Si instaura frequentemente uno stato di portatore sano cronico, che può essere anche molto prolungato nel tempo.

Agente infettivo:
La febbre tifoide, anche detta tifo addominale, è provocata da un batterio, la Salmonella typhi, appartenente al numerosissimo genere di Salmonella, di cui fanno parte anche le S. paratyphi A e B, responsabili dei paratifi e delle cosiddette salmonelle minori, responsabili di infezioni e tossinfezioni a trasmissione alimentare. Genere: Salmonella; Famiglia: Enterobacteriaceae; morfologia: sono batteri bastoncellari, diritti, asporigeni, in genere mobili per la presenza di flagelli peritrichi; esigenze metaboliche: sono microrganismi che fermentano il glucosio, producendo gas, non fermentano il lattosio e il saccarosio, non producono indolo, mentre producono idrogeno solfato, riducono i nitrati, sono positivi alla reazione rosso di metile e negativi al test di Voges Proskauer; habitat naturale: è l’intestino degli animali domestici, selvatici e dell’uomo, ma solo per alcune specie. Essi sono sensibili a molti disinfettanti chimici e fisici.

Ciclo vitale:
La Salmonella typhi, in alcuni casi può superare la barriera gastrica, è infatti molto sensibile all’ambiente acido, e raggiungere l’intestino tenue da cui può passare ai linfonodi mesenterici e poi giungere per mezzo dei vasi linfatici ed il dotto toracico il torrente circolatorio. Alla conclusione del ciclo, dopo un certo periodo, le salmonelle ritornano nel piccolo intestino attraverso l’escrezione biliare. Distribuzione: è ubiquitaria in tutto il mondo. Ancora oggi, malgrado le campagne di vaccinazione, il tifo è molto diffuso in particolare nelle zone del Mediterraneo, in Africa, in Asia e nell’America centrale e meridionale.

Porta d’ingresso:
attraverso il cavo orale, per ingestione, le Salmonelle, superata la barriera acida gastrica, raggiungono l’intestino. Trasmissione: La febbre tifoide rientra nell’ambito delle malattie a trasmissione orofecale; può quindi essere contratta in seguito all’ingestione di acqua o alimenti (mitili, frutta, verdura, latte non pastorizzato) contaminati da materiali fecali contenenti Salmonelle. Le Salmonelle sono dotate di una notevole resistenza nell’ambiente esterno, soprattutto se contenute in materiali organici e possono persistere per mesi nei liquami e nel fango; resistono a lungo anche nell’acqua e nel ghiaccio. Gli insetti, in particolar modo le mosche, possono fungere da vettori passivi dei germi patogeni. L’uomo, malato o portatore è l’unica sorgente di infezione.

Incubazione:
Il periodo di incubazione può variare da 3 giorni a 3 mesi a seconda della carica infettante, ma abitualmente è di 1-3 settimane.

Sintomi:
Nel sangue è caratteristica una leucopenia (diminuzione dei globuli bianchi), con scomparsa dei polinucleati eosinofili. La malattia si presenta molto spesso paucisintomatica con malessere generale, febbricola e malessere addominale con fastidi, lieve dolenzia e alvo irregolare o diarroico. Talvolta si presenta con febbre elevata che permane per circa una settimana, con lievi remissioni mattutine, e quindi inizia il periodo delle oscillazioni e delle intermittenze, con alterazioni dell’alvo e sintomi addominali importanti ed ingravescenti. La maggior parte dei casi evolve verso la  convalescenza. Altri sintomi frequenti sono: cefalea anche assai violenta, mialgie, epistassi, un notevole grado di ottundimento psichico, che può passare fino a coma profondo, ed esantemi cutanei roseoliformi, di preferenza localizzati al tronco ed al dorso.
Mortalità:
legata ai rari casi di enterorragia e perforazione intestinale, sempre più rari dopo l’introduzione della terapia antibiotica.

Periodo di contagiosità:
I pazienti affetti da febbre tifoide sono infettanti fintanto che S. typhi è presente nelle feci, ovvero dalla prima settimana di malattia per tutta la durata della convalescenza. Il 2-5% dei pazienti diviene portatore sano cronico, potendo eliminare le salmonelle del tifo per molti mesi e, in casi estremi, per anni.
Controllo e prevenzione:
Come per tutte le malattie a trasmissione fecale, lo scrupoloso rispetto di elementari norme igieniche sia individuali, che ambientali, che per la manipolazione e la conservazione degli alimenti è fondamentale. A livello collettivo la prevenzione delle malattie a trasmissione oro-fecale si realizza attraverso il corretto smaltimento ed allontanamento dei rifiuti solidi e liquidi e la disponibilità di acqua per uso umano sicura e controllata. Le salmonelle presentano una notevole resistenza all’ambiente esterno ma sono comunque sensibili all’azione dei comuni disinfettanti. Una buona soluzione disinfettante ad uso domestico può essere ottenuta diluendo 1 cucchiaio da tavola di comune varechina in 1 litro d’acqua. La soluzione così ottenuta può essere utilizzata per la disinfezione di posate, stoviglie ed altri utensili, come per la disinfezione di servizi igienici e di biancheria. Questa soluzione può essere utilizzata anche per disinfettare frutta e verdura da consumare crude, che dovranno successivamente essere abbondantemente risciacquate con acqua pura, potabile (anche bollita altrimenti disinfettata). Derivati della comune varechina, presenti in commercio, possono essere usati anche per “disinfettare” l’acqua da bere: in questo caso, per evitare sapori sgradevoli, il quantitativo da usare è un cucchiaino da tè in un litro d’acqua. La soluzione così preparata deve essere lasciata riposare per circa un’ora prima del consumo. In commercio sono disponibili preparati già pronti per la disinfezione domestica di ambienti, acqua e altri potenziali veicoli di infezione. Approfondisci vaccinazione Febbre Tifoidea Nei confronti della febbre tifoide sono disponibili diversi vaccini – contenenti germi uccisi, da somministrare per via intramuscolare (due dosi a distanza di un mese), oppure – costituiti da germi viventi attenuati, da somministrare per via orale (tre capsule da assumere a giorni alterni), oppure – vaccini contenenti l’antigene polisaccaridico Vi della S. typhi, da somministrare ugualmente per via intramuscolare (una sola dose, con richiami ogni 2-3 anni). Questi vaccini conferiscono una protezione dal 75 al 90%, della durata presumibile di 2-3 anni; sono indicati in situazioni epidemiche e per viaggiatori diretti in zone endemico-epidemiche, oppure per soggetti maggiormente esposti al rischio di contagio per motivi professionali (tecnici di laboratorio, addetti allo smaltimento di rifiuti, etc).

Precauzioni nei confronti del paziente, di conviventi e di contatti:
Nell’assistenza a pazienti affetti da febbre tifoide, dopo trattamento idoneo, debbono essere effettuate in laboratorio 3 coprocolture consecutive, eseguite su campioni fecali prelevati a non meno di 24 ore di distanza l’uno dall’altro e a non meno di 48 ore dalla sospensione di qualsiasi antibiotico. In caso di positività anche di una sola coprocoltura, l’intera procedura terapeutica deve iniziare nuovamente e gli esami ripetuti dopo un mese. Fino a negativizzazione delle coprocolture i soggetti colpiti da febbre tifoide debbono essere allontanati dalle attività che comportino la manipolazione o distribuzione di alimenti, l’assistenza sanitaria e quella all’infanzia. I conviventi ed i contatti di un caso di febbre tifoide vanno sottoposti a sorveglianza e ricercati altri eventuali casi di infezione determinati dalla fonte di esposizione. Con l’effettuazione di 2 coprocolture e di 2 urinocolture eseguite su campioni prelevati a non meno di 24 ore di distanza l’uno dall’altro e dopo sospensione per 48 ore di qualsiasi trattamento antimicrobico.

Trattamento:
Tramite antibiotici, quali l’ampicillina e il cloramfenicolo, si è arrivati a trattare definitivamente il tifo, abbreviandone il decorso a pochi giorni. Di efficacia attualmente i chinolonici. Terapia: cloramfenicolo in 4 somministrazioni/die fino 1mg x Kg peso; la terapia si prosegue per 15 giorni. Si accerta la guarigione clinica con 3 coprocolture consecutive negative. In alternativa si possono impiegare il tiamfenicolo, oppure l’ampicillina 100 mg/Kg/die oppure il cotrimoxazolo. Farmaci attualmente di seconda scelta per il sopraggiungere di importanti forme di resistenza. Il completamento della cura prevede la reidratazione del soggetto (la lingua del paziente diventa impaniata, asciutta fino all’aspetto di “lingua a pappagallo”); saranno, dunque, somministrati liquidi in via infusiva, soluzioni saline alternate a soluzioni zuccherine; in caso di enterorragia, in attesa del primo soccorso medico è indicata la borsa di ghiaccio sull’addome e la somministrazione in caso di tossiemia grave di cortisonici. I soggetti portatori di Salmonella vanno comunque bonificati previo impiego di ampicillina, o ancora meglio di chinolonici . La profilassi per chi è venuto a contatto si effettua con vaccini iniettivi o per os, anche con agenti vivi ed attenuati. Vaccino antitifico: La vaccinazione contro il tifo è consigliata a tutti i viaggiatori, in particolare a coloro che si recano in zone ove esiste maggior rischio di esposizione ad alimenti o bevande infette. Benchè il rischio sia ubiquitario, esso è più alto in quelle aree in cui le condizioni igienico sanitarie sono più precarie. La vaccinazione può essere effettuata con:

1)Vaccino orale. È un vaccino preparato con germi vivi attenuati. Viene realizzata mediante l’assunzione di 3 dosi da assumere a giorni alterni e a digiuno. È controindicato nei bambini al di sotto dei 2 anni. Non può essere assunto insieme ad antibiotici o ad antimalarici quali la Meflochina (Lariam). La dose di richiamo viene effettuata a distanza minima di un anno.

2) Vaccino iniettabile Vi. È un vaccino costituito dal polisaccaride capsulare purificato (Antigene Vi) agente di virulenza della Salmonella Typhi.  Si somministra in unica dose, per via intramuscolare, con richiamo a distanza di due o tre anni.

Assai rare le reazioni alla vaccinazione che si manifestano con: arrossamento, dolore e tumefazione nella sede di inoculazione e/o, più raramente, febbre, cefalea, nausea. Controindicazioni: è controindicato effettuare il vaccino in corso di malattia infettiva acuta, patologia cronica grave o ipersensibilità al vaccino. La vaccinazione è sconsigliata ai bambini al di sotto dei 2 anni e non deve essere effettuata contemporaneamente all’assunzione di antibiotici o antimalarici se orale. Effetti collaterali: rari i casi di eritema, tumefazione e dolore in sede di iniezione L’immunità dura 2 anni. Diagnosi: isolamento della S. Typhi da campioni di sangue, feci o altri campioni.

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Febbre da West Nile Virus – Scheda malattia

Febbre da West Nile

 

  • Descrizione
  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

Descrizione

Descrizione: la Malattia del Nilo Occidentale (West Nile Disease – WND) è una malattia infettiva ad eziologia virale trasmessa da un Flavivirus, il virus West Nile (WNV), isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda, nel distretto West Nile (da cui prende il nome) e diffusosi in Africa, Asia occidentale, Europa, Australia ed America.

 

Agente infettivo: il virus West Nile è un virus ad RNA a singolo filamento che appartiene al gruppo antigenico del virus dell’Encefalite Giapponese, situato all’interno del genere Flavivirus della famiglia Flaviviridae. In questo gruppo sono compresi anche i virus responsabili dell’Encefalite di St. Louis, Encefalite della Valle del Murray, il virus Usutu, Kunjin, Kokobera, Stratford e Alfuy.

 

Ciclo vitale: I serbatoi del virus sono gli uccelli selvatici e le zanzare (più frequentemente del tipo Culex), le cui punture sono il principale mezzo di trasmissione all’uomo. Il virus si mantiene nell’ambiente attraverso il continuo passaggio tra gli insetti ematofagi, che albergano il virus a livello delle ghiandole salivari, e gli uccelli, che rappresentano il reservoir di infezione. Il ciclo biologico, quindi, coinvolge gli uccelli selvatici come ospiti amplificatori, mentre i mammiferi infettati si comportano come ospiti accidentali a fondo cieco, in quanto la viremia non presenta un titolo tale da poter infettare nuovamente un vettore competente. Nell’uomo, dopo la puntura dell’insetto vettore, il virus si replica nelle cellule di Langerhans del derma, che migrano verso la rete linfatica e, quindi, verso il torrente circolatorio. Questa fase corrisponde alla prima viremia, durante la quale il virus si diffonde in tutti gli organi del sistema linfatico. Successivamente avviene una seconda gittata viremica che corrisponde alla seconda viremia. Il virus può essere isolato nel sangue dopo 1-2 giorni dalla puntura dell’insetto vettore fino a poco più di una settimana. La comparsa nel siero di anticorpi di tipo IgM coincide con il termine della viremia. La viremia  da West Nile Virus è a basso titolo nell’uomo ed è assente al momento della comparsa dei sintomi.

 

 

West Nile Transmission Cycle

 

Distribuzione: WNV è stato isolato per prima volta in Uganda nel 1937 dal sangue di una donna febbricitante. Nel 1957 in Israele il virus fu responsabile di una dozzina di casi di encefalite nell’uomo, mentre casi di encefalite negli equini furono osservati per la prima volta nel 1960 in Egitto e in Francia. In un’epidemia scoppiata nel 1974 in Sudafrica il numero dei casi è stato stimato in circa 18.000, senza morti. Dagli anni Novanta sono stati segnalati diversi focolai nel bacino del Mediterraneo e, dal 1999, soprattutto in America.Nel 1996 in Romania il virus West Nile fu responsabile di oltre 350 casi umani di cui 20 mortali. Altri focolai umani sono stati segnalati nella Repubblica Ceca nel 1997 (5 casi), in Russia nel 1999 (826 pazienti ricoverati, 183 casi confermati e 40 morti) e in Francia nel 2003 (7 casi). Nel 1999 WNV fu isolato in Nord America da carcasse di corvi trovati morti e prima di allora il virus non era mai stato evidenziato nell’emisfero occidentale; dal 2002 la diffusione in America è drammaticamente aumentata con numerosi casi di encefalite e meningite, con elevata letalità, negli anni successivi il virus si diffuse da costa a costa interessando sia il confine canadese che quello messicano causando numerosi casi di encefalite nell’uomo.

 

 

Italia

 

In Italia, dal 1998 ad oggi sono stati segnalati 2 focolai epidemici. In entrambi gli episodi non sono stati segnalati casi nell’uomo. Il primo si è verificato in Toscana (Palude di Fucecchio) dove causò 14 casi clinici in cavalli, di cui 6 mortali. Nel corso dell’epidemia, pur in assenza di malattia conclamata, vennero rilevate positività anticorpali in persone che condividevano con i cavalli il rischio delle punture di zanzara. Il secondo focolaio italiano ha interessato nel 2008 i territori delle province di Ferrara, Bologna, Modena, Rovigo, Padova e Mantova, con casi confermati  di infezione in cavalli; successivamente a questo episodio sono stati segnalati  tre casi umani di WND: uno in provincia di Bologna e due in provincia di Ferrara. Nel 2008 in Italia si sono verificati per la prima volta casi di malattia neuro-invasiva di West Nile (WNND) nell’uomo in alcune province dell’Emilia Romagna e del Veneto, per un totale di 8 casi. Nel 2009 si sono verificati 18 casi di WNND nell’uomo nelle regioni Emilia Romagna, Veneto e Lombardia, così distribuiti: 5 casi nella provincia di Ferrara, tra cui 2 decessi, 1 caso nella provincia di Bologna, 3 casi nella provincia di Modena, tra cui 1 decesso, 6 casi nella provincia di Rovigo, 1 caso tra la provincia di Rovigo e Venezia (1 decesso) e 2 casi nella provincia di Mantova.

 

            AGGIORNAMENTI (15 settembre 2010):

 

Ad oggi si registrano in Europa:

 

–                    Russia: 246 casi di infezione umana con 6 decessi;

–                    Grecia: 164 casi di infezione umana con 14 decessi;

–                    Romania: 25 casi di infezione umana con 2 decessi;

–                    Olanda: 2 casi di infezione umana (secondo Eurosurveillance imporati da Israele);

–                    Ungheria: 3 casi di infezione umana;

–                    Spagna: 2 casi di infezione equina.

 

           In Italia la West Nile Disease è ricomparsa per il terzo anno consecutivo interessando anche territori in precedenza non coinvolti dalla circolazione virale.

L’Istituto Zooprofilattico di Teramo, laboratorio di referenza Oie per la febbre West Nile, riporta i dati confermati ad oggi, dal Centro di Referenza Nazionale per lo Studio delle Malattie Esotiche (CESME):

• una positività alla PCR su organi di un esemplare di ghiandaia (Garrulus glandarius) catturato in provincia di Modena;

• sette positività alla PCR di altrettanti pool di zanzare catturate in provincia di Venezia,

di Rovigo e di Modena;

• sei casi clinici di malattia negli equidi: 5 in provincia di Trapani, 1 in provincia di Venezia.

La provincia di Trapani, territorio in cui sono stati segnalati i primi sospetti clinici in data 23 agosto 2010, non è compresa fra le aree sottoposte a sorveglianza in base alla normativa

vigente.

La Regione Veneto ha segnalato un’infezione confermata da virus West Nile, durante il mese di agosto 2010. Il modesto quadro clinico associato all’infezione (febbre) non risponde alla definizione di caso riportata nella circolare del ministero della Salute del 21 luglio 2010.

In Italia la sorveglianza per malattie neuro invasive da West Nile è attiva nella stagione in cui si attende la massima probabilità di circolazione (15 giugno – 15 novembre). Ad oggi in tutto il 2010 non sono stati registrati casi di malattia neuroinvasiva.

Fonte: “West Nile Disease in Italia nel 2010” bollettino n.6 del 14 settembre 2010 dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale “G. Caporale” di Teramo, laboratorio di referenza Oie per la febbre West Nile.

Si registrano, inoltre, segnalazioni di infezione animale in 43 delle 67 contee della Florida, con 4 decessi umani, ed un nuovo primo caso umano negli USA dal 2002.

 

Al 10 agosto, Israele ha riportato 24 casi confermati e 6 presunti di infezione da virus West Nile nell’uomo. La maggioranza dei casi provengono dalla regione centrale e da Tel Aviv, mentre casi isolati sono stati riportati dalla regione di Haifa.

 

In Turchia si contano 7 casi di infezione umana con 3 decessi.

Al 24 agosto 2010 in Marocco si sono registrati 18 casi di infezione equina con 8 decessi, ma nessun caso di infezione umana.

 

 

Porta di ingresso: cute, tramite puntura della zanzara vettore durante il pasto ematico.

 

 

Trasmissione: il virus West Nile è trasmesso sia negli animali che all’uomo tramite la puntura di zanzare infette. Altri mezzi di infezione documentati, anche se molto più rari, sono trapianti di organi, trasfusioni di sangue e la trasmissione madre-feto in gravidanza. Il virus infetta diversi mammiferi, soprattutto equini, ma in alcuni casi anche cani, gatti, conigli e altri. E’ importante sottolineare che il virus non si trasmette da persona a persona, né da cavallo a persona attraverso la puntura di una zanzara infetta a causa dei bassi livelli di viremia.

 

 

Incubazione: Il periodo di incubazione dal momento della puntura della zanzara infetta varia fra 2 e 14 giorni, ma può essere anche di 21 giorni nei soggetti con deficit a carico del sistema immunitario.

 

 

Sintomi: La maggior parte delle persone infette non mostra alcun sintomo. Fra i casi sintomatici, circa il 20% dei soggetti sviluppa una malattia sistemica febbrile chiamata comunemente febbre di West Nile (WNF) caratterizzata dalla comparsa di febbre, cefalea, nausea, vomito, linfoadenopatia, possibili eruzioni cutanee. Generalmente questa fase acuta si risolve in una settimana o poco più, e possono variare molto a seconda dell’età della persona. Nei bambini è più frequente una febbre leggera, nei giovani la sintomatologia è caratterizzata da febbre mediamente alta, arrossamento degli occhi, mal di testa e dolori muscolari. Negli anziani e nelle persone debilitate, invece, la sintomatologia può essere più grave.

I sintomi più gravi si presentano in media in meno dell’1% delle persone infette (1 persona su 150), manifestandosi come una malattia neuro-invasiva (encefalite, meningo-encefalite, paralisi flaccida), con possibile decorso fatale. Il rischio di contrarre la forma neurologica della malattia aumenta all’aumentare dell’età ed è particolarmente elevato nei soggetti di età superiore ai 60 anni. Viceversa, in uno studio di sorveglianza  effettutato negli Stati Uniti tra il 1998 e il 2008, è emerso che le paralisi flaccide acute sono state segnalate in percentuale maggiore in soggetti di età inferiore ai 60 anni. La letalità delle forme neuro-invasive si aggira intorno al 9% nei soggetti anziani e meno dell’1% nei bambini.

 

 

Diagnosi: La diagnosi nell’uomo viene prevalentemente effettuata attraverso test di laboratorio (Elisa o Immunofluorescenza) effettuati su siero e, dove indicato, su fluido cerebrospinale, per la ricerca di anticorpi del tipo IgM. Questi anticorpi possono persistere per periodi anche molto lunghi nei soggetti malati (fino a un anno), pertanto la positività a questi test può indicare anche un’infezione pregressa.  La siero-conversione o l’aumento di 4 volte del titolo anticorpale può essere utilizzata per diagnosticare un’infezione recente. I campioni raccolti entro 8 giorni dall’insorgenza dei sintomi potrebbero risultare negativi, pertanto è consigliabile ripetere a distanza di tempo il test di laboratorio prima di escludere la malattia. In alternativa la diagnosi può anche essere effettuata attraverso Pcr o coltura virale su campioni di siero e fluido cerebrospinale entro 7 giorni dall’inizio della sintomatologia acuta, tenendo conto che la viremia è relativamente di breve durata e di basso titolo.

 

 

Controllo e prevenzione: Non esiste un vaccino per la febbre West Nile. Attualmente sono allo studio dei vaccini, ma per il momento la prevenzione consiste soprattutto nel ridurre l’esposizione alle punture di zanzare.

Pertanto è consigliabile proteggersi dalle punture ed evitare che le zanzare possano riprodursi facilmente:

·         usando repellenti e indossando pantaloni lunghi e camicie a maniche lunghe quando si è all’aperto, soprattutto all’alba e al tramonto

·         usando delle zanzariere alle finestre

·         svuotando di frequente i vasi di fiori o altri contenitori (per esempio i secchi) con acqua stagnante

·         cambiando spesso l’acqua nelle ciotole per gli animali.

 

Il controllo nei confronti della WND si basa essenzialmente sulla sorveglianza degli uccelli stanziali di specie sinantropiche, degli equidi e dell’avifauna selvatica di specie migratorie. A seconda della situazione epidemiologica riscontrata, per il 2010 sono state individuate 3 aree geografiche distinte:

A.    area con circolazione virale (anno 2009) (ACV)

B.    area di sorveglianza esterna all’area ACV, estesa per un raggio di 20 km intorno ai casi verificatisi (AE)

C.    undici aree a rischio (AR)

 

 

 

 

Trattamento: Non esiste una terapia specifica per la febbre West Nile, il trattamento è solo sintomatico. Nella maggior parte dei casi, i sintomi scompaiono da soli dopo qualche giorno o possono protrarsi per qualche settimana. Nei casi più gravi è invece necessario il ricovero in ospedale, dove i trattamenti somministrati comprendono fluidi intravenosi e respirazione assistita. Vi sono recentissime segnalazioni in letteratura che suggeriscono, su modelli animali, la possibile efficacia del trattamento con immunoglobuline specifiche anti WNV.

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Epatite B – Scheda malattia

Descrizione

L’epatite virale è uno dei più importanti problemi sanitari in tutto il mondo. Si stima che ci sono approssimativamente circa 300 milioni cronici di portatori di epatite B nel mondo, di cui la metà nel continente asiatico. In Italia il 3-4% della popolazione è portatore cronico di epatite; un portatore cronico può sviluppare malattie gravi (epatite acuta, cirrosi epatica e tumore del fegato) alcune delle quali mortali. La media è tra i 15 e i 25 anni, con una netta prevalenza per il sesso maschile. Il virus dell’epatite B è estremamente contagioso (molto più di quello dell’AIDS).

Epatite B

  • Descrizione
  • Agente infettivo
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Evoluzione
  • Controllo e prevenzione
  • Vaccinazione

Agente Infettivo

Virus dell’epatite B: Epadnavirus.

Distribuzione

Africa, Medio Oriente, Asia, Centro e Sud America

Porta di ingresso

Sangue (trasfusioni, aghi, siringhe, strumenti chirurgici contaminati, trapianto di organi infetti, parto), microlesioni della cute o delle mucose in particolare degli organi sessuali a contatto con materiali biologici infetti (rapporti sessuali, chirurgia, interventi odontoiatrici).

Trasmissione

Rapporti sessuali, sangue infetto o altri liquidi biologici, anche se in minor misura. Trasmissione verticale dalla madre al figlio durante il parto. Se contratta in giovane età diventa molto spesso cronica: nel 90% dei casi nei neonati, nel 50% tra i bambini. Tra gli adulti, invece, cronicizza solo nel 5 % dei casi. Esiste un vaccino, obbligatorio per legge dal 1991.

Incubazione

60-180 giorni.

Sintomi

Forme asintomatiche: (65-70% del totale).
Forme anitteriche: frequenti nei bambini; malessere generale, astenia, nausea, anoressia, vomito, febbre.
Forme itteriche: come le precedenti, con ittero successivo ingravescente e (raramente nel bambino) urine ipercromiche e feci acoliche.

Rara la forma fulminante, a esito letale. Nell’epatite B cronica attiva, il 25 per cento dei pazienti va incontro a cirrosi, mentre il 5% viene colpito da carcinoma epatico.

Nel caso di epatite cronica, attiva o meno, il portatore resta comunque contagioso: certamente il contagio è più facile quanto più il virus si replica e, quindi, più elevato è il suo livello nel sangue (viremia).

L’infezione acuta da epatite A, B e C è caratterizzata nella prima fase da:

  • Malessere generale
  • Perdita dell’appetito
  • Nausea
  • Debolezza
  • Facile affaticabilità
  • Mal di testa
  • Dolori addominali non intensi e difficilmente localizzabili
  • Ittero (la pelle e la sclera assumono un colore giallastro)

In alcuni casi (10-20%), il paziente presenta il quadro classico dell’influenza con febbre (da 37,7 a 38,3) e anche mal di gola, raffreddore e tosse. Le urine tendono a diventare ipercromiche, cioè con una colorazione più intensa. In definitiva, la sintomatologia è poco specifica (cioè non fa pensare immediatamente all’epatite) perché potrebbe essere riferita anche ad altre malattie. Ci sono però alcune circostanze che devono far pensare a un’epatite, per esempio:

  • Recentemente si sono mangiati frutti di mare crudi
  • Si è sofferto di un’intossicazione alimentare
  • Si sono avuti rapporti sessuale non protetti
  • Si sono avuti contatti con persone con deficit immunitari
  • Si è entrati in contatto con sangue o emoderivati
  • Si è fatto uso di stupefacenti con scambio di siringhe

Evoluzione

Negli adulti il 10% dei casi (la percentuale è maggiore nei bambini) può cronicizzare ed evolvere verso una cirrosi o un epatocarcinoma. Tali complicanze sono inversamente proporzionali all’età di insorgenza. Superata l’infezione acuta, il soggetto può divenire portatore sano e può trasmettere il virus ad altri soggetti.

Controllo e prevenzione

Ancora oggi non esiste un trattamento risolutivo per l’epatite cronica, ma la situazione è migliorata negli ultimi anni, in particolare con il perfezionamento delle terapie con Interferone alfa, sostanza normalmente prodotta dall’organismo che riesce a impedire la replicazione virale. Non essendoci attività del virus, il tessuto epatico non vene danneggiato e non si ha progresso verso la cirrosi. Sfortunatamente, il tasso di successo pieno delle terapie con interferone è pari al 15%, si sale al 30% con la terapia combinata (interferone più ribairina) ma nel restante 70% si assiste a un ripresa dell’attività della malattia. Quella farmacologica non è la sola terapia, ovviamente, in quanto si ricorre alla chirurgia sia per la rimozione delle zone del fegato ormai cirrotiche sia, come soluzione estrema, per il trapianto dell’organo.

Sul piano della prevenzione, il più importante passo avanti è stata la messa a punto del vaccino contro l’epatite B, che con tre inoculazioni garantisce un’immunità superiore al 90%. In questo modo, in Italia si è avuto un drastico calo dei nuovi casi, tanto che oggi nei centri di ricerca si fa fatica a trovare pazienti infettati di recente.

Vaccinazione

E’ obbligatoria in Italia dal 1991 per tutti i nuovi nati e, per i dodici anni successivi all’entrata in vigore della legge, per gli adolescenti nel corso del 12° anno. Il vaccino viene inoltre fornito ai soggetti delle seguenti categorie a rischio (D.M 4.10.1991):

Conviventi, in particolare bambini, e altre persone a contatto con soggetti HBsAg positivi.

  • Politrasfusi, emofilici, emodializzati
  • Vittime di punture accidentali con aghi potenzialmente infetti.
  • Soggetti affetti da lesioni croniche eczematose e psoriasiche della cute delle mani. Detenuti negli Istituti di prevenzione e pena.
  • Persone che si rechino all’estero, per motivi di lavoro, in aree geografiche ad alta endemia di HBV.
  • Tossicodipendenti, omosessuali e soggetti dediti alla prostituzione.
  • Personale sanitario di nuova assunzione nel SSN e personale già impegnato in attività a maggior rischio di contagio, segnatamente che lavori in reparti di emodialisi, rianimazione, oncologia, chirurgia generale e specialistica, ostetricia, malattie infettive, ematologia, laboratori di analisi, centri trasfusionali, sale operatorie, studi dentistici, medicina legale e sale autoptiche, pronto soccorso.
  • Soggetti che svolgono attività di lavoro, studio e volontariato nel settore della sanità.
  • Personale e ospiti di istituti ritardati mentali.
  • Personale religioso che svolge attività nell’ambito dell’assistenza sanitaria.
  • Personale addetto alla lavorazione degli emoderivati.
  • Personale della Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo degli agenti di custodia, Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco, Comandi Municipali dei Vigili Urbani.
  • Addetti ai servizi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti.

Il vaccino attualmente in uso, prodotto con tecniche di ingegneria genetica, è efficace e privo di rischi.

Viene somministrato per via i.m. nella parte antero-laterale della coscia del lattante, e nel deltoide al di sopra dei 10 anni.

Calendario vaccinale

Per i neonati:1° dose 2-3° mese (con OPV-DTP); 2° dose 4-5° mese (con OPV-DTP); 3° dose 3° mese; 4° dose 11-12° mese.

Per tutti gli altri soggetti:1° dose tempo 0; 2° dose dopo un mese; 3° dose dopo sei mesi dalla prima.

Viaggiatori internazionali

Si consiglia la somministrazione del vaccino a tutti coloro che si recano in paesi iperendemici in particolare in paesi della fascia tropicale e subtropicale, dei paesi dell’Est Europeo, e del Bacino del Mediterraneo. E’ opportuno che tutti coloro che si recano per motivi di lavoro e per periodi prolungati effettuino la vaccinazione.

Controindicazioni

Oltre a quelle generiche vi è in particolare: ipersensibilità accertata verso i componenti del vaccino.

Effetti collaterali

Locali : eritema, tumefazione, prurito, dolore in sede di iniezione (idrossido di alluminio), di lieve durata; generali: (circa 5%). Febbre, cefalea, nausea, vertigini, mialgie, dolori articolari, di breve durata.

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Epatite A – Scheda malattia

Descrizione: l’epatite virale di tipo A è una malattia infettiva, acuta, contagiosa, di tipo alimentare, ad evoluzione generalmente benigna. Le epatiti virali, conosciute ad oggi, sono cinque più una, che ha caratteristiche cliniche e sierologiche molto particolari (epatite G). L’epatite A provoca una malattia acuta che nei bambini causa pochi sintomi e può anche passare inosservata, mentre negli adulti è decisamente più grave: produce ittero, costringe a letto per qualche settimana e a volte ha periodi di convalescenza piuttosto lunghi. Tuttavia non cronicizza e le forme mortali (fulminanti) sono rare. Esiste un vaccino utilizzato a scopo preventivo e di grande importanza nel viaggiatore.

Epatite A

  • Descrizione
  • Agente infettivo
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Evoluzione
  • Controllo e prevenzione
  • Calendario
  • Controindicazioni
  • Effetti collaterali

È consigliata a tutti i viaggiatori che si recano in zona di endemia del virus, in particolare in paesi tropicali, subtropicali e del bacino del Mediterraneo e dell’Est Europa. La vaccinazione è particolarmente consigliata alla popolazione sotto i 35 anni.

 

Agente infettivo:
virus dell’epatite A.

Distribuzione:
Aree iperendemiche sono l’Africa, il sud-est asiatico, l’America del Sud, il bacino del mediterraneo e l’est europeo.

Porta di ingresso:
orale, infezione orofecale.

Trasmissione:
oro-fecale attraverso cibi crudi o poco cotti (verdure, frutti di mare). Segnalati rari casi di trasmissione parenterale.
Trasmettendosi attraverso cibi e acqua contaminati e i contatti interpersonali, la sua diffusione è legata alle condizioni igieniche generali e personali, ed all’igiene degli alimenti, contaminati attraverso materiale fecale di persone infette: dal cuoco che non si è lavato le mani dopo essere andato in bagno agli scarichi fognari che contaminano acque dalle quali si prelevano frutti di mare. Non a caso il cattivo stato degli acquedotti e delle fogne sono spesso causa di endemia dell’infezione.

Incubazione:
15 – 30 giorni.

Sintomi:
disturbi gastrointestinali, febbre, astenia, artralgie, ittero di durata variabile. Al di sotto dei due anni d’età le forme sono quasi sempre inapparenti.

L’infezione acuta da epatite A, B e C è caratterizzata nella prima fase da:

  •   Malessere generale – Perdita dell’appetito – Nausea – Debolezza – Facile affaticabilità – Mal di testa – Dolori addominali non intensi e difficilmente localizzabili – Ittero (la pelle e la sclera assumono un colore giallastro)

In alcuni casi (10-20%), il paziente presenta il quadro classico dell’influenza con febbre (da 37,7 a 38,3) e anche mal di gola, raffreddore e tosse. Le urine tendono a diventare ipercromiche, cioè con una colorazione più intensa. In definitiva, la sintomatologia è poco specifica (cioè non fa pensare immediatamente all’epatite) perché potrebbe essere riferita anche ad altre malattie. Ci sono però alcune circostanze che devono far pensare a un’epatite, per esempio:

  • Recentemente si sono mangiati frutti di mare crudi – Si è sofferto di un’intossicazione alimentare – Si sono avuti contatti con persone con deficit immunitari

Evoluzione:
di solito è favorevole.

Controllo e prevenzione:
Vaccino è realizzato con virus inattivato, altamente efficace e sicuro, somministrato per via intramuscolare. Raccomandata per i viaggiatori in zone ad alto rischio (30-100 casi/100mila abitanti/anno), per il personale sanitario, per gli addetti alla manipolazione di alimenti, per i soggetti che vivono in comunità chiuse, tossicodipendenti, omosessuali. Bambini < 10 anni dose pediatrica; > 10 anni dose adulti.
Approfondisci vaccinazione Epatite A

Calendario:
Dal 3° mese di vita: 1° dose tempo 0; 2° dose dopo 1 mese; 3° dose dopo 6-12 mesi dalla prima.

Controindicazioni:
In caso di malattie infettive in atto. il vaccino non va somministrato a soggetti con diatesi emorragiche o disturbi ematologici; ai bambini al di sotto di 1 anno; e va sconsigliato durante la gravidanza e l’allattamento.

Effetti collaterali:
Arrossamento e tumefazione nella sede di inoculazione. Irritazione e tumefazione in sede di iniezione, febbre, cefalea, nausea.

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Tripanosmiasi Africana – Scheda malattia

Descrizione: la Tripanosomiasi Africana, conosciuta anche come malattia del sonno, è una infezione subacuta severa, che può essere fatale se non viene trattata. Questa infezione è strettamente correlata con una infezione bovina chiamata N’gana. La malattia del sonno provoca annualmente poche vittime, ma i rischi di epidemie suggeriscono una continua monitorizzazione della malattia e l’utilizzo costante di misure di controllo e prevenzione.

tripanosmiasi

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Stato della ricerca

 

descrizione

Agente infettivo:
il protozoo del genere Tripanosoma, entra nelle vie sanguigne mediante la puntura della mosca tse-tse (Glossina spp.).
–    Il Trypanosoma brucei rhodesiense si trova principalmente in africa dell’est e del sud.
–    T.b. gambiense maggiormente in africa dell’ovest.
–    T.b. brucei  invece è responsabile dell’infezione bovina ma non provoca infezioni nell’uomo.

Ciclo Vitale:
ciclo vitale

La mosca TseTse (Glossina), nutrendosi di sangue, inietta nel tessuto cutaneo dell’uomo un tripomastigote metaciclico. Il parassita entra nel sistema linfatico e quindi nel circolo sanguigno.

1)  una volta nell’ospite si trasforma in tripomastigote del circolo sanguigno.
2)  circolando liberamente incontra altri fluidi quali per esempio il fluido spinale continuando a moltiplicarsi mediante fissione binaria
3)  l’intero ciclo vitale del Tripanosoma Africano è rappresentato da fasi extracellulari. La mosca TseTse viene infettata da tripomastigoti nutrendosi del sangue di mammiferi infetti
4)  il parassita, una volta negli organi interni della mosca, si trasforma in un tripomastigote prociclico, moltiplicandosi mediante fissione binaria
5)  quindi abbandona gli organi interni per trasformarsi in epimastigote
6)  l’epimastigote raggiunge le ghiandole salivari della mosca e continua a moltiplicarsi
7) il ciclo nella mosca dura approssimativamente tre settimane.

Distribuzione:
36 paesi in Africa Sub Sahariana:
–   7 paesi ad elevata endemia
–   4 paesi ad endemia
–   12 paesi ad endemia moderata
–   13 paesi hanno uno stato epidemiologico ancora non ben definito.

Porta d’ingresso:
cute.

Trasmissione:
la mosca TseTse, sia maschio che femmina, fa da vettore fra uomo e uomo, gli animali selvatici e i bovini invece fungono da serbatoi per l’infezione. Una volta nel corpo umano, il tripanosoma si moltiplica e invade la maggior parte dei tessuti.

Incubazione:
da 5 a 60 giorni

Sintomi:
l’infezione si presenta con malessere, spossatezza e febbre irregolare. I primi sintomi includono febbre con ingrossamento delle linfoghiandole e della milza.

–   Questi sintomi sono più severi e acuti nell’infezione da T.b. rhodesiense. I primi sintomi sono seguiti da una serie di sintomi quali mal di testa, anemia, dolore alle articolazioni. I sintomi più avanzati invece includono disordini neuronali ed endocrini. Quando il parassita invade il sistema nervoso centrale, ha inizio un  deterioramento mentale che può sfociare nel coma e nella morte.
–   L’infezione da T. b. rhodesiense solitamente si presenta come forma acuta dell’infezione, causando la morte entro poche giorni o settimane.
–   T.b. gambiense invece tende a progredire più lentamente (anche anni) ed è una forma meno severa.

Controllo e prevenzione:
viene fatto con una sistematica sorveglianza delle popolazioni ad alto rischio e congiuntamente vengono trattate le persone infette. Un altro ruolo importante è manifestato dalla riduzione della presenza della mosca TseTse, soprattutto la Rhodesiense, con efficaci azioni ambientali. Nel passato ci fu una massiccia disinfestazione dei luoghi dove potevano essere presenti le mosche e le larve mediante l’utilizzo di insetticidi.

Trattamento:
sempre stato molto difficile, soprattutto quando viene raggiunto il sistema nervoso centrale, in quanto non sono ancora presenti sul mercato medicine efficaci.
–   La Pentamidina per esempio non è efficace nel tardo livello della malattia, anzi, alcuni parassiti sono resistenti alla stessa.
–   La Suramina deve essere somministrata per via endovenosa e può dare importanti effetti collaterali.
–    Il Melarsoprolo un derivato dell’Arsenico, farmaco sviluppato ormai più di 50 anni fa, viene usato nella tarda fase della malattia, ma spesso produce seri e a volte fatali effetti secondari.
–    La Eflornithina, nuovo farmaco, originariamente sviluppato come farmaco antitumorale, ha mostrato di poter essere utilizzato efficacemente contro la T.d. Gambiense.

Stato della ricerca:
la ricerca di nuove molecole che possano essere utilizzate contro la Tripanosmiasi Africana continua. Purtroppo al giorno d’oggi c’è ancora una mancanza di target validi e di nuove idee per sviluppare farmaci contro la tripanosmiasi e la leishmaniosi. Sicuramente è stato molto difficile trovare della molecole in grado di combinare buona attività, mancanza di tossicità a la capacità di attraversare la barriera emato-encefalica, tutte caratteristiche necessarie per un farmaco che voglia essere attivo ed efficace contro la malattia del sonno causata da una infezione cronica da Tripanosoma Africano.

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Schistosomiasi – Scheda malattia

Descrizione, Agente infettivo: La Schistosomiasi è causata da platelminti.  Le tre specie principali che infettano l’uomo sono Schistosoma haematobium, S. japonicum e S. mansoni.  Altre due specie, più localizzate geograficamente, sono S. mekongi e S. intercalatum.  Inoltre, altre due specie di schistosomi, che parassitano gli uccelli ed i mammiferi, possono determinare nell’uomo la dermatite da cercarie

Uova di Schistosoma mansoni con la caratteristica spina laterale

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

 

agente infettivo.

Ciclo vitale:
Le uova vengono eliminate con le feci o le urine (1).  In condizioni ottimali le uova rilasciano il miracidio (2), che nuota e penetra nell’ospite intermedio, il mollusco (3).  Le fasi nel mollusco comprendono due generazioni di sporocisti (4) e la produzione di cercarie (5).  Dopo il rilascio dal mollusco, la cercaria infettiva nuota e penetra nella pelle umana (6), dove, perdendo la coda, diventa schistosomulo (7).  Gli schistosomuli migrano attraverso numerosi tessuti fino a raggiungere la sede definitiva nelle vene (8), (9).  I vermi adulti , nell’uomo, risiedono nelle venule mesenteriche in varie posizioni, che sembrerebero essere distinte per le diverse specie (10).  Ad esempio, S. japonicum si localizza più frequentemente nelle vene mesenteriche superiori che drenano il piccolo intestino (A), e S. mansoni si trova più spesso nelle vene mesenteriche superiori che drenano il grosso intestino (B).  Tuttavia, entrambe le specie possono trovarsi in ciascuna delle posizioni, e sono in grado di spostarsi tra i due siti, per cui non è possibile stabilire la corrispondenza certa della specie con la posizione.  S. haematobium si trova generalmente nel plesso venoso vescicale (C), ma può localizzarsi anche nelle piccole venule del plesso rettale.  Le femmine (lunghe da 7 a 20 mm; i maschi sono leggermente più piccoli) depositano le uova nelle piccole vene dei sistemi portale e perivescicale.  Le uova progrediscono sino ad arrivare al lume intestinale (S. mansoni and S. japonicum) ed al lume vesciclale ed ureterale (S. haematobium), e vengono dunque eliminate con le feci oppure con le urine, rispettivamente (1).
ciclo

Distribuzione:
La Schistosomiasi è presente in Africa, Sud America e Caraibi, nel sud della Cina, nelle Filippine e nel sud-est asiatico.

CDC- YELLOW BOOK, 2016

Schistosoma mansoni si trova in aree del Sud America e Caraibi, Africa sub-sahariana, e  Medio Oriente; in Egitto sta a poco a poco sostituendosi a S. haematobium a causa delle modificazioni climatiche introdotte dalla costruzione della grande diga di Assuan;  S. haematobium è presente in Africa e in Medio Oriente; S. japonicum è diffuso in Estremo Oriente: eradicato dal Giappone, è endemico nella Repubblica Popolare Cinese, nelle Filippine e in focolai limitati in Indonesia. Schistosoma mekongi e S. intercalatum sono presenti a focolai nel Sud Est Asiatico (Penisola Indocinese: Laos, Thailandia, Cambogia) ed in Africa Centrale Occidentale, rispettivamente.

Porta d’ingresso:
cute.

Trasmissione:
È trasmessa attraverso l’ingresso delle larve infestanti per via transcutanea durante l’immersione prolungata (in corso di un bagno o di un guado) di parti del corpo in acque dolci e non vorticose (fiumi di portata non elevata, canali di irrigazione, laghi naturali o artificiali), in cui siano presenti gli ospiti intermedi (molluschi) infestati.
Numerosi animali come cani, gatti, roditori, suini, cavalli e capre sono reservoirs per S. japonicum, ed i cani per  S. mekongi.
uova
Uova di Schistosoma mansoni nella parete intestinale.
Incubazione:
40-60 giorni.

Sintomi:
Si tratta di un’infestazione spesso asintomatica per decenni, fino alla comparsa dell’infe­stazione cronica. I sintomi della malattia, legati alla reazione allergica contro le uova, sono: prurito; arrossamento della pelle; a volte febbre e dolori muscolari. paralisi o mieliti. La schistosomiasi acuta (febbre di Katayama) si può verificare alcune settimane dopo dopo l’infezione iniziale, specialmente da S. mansoni e S. japonicum.  La sintomatologia comprende febbre, tosse, dolori addominali, diarrea, epatosplenomegalia, eosinofilia. Nel caso raro in cui le uova penetrino nel midollo spinale o nel cervello si possono avere granulomi cerebrali causati da uova ectopiche di S. japonicum nel cervello, mentre lesioni granulomatose intorno alle uova ectopiche nel midollo spinale di S. mansoni e S. haematobium possono risultare in mieliti trasverse con paraplegia flaccida.  Nel caso di reinfezioni continue – ciò non riguarda i viaggiatori di breve periodo – si possono determinare reazioni granulomatose e fibrosi degli organi affetti che includono: poliposi del colon con diarrea con perdite ematiche (Schistosoma mansoni); ipertensione portale con ematemesi e splenomegalia (S. mansoni, S. japonicum, S. mansoni); cistite e ureterite (S. haematobium) con ematuria, che può progredie fino al tumore vescicale; ipertensione polmonare (S. mansoni, S. japonicum, più raramente S. haematobium); glomerulonefrite; lesioni del sistema nervoso centrale.

Controllo e Prevenzione:
poiché non è facile sapere se le acque sono infestate dai vermi, è bene evitare di fare i bagni o comunque avere contatto a pelle nuda con le acque superficiali quali fiumi, laghi e canali, nei Paesi a rischio. Il bagno in mare o nelle piscine, le cui acque sono state depurate, non è a rischio. Non esiste una vaccinazione, ma esistono farmaci efficaci per la cura della malattia.

Trattamento:
Per il trattamento della Schistosomiasi sono disponibili farmaci sicuri ed efficaci: il farmaco di scelta è il praziquantel per le infestazioni causate da tutte le specie. Nei confronti dello S. mansoni  l’ Oxamniquina è più efficace del  praziquantel.

Diagnosi:
Nel caso si sospetti la malattia, il viaggiatore dovrebbe essere sottoposto ad un’analisi delle feci e delle urine per la ricerca delle uova del parassita. Le biopsie tissutali (rettale per tutte le specie e vescicale per S. Haematobium) può dimostrare la presenza di uova se la ricerca nelle urine o nelle feci ha dato esito negativo. Inoltre la ricerca degli Anticorpi specifici può essere utile sia nel follow-up clinico che negli studi epidemiologici.

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