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Paolo Meo 2

Leishmaniosi – Scheda malattia

Descrizione:
E’ una malattia infettiva di origine protozoaria, intracellulare, parassita di alcune famiglie di leucociti. HA una tipologia cronica. Il protozoo della Leishmania fu così chiamato a causa della sua scoperta nel 1901 da parte di W. B. Leishman.  La Leishmaniosi è presente in 22 paesi delle Americhe, in particolare centro e sud america,  e in altre 66 nazioni del mondo, ma non la si trova nel sud est asiatico. L’infezione nell’uomo è stata riscontrata in 16 paesi europei, incluse Francia, Italia, Grecia, Malta, Spagna e Portogallo. La malattia può presentarsi sotto diverse forme, e generalmente è riconoscibile per la sua forma cutanea, non mortale, ma la quale crea lesioni molto importanti, invalidanti; una epidemia della forma viscerale invece può causare un elevato numero di morti.

aleishmaniosi

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Stato della ricerca

 

Agente infettivo:
è un protozoo del genere Leishmania, che viene trasmesso all’uomo dalle mosche del deserto. Più di 20 specie o sottospecie del parassita infettano l’uomo, ognuna delle quali provoca uno spettro di sintomi differente. Questi sintomi sono caratterizzati da lievi ulcere della pelle (Leishmania Major), oppure da ulcere di tipo più severo o da compromissione di organi interni che può minacciare la vita della persone infettate  (per esempio la Leishmaniosi viscerale provocata da by L. donovani s.l.).  In particolare viene fatta la seguente divisione:

  • L. donovani che comprende 3 specie: L. donovani, L. infantum, and L. chagasi;
  • L. Mexicana anch’essa comprende 3 specie: L. mexicana, L. amazonensis e L. venezuelensis;
  • L. tropica;
  • L. major;
  • L. Aethiopica;  costituito da 4 principali specie: L. (V.) braziliensis, L. (V.) guyanensis, L. (V.) panamensis e L. (V.) peruviana.

Le diverse specie sono morfologicamente indistinguibili, ma possono essere distinte mediante analisi con isoenzimi, metodi molecolari e con anticorpi monoclonali.

Ciclo vitale:
la Leishmania viene trasmessa dal morso della femmina della mosca del deserto (Glossima). 1) La mosca in questo modo inietta i promastigoti nel circolo sanguigno dell’ospite durante il suo pasto. 2) I promastigoti che si trovano sulla ferita provocata dalla mosca, vengono fagocitati dai macrofagi e 3) trasformati in amastigoti. 4) a differenza della specie della Leishmania con la quale l’ospite viene infettato, gli amastigoti si moltiplicano e infettano tessuti differenti. E’ a questo punto che si ha la manifestazione della Leishmaniosi. 5) 6) La mosca si infetta durante il pasto ingerendo macrofagi infetti da amastigoti. 7) Negli organi interni della mosca, il parassita si differenzia in promastigote, 8) che si moltiplica e migra alla proboscide della mosca. In questo modo, la mosca, pungendo un individuo lo infetta.
ciclo

Distribuzione:
la Leishmaniosi è endemica in 88 paesi. Più del 90% dei casi di Leishmaniosi cutanea avvengono in Iran, Afghanistan, Siria, Arabia Saudita, Brasile e Perù. Più del 90% della forma viscerale invece la si trova in Bangladesh, Brasile, India e Sudan.

Porta d’ingresso:
attraverso la cute, per puntura della mosca.

Trasmissione:
insettol’uomo viene infettato a causa del morso del Flebotomo, la mosca del deserto (che fa parte della sottofamiglia delle phlebotominae). Queste mosche sono molto piccole, colorate e si nutrono di sangue. Vivono per lo più nella foresta, in grotte o negli anfratti delle rocce. Sia animali selvaggi che l’uomo possono fungere da vettori dell’infezione. La maggior parte delle Leishmaniosi sono originalmente infezioni di piccoli mammiferi (fungono da ‘ospiti serbatoio’) e giocano un ruolo fondamentale nella epidemiologia dell’infezione. Nelle Americhe la leishmaniosi è principalmente trasmessa dalla mosca del genere Lutzomyia, nel resto del mondo invece dal genere Phlebotomus. Le mosche  si infettano nutrendosi di sangue da ‘ospiti serbatoio’ o da persone infette.

Sintomi:
sintomile 20 specie o più del parassita, provocano diversi tipi di sintomi, alcuni dei quali sono più comuni (febbre, malessere, perdita di peso, anemia); le forme viscerali causano anche l’ingrossamento della milza, del fegato e dei linfonodi.
Le Lesihmaniosi possono essere classificate in 4 forme principali:

  • Leishmaniosi  viscerale (VL): la forma più seria dell’infezione in quanto può essere mortale se non trattata (per esempio il tipo Kala azar dovuta alla L. Donovani)
  • Leishmaniosi cutanea (CL): la forma più comune dell’infezione che può provocare fino a 200 tipi di lesioni diverse sulla pelle che tendono a regredire da sole in pochi mesi, ma che lasciano anche profonde cicatrici (esempio: Baghdad ulcer, Delhi boil o Bouton d’Orient, infezione provocata da L. majio in Africa e Asia)
  • Leishmaniosi mucocutanea (MCL): produce lesioni sulla pelle disseminate sul corpo intero, sono lesioni di tipo cronico rassomiglianti a quelle della Lebbra. Questo tipo di Leishmaniosi è molto difficile da curare
  • Leishmaniosi cutanea diffusa (DCL): provoca lesioni diffuse e croniche della pelle, rassomiglianti a quella della lebbra lepromatosa. E’ molto difficile da curare.
  • un semplice test diagnostico su striscia per l’identificazione sia di anticorpi circolanti (basato sull’antigene ricombinante K39) sia di antigeni nelle urine
  • uso su larga scala di zanzariere impregnate di insetticidi in aree co-endemiche per la malaria e la Leishmania.

Controllo  e prevenzione:
molti casi di Leishmaniosi cutanea guariscono spontaneamente e le persone infettate rimangono immuni per successive infezioni. In molte parti del sud est asiatico l’infezione viene provocata artificialmente in forma lieve nei bambini per immunizzarli (evitando lesioni invalidanti sul volto o altrove).  Altre forme di Leishmaniosi sono molto difficili da trattare e a volte richiedono l’utilizzo di farmaci a base di antimonio pentavalente. L’infezione può essere evitata evitando il morso delle mosche e utilizzando repellenti o insetticidi. Le misure di controllo dei vettori e degli ‘ospiti serbatoio’ sono molto costose e richiedono buone infrastrutture. Le misure di controllo per i vettori dell’infezione, consistono nell’utilizzare insetticidi nebulizzati e sono utili quando la trasmissione può avvenire all’interno o nelle vicinanze di una abitazione. Quando ci si trova invece altrove, è bene utilizzare altre forme di protezione, quali per esempio repellenti o insetticidi. Recentemente sono stati riportati casi di resistenza, che richiedono l’utilizzo di farmaci più tossici, ma efficaci, quali la Anfotericina B. La maggior parte dei farmaci al giorno d’oggi sono molto costosi, richiedono un trattamento molto prolungato e stanno diventando sempre meno efficaci. Le Leishmaniosi al giorno d’oggi, essendo così diversificate nelle loro forme, sono un tipo di infezione ancora molto difficile da controllare mediante un singolo approccio. Il controllo di una infezione può dipendere molto anche dalla rapida diagnosi e somministrazione di farmaci.

Trattamento:
stibogluconato sodico, che si trova al momento sotto controllo del Investigational New Drug protocol dal CDC Drug Service.

Stato della ricerca:
sono stati sviluppati modelli sia per la CL che la VL su primati. Al momento si stanno sviluppando prove di vaccini per la CL e la VL, costituiti dal parassita ucciso della Leishmania e oltretutto si sta provando anche la strada per vaccini composti da antigeni ricombinanti di seconda generazione con aggiunta di adiuvanti. Purtroppo il numero delle persone infette sta aumentando notevolmente  a causa dello sviluppo economico e dei cambiamenti ambientali che provocano un aumentata esposizione alla mosca. Nel sud Europa oltretutto la co-infezione Leishmania/HIV comincia ad essere un problema emergente. La Mitefosina, sta diventando un farmaco orale ampiamente utilizzato nel trattamento della Leishmania viscerale.

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Filariosi – Scheda malattia

Filariosi

amebiasi

  • Descrizione
  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

(da thailabonline.com/parasit.htm)

Descrizione:
Le infestazioni da Filaria sono provocate da vermi filiformi adulti ‘Nematodi’ (vermi ad anello) che si posizionano nei vasi linfatici e nei tessuti sottocutanei e possono dare luogo, a seconda dei differenti agenti patogeni a Filariasi Linfatica, Oncocercosi, Loiasi, Dirofilariasi (comune filaria parassita dei cani). Le femmine adulte fecondate producono ‘microfilarie’ che circolano nel sangue o migrano nei tessuti. Quando vengono ingerite da un insetto (zanzare o mosche), le microfilarie, all’interno dell’intestino dell’insetto vettore, si sviluppano in ‘larve infettive’ che vengono inoculate e deposte nel sottocutaneo  durante la puntura. Solo poche specie di parassiti infettano la razza umana. Le filarie che parassitano gli animali, a volte infettano l’ospite umano, pur non arrivando a un completo sviluppo. Le Filariasi linfatiche sono provocate da 3 specie di Filarioidea, che può provocare una adenolinfangite acuta oppure un linfedema cronico, raramente idrocele, più frequentemente chiluria.

Agente infettivo:
Ci sono otto specie di Filaria che possono infettare l’uomo. Queste sono causa della maggior parte delle infezioni da Filarie: Wuchereria bancrofti e Brugia malayi provocano la filariasi linfatica; Onchocerca volvulus provoca la oncocerchiasi (cecità fluviale). Le altre specie sono la Loa loa, Mansonella perstans, M. streptocerca, M. ozzardi, e Brugia timori (le ultime specie possono provocare la filariasi linfatica).

Ciclo vitale:
Le larve infettive sono trasmesse da artropodi mediante il morso o puntura durante il loro pasto ematico. Le larve, inoculate nel sottocutaneo,  migrano nel sito appropriato dell’ospite dove si sviluppano in ‘microfilarie’ che maturando si trasformano nelle forme adulte. Queste ultime forme possono sopravvivere nei tessuti degli ospiti anche per diversi anni. L’agente delle Filariasi linfatiche risiedono nei vasi linfatici e nei linfonodi; l’Onchocerca volvulus va a situarsi nei noduli presenti nel tessuto sottocutaneo; la Loa loa nel tessuto sottocutaneo dove migra attivamente; il Brugia malayi si situa nel tessuto linfatico, come il Wuchereria bancrofti; il Mansonella streptocerca nel derma e nel tessuto sottocutaneo; Mansonella ozzardi sembra si posizioni nel tessuto sottocutaneo e il M. perstans nelle cavità del corpo e nei tessuti circostanti. I vermi femmina, circolano nel torrente circolatorio, quelli di Onchocerca volvulus e Mansonella streptocerca, si trovano nella cute, o bulbo oculare. Le infezioni da microfilarie vengono trasmesse dal morso di artropodi (zanzare per l’agente della filariasi linfatica, mosche [Simulium] per l’Onchocerca volvulus; moscerini per Mansonella perstans e M. streptocerca; sia mosche che moscerini per Mansonella ozzardi; mosca [Chrysops] per Loa loa).  All’interno dell’artropode, le microfilarie si trasformano nella forma infettiva e filariforme della larva in 1 o 2 settimane. A seguito di un successivo pasto dell’insetto, la larva infetta l’ospite. A questo punto le larve sono in grado di migrare al sito specifico di infestazione dove sviluppano la forma adulta, un processo lento che richiede anche più di 18 mesi nel caso dell’Onchocerca.

Distribuzione:
tra gli agenti della filariasi linfatica, Wuchereria bancrofti è ubiquitaria, e si trova in tutte le aree tropicali, Brugia malayi è limitata al continente asiatico e la presenza del Brugia timori è ristretta ad alcune isole indonesiane. L’agente della cecità fluviale, l’Onchocerca volvulus, si trova prevalentemente in Africa, e meno in america latina e in Medio Oriente. Fra le altre specie,  Loa Loa e Mansonella streptocerca si trovano in Africa; Mansonella perstans sia in Africa che in Sud America e Mansonella ozzardi si trova solo nel continente americano.

Porta d’ingresso:
cute, tramite la puntura di artropodi.
ciclo

Trasmissione:
per iniezione di microfilarie dall’artropode all’ospite durante il pasto dell’insetto.

Incubazione:
anche più di 18 mesi perché le larve sviluppino nella forma adulta nell’ospite

Sintomi:
La filariasi linfatica:  produce spesso microfilaremia senza manifestazioni cliniche. Tuttavia la filariasi infiammatoria acuta comporta episodi (spesso ricorrenti) di febbre che durano da 4 a 7 giorni, linfoadenite acuta con tipica linfangite retrograda (LAA). Talvolta nel maschio funiculite acuta ed epididimite. Il linfedema transitorio di una gamba colpita può dare luogo ad un ascesso che drena all’esterno e lascia una cicatrice. La LAA in aree che drenano i linfatici delle gambe è spesso causata o aggravata da infezioni batteriche secondarie.

La filariasi cronica spesso si sviluppa insidiosamente dopo molti anni. Nella maggior parte dei pazienti si verifica una dilatazione linfatica asintomatica, ma la risposta infiammatoria cronica ai vermi adulti può portare al linfedema cronico dell’area del corpo interessata o all’idrocele. Questa situazione sintomatica grave esita in ‘elefantiasi’. Talvolta la cute si presenta  ipercheratosica e con suscettibilità locale alle infezioni batteriche e micotiche. Altre manifestazioni croniche da filarie si riferiscono alla distruzione di vasi linfatici o dal drenaggio aberrante di linfa che porta a chiluria e chilocele.

L‘eosinofilia polmonare tropicale (EPT) non è comune. Essa si manifesta con frequenti attacchi di asma, transitorie opacità polmonari, febbricola e marcata leucocitosi ed eosinofilia. Le microfilarie di solito non rimangono nel sangue, ma sono presenti in ascessi eosinofili nei polmoni o nei linfonodi. La EPT è molto probabilmente dovuta a reazioni allergiche verso le microfilarie. La EPT cronica può portare alla fibrosi polmonare. Altri segni extralinfatici includono ematuria microscopica cronica, proteinuria e moderata poliartrite, causate dalla deposizione di immunocomplessi.
Episodi di LAA di solito precedono l’esordio della malattia cronica di  2 decenni. La filariasi acuta è più grave e la progressione verso la malattia cronica è più rapida negli immigranti in aree endemiche precedentemente non esposti rispetto ai residenti nativi. La microfilaremia e i sintomi scompaiono gradualmente dopo aver lasciato l’area endemica

Oncocerchiasi: i noduli sottocutanei (o più profondi) (oncocercomi) che contengono i vermi adulti sono visibili o palpabili ma per il resto asintomatici. Essi sono composti di cellule infiammatorie e tessuto fibrotico in varie proporzioni; i vecchi noduli possono necrotizzare e calcificare. La dermatite da oncocerche è causata dalle microfilare del parassita. Il prurito intenso può essere il solo sintomo in persone con infestazione lieve. Le lesioni cutanee di solito consistono in rash maculopapuloso con escoriazioni secondarie, ulcerazioni desquamanti, lichenificazione e linfoadenopatia da lieve a moderata. Possono verificarsi prematura rugosità, atrofia cutanea, massiccia tumefazione dei linfonodi inguinali o femorali, ostruzione linfatica, ipopigmentazione a chiazze e aree transitoriamente localizzate di edema ed eritema.
La dermatite da oncocerca è generalizzata nella maggior parte dei pazienti, ma nello Yemen e in Arabia Saudita è comune una forma localizzata e delineata di dermatite eczematosa con ipercheratosi, desquamazione e depigmentazione (Sowdah).
La malattia oculare varia da una moderata riduzione del visus ad una completa cecità. Le lesioni dell’occhio anteriore includono una cheratite puntata (a fiocco di neve), un infiltrato infiammatorio acuto che circonda le microfilarie morte e si può risolvere senza causare danno permanente; una cheratite sclerosante, un groviglio di tessuto fibrovascolare che può causare lussazione del cristallino e cecità; uveite anteriore o iridociclite che può deformare la pupilla. Possono verificarsi inoltre corionretinite, neurite ottica e atrofia ottica.
L’oncocercosi è la seconda causa di cecità al mondo (dopo il tracoma). La cecità è comune nella savana dell’Africa, dove è principalmente dovuta alla cheratite sclerosante; è meno comune nelle aree delle foreste pluviali, dove è causata da lesioni corioretiniche ed è di gran lunga più rara in America, dove è causata principalmente da lesioni del segmento posteriore dell’occhio.

Loiasi: l’infezione nelle persone indigene provoca nella maggior parte dei casi aree di angioedema (edema di Calabar) che può svilupparsi in ogni parte del corpo, ma prevalentemente sulle estremità; generalmente esse persistono per 1-3 giorni e sono presumibilmente correlate a reazioni di ipersensibilità agli allergeni rilasciati dai vermi adulti durante la migrazione. I vermi migrano anche nella zona sottocongiuntivale attraverso gli occhi, e ciò può creare disturbi, anche se lesioni oculari residue non sono di frequente riscontro. Alterazioni patologiche meno comuni sono costituite: dalla nefropatia, dall’encefalopatia e dalla cardiomiopatia.
La nefropatia generalmente è caratterizzata da proteinuria accompagnata da lieve ematuria e si ritiene che il danno sia causato da immunocomplessi. La proteinuria è transitoriamente esacerbata dal trattamento con dietilcarbamazina (DEC). L’encefalopatia si presenta in forma lieve ed è generalmente associata a sfumati sintomi neurologici. La DEC aggrava i sintomi neurologici fino a provocare, raramente stato di coma e decesso.
Nei viaggiatori, a differenza della popolazione locale, sono predominanti i sintomi da iper-reattività allergica. L’edema di Calabar tende a essere più frequente e più grave nei viaggiatori, che possono anche sviluppare una sindrome sistemica con ipereosinofilia che può condurre a fibrosi endomiocardica.
La diagnosi consiste nel riscontro alla microscopia ottica di microfilarie nel sangue periferico. I campioni di sangue devono essere prelevati intorno a mezzogiorno, quando i livelli di microfilaremia sono più alti. Le persone che risiedono temporaneamente in aree endemiche rimangono spesso amicrofilaremiche. I test sierodiagnostici non sono ancora in grado di differenziare la Loa loa da altre filarie.

Controllo e prevenzione:
– Filariasi linfatica: La protezione richiede la riduzione dei contatti con zanzare infette. L’efficacia della chemioprofilassi con dietilcarbamazina (DEC) non è provata. – Oncocerchiasi: L’Ivermectina si è mostrata un farmaco efficace ed in grado controllare la malattia sul territorio e di diminuire la sua prevalenza in molte zone africane. La somministrazione annuale od ogni sei mesi di ivermectina controlla efficacemente la malattia e può diminuire la trasmissione del parassita. La rimozione chirurgica di tutti gli oncocercomi accessibili riduce il numero di microfilarie nella cute e può ridurre la prevalenza di cecità dei fiumi, con la contemporanea somministrazione di farmaco. È possibile ridurre le punture delle mosche della specie Simulium evitando le aree infestate, indossando abiti protettivi e usando in maniera abbondante agenti repellenti per insetti. L’uccisione delle larve della mosca nera rappresenta il punto cardine del programma internazionale di controllo dell’oncocerchiasi nell’Africa Occidentale. – Loiasi: Agenti repellenti per insetti possono ridurre l’esposizione alle mosche infette. Comunque, il DEC orale (300 mg una volta a settimana) è l’unica misura di provata efficacia nella prevenzione dell’infezione. Il DEC è l’unico farmaco in grado di uccidere le microfilarie e i vermi adulti. In alcuni casi, lo schema raccomandato di 8-10 mg/kg/die PO per 2-3 sett. deve essere ripetuto. In pazienti con infezioni massive, il trattamento può scatenare un’encefalopatia che può progredire fino allo stato di coma e decesso. Alcuni pazienti possono trarre beneficio da un trattamento iniziale con basse dosi di DEC (1 mg/kg/die) associato alla somministrazione di corticosteroidi. L’Ivermectina alle dosi utilizzate per il trattamento dell’oncocerchiasi può essere una valida ed efficace alternativa al DEC.

Trattamento:
– Filariasi linfatica: la terapia del linfedema cronico può essere molto efficace. La creazione chirurgica di shunt veno-linfatici per migliorare il drenaggio linfatico offre benefici a lungo termine anche in casi avanzati di elefantiasi e le misure conservative come il bendaggio elastico della gamba colpita aiutano a ridurre l’edema. La cura meticolosa della cute, compreso l’uso di pomate antibiotiche e la profilassi con antibiotici sistemici, può far regredire il linfedema e prevenirne la progressione verso l’elefantiasi. – Oncocerchiasi: Il farmaco di scelta è l’Ivermectina somministrata in una singola dose orale di 150 µg/kg una sola volta o due volte in un anno. Essa non deve essere somministrata a bambini di  5 anni di età o di peso  15 kg, alle donne in gravidanza, alle madri che allattano neonati durante la prima sett. di vita e ad ogni persona in gravi condizioni cliniche generali. L’Ivermectina riduce rapidamente il numero di microfilarie nella cute e negli occhi. Essa non sembra essere in grado di uccidere i vermi adulti, ma blocca il rilascio di microfilarie dall’utero per diversi mesi. Gli effetti collaterali sono qualitativamente simili a quelli della dietilcarbamazepina (DEC) ma sono meno frequenti e meno gravi. Il DEC non è più un farmaco raccomandato per il trattamento dell’oncocerchiasi poiché causa nefrotossicità e la reazione di Mazzotti, che può ulteriormente danneggiare la cute e gli occhi e portare a un collasso cardiovascolare, oltre ad accelerare l’insorgenza della cecità nei pazienti con un livello massiccio di infestazione nella camera oculare. La Suramina è efficace ma deve essere somministrata EV per varie settimane. L’eliminazione dei vermi adulti può essere ottenuta anche mediante la rimozione chirurgica dell’oncocercoma. –  Loiasi Il DEC è l’unico farmaco in grado di uccidere le microfilarie e i vermi adulti. In alcuni casi, lo schema raccomandato di 8-10 mg/kg/die PO per 2-3 sett. deve essere ripetuto. In pazienti con infezioni massive, il trattamento può scatenare un’encefalopatia che può progredire fino allo stato di coma ed al decesso. Alcuni pazienti possono trarre beneficio da un trattamento iniziale con basse dosi di DEC (1 mg/kg/die) associato alla somministrazione di corticosteroidi. L’Ivermectina alle dosi utilizzate per il trattamento dell’oncocerchiasi può essere una valida ed efficace alternativa al DEC.

Diagnosi in laboratorio:
la procedura migliore per la determinazione delle microfilarie è l’esame al microscopio (emoscopia). L’esame di campioni di sangue capillare permette la determinazione delle microfilarie da  Wuchereria bancrofti, Brugia malayi, Brugia timori, Loa loa, Mansonella perstans, e M. ozzardi.  Il campione di sangue può essere uno spesso striscio marcato con Giemsa o ematossilina ed eosina.  Per aumentare la sensibilità,  i campioni possono essere concentrati mediante centrifugazione del campione di sangue lisato in formalina al 2% (tecnica di Knott), o tramite filtrazione con millipore. Per l’identificazione della microfilaria dell’Onchocerca volvulus e  Mansonella streptocerca viene preso un campione di pelle, ottenuta mediante incisione della stessa. Il campione deve essere incubato da 30 min a 2 ore in medium salino o da cultura. In questo caso le micofilarie devono migrare dal tessuto alla fase liquida  del campione.

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Colera – Scheda malattia

Descrizione

Il colera è una malattia infettiva acuta causata da batteri del genere Vibrio Cholerae. I vibrioni del colera sono di diversi tipi e si distinguono in base al sierogruppo, biotipo e sierotipo a cui appartengono. Il colera provoca diarrea profusa causata dall’infezione dell’intestino del batterio. L’infezione spesso è asintomatica o paucisintomatica ma a volte può essere severa e mortale.

Dal punto di vista epidemiologico una persona su 20 manifesta una forma severa di infezione con diarrea profusa, acquosa, vomito e crampi alle gambe. In questi individui si ha una rapida perdita dei liquidi corporei che portano a disidratazione e stato di shock. Senza idoneo trattamento, vi è la morte anche in poche ore. Oggigiorno comunque l’infezione può essere facilmente prevenuta e curata, con una adeguata reidratazione e somministrazione di sali bilanciati.

Vibrio Cholerae

Sommario

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

Agente infettivo

Batterio del genere Vibrio Cholera. Quello maggiormente responsabile della malattia nell’uomo è il Vibrio Cholerae sierogruppo 01 o 0139, biotipo El Tor, sierotipo Ogawa.

Ciclo vitale

Ci sono diversi fattori che influenzano la patogenicità del V. Cholerae e che sono importanti nella fase di colonizzazione. Questi fattori includono le adesine, la mobilità, la chemiotassi e la produzione di tossine. Se il batterio è in grado di sopravvivere alle secrezioni gastriche ed al Ph acido dello stomaco, è poi in grado di adattarsi e sopravvivere nell’intestino. Il V. Cholerae è resistente ai sali biliari ed è inoltre in grado di attraversare le mucose dell’intestino mediante l’aiuto di secrezioni di proteasi.

Questi batteri sono in grado di muoversi mediante una mobilità di tipo propulsivo e riescono ad attraversare le mucose dell’intestino mediante un processo di chemiotassi. Si pensa che l’aderenza specifica alla mucosa intestinale avvenga mediante i pili, lunghi filamenti presenti sulla superficie del batterio; oltretutto il gene per la produzione dei pili si è osservato essere co-regolato con l’espressione delle tossine del batterio. In realtà non si sa molto sulla interazione dei pili con le cellule ospiti e il recettore delle cellule ospiti alle quali aderiscono non è stato identificato. Esistono altri due tipi di adesine nel V. Colerae presenti sulla sua superficie in grado di agglutinare i globuli rossi.

Distribuzione

A causa delle scarse condizioni igienico sanitarie, della carenza di acqua potabile, spesso associate a condizioni di povertà e degrado, i Paesi in via di sviluppo rappresentano le aree a maggior rischio di diffusione della malattia. Grave l’epidemia di colera che alla fine degli anni ’90 ha coinvolto molti paesi dell’America Latina, in particolare lungo la costa del pacifico. Nel 2006 i casi sono notevolmente aumentati, raggiungendo i livelli degli ultimi anni Novanta, per un totale di 236.896 contagi in 52 diversi Paesi. Tuttavia, il numero è sicuramente sottostimato visto che si calcola che venga segnalato all’Oms solo il 10% dei casi effettivi.

Per il 2007 e il 2008 l’Oms ha segnalato la presenza di epidemie di colera in Iraq e Zimbabwe; qui, in particolare, sono stati registrati all’inizio di febbraio 2009, oltre 65 mila casi che hanno provocato la morte di circa 2 mila persone in tutte e dieci le Province del Paese. Si è trattata della più grande e grave epidemia mai registrata sul suolo nazionale, con una mortalità del 5,7%, e un risvolto transnazionale, estendendosi ai Paesi limitrofi, in particolare in Sud Africa e in Botswana. Nel corso del 2010, si sono registrati focolai epidemici in Africa (Camerun, Uganda, Nigeria, Niger, Kenya), in Cina, in India e in Pakistan, dove le devastanti inondazioni, le peggiori nella storia del Paese, hanno aggravato le già scarse condizioni igienico-sanitarie della popolazione, nonché la scarsità di acqua potabile, cibo e  medicinali.

In Europa e nei Paesi industrializzati il colera è una malattia di importazione. In Italia, l’ultima importante epidemia di colera risale al 1973 in Campania e Puglia. Nel 1994 si è verificata a Bari un’epidemia di limitate proporzioni, in cui sono stati segnalati meno di 10 casi.

Porta di ingresso

Cavo orale, per ingestione di acqua, alimenti contaminati dal batterio, trasmissione oro-fecale.

Trasmissione

Si verifica perchè il vibrione, eliminato con le feci, non viene distrutto e per carenze del sistema di depurazione dei liquami o di potabilizzazione dell’acqua, può arrivare all’uomo sano, attraverso gli alimenti e le bevande. Senza la contaminazione di cibo o acqua, il contagio diretto da persona a persona è molto raro in condizioni igienico-sanitarie normali. La carica batterica necessaria per la tramissione dell’infezione è, infatti, superiore al milione: pertanto risulta molto difficile contagiare altri individui attraverso il semplice contatto.

Gli alimenti a maggior rischio sono i frutti di mare o comunque il pesce, ingeriti senza adeguata cottura; la verdura, la frutta, l’acqua da bere e le bevande prodotte con acqua inquinata.

Incubazione

Da 1 a 5 giorni.

Sintomi

La malattia, si manifesta con diarrea improvvisa e intensa con scariche sempre più liquide e incolori, con la caratteristica “acqua di riso” e quindi con enormi perdite di liquidi, calcio e potassio. Segue il vomito che aggrava lo stato di disidratazione. Il paziente è ipoteso, tachicardico e con diuresi ridotta o addirittura assente (anuria).

Se non interviene la cura reidratante, con l’aggiunta di Sali bilanciati, la situazione clinica può evolvere verso lo stato di shock irreversibile e, in seguito ad ulteriore peggioramento verso la morte. A volte però la malattia si presenta in forma molto attenuata e quindi benigna. Essa è comunque sempre grave quando interessa i bambini, in quanto in questi l’equilibrio idrico ed elettrolitico è molto delicato.

Controllo e prevenzione

il controllo delle epidemie di colera si ottiene mediante il controllo ambientale, la purificazione delle acque, una informazione mirata delle popolazioni più esposte sull’utilizzo dei cibi o sul loro trattamento prima di essere ingeriti, sul controllo dell’ igiene personale per evitare la diffusione dell’infezione.

Per chi viaggia in Paesi a rischio, la prevenzione si basa soprattutto sulla cottura degli alimenti e sull’uso di bevande sicure (imbottigliate o in lattina). L’acqua da bere può essere bollita o trattata con disinfettante a base di cloro. Inoltre è bene sbucciare la frutta cruda, evitare di acquistare alimenti, anche cotti, da ambulanti, e di mangiare in locali con evidenti carenze igieniche.

Vaccinazione

Il vaccino iniettivo tradizionale contro il colera, costituito da cellule intere di batteri uccisi col fenolo, non viene da tempo più raccomandato dall’OMS a causa della sua modesta efficacia (30- 50% dei vaccinati), la breve durata dell’immunità (3-6 mesi) e perché può indurre nei vaccinati un immotivato e pericoloso senso di sicurezza.

Un nuovo vaccino, a disposizione dei viaggiatori, autorizzato dalla Unione Europea dallo scorso Aprile 2004, si distingue dal vecchio vaccino innanzitutto per composizione: oltre alle cellule intere di batteri, uccisi col calore e la formalina, contiene la subunità B non tossica della tossina del colera (ottenuta attraverso procedimenti di sintesi di ingegneria genetica), la quale stimola una risposta anticorpale migliore delle precedenti e permette la protezione crociata dalla Diarrea da ETEC (Escherichia Coli Enterotossigena che produce enterotossina termolabile).

Il nuovo vaccino è diverso inoltre anche per via di somministrazione: somministrazione per via orale, anziché parenterale.

Consulta il nostro approfondimento sul vaccino contro il Colera

Trattamento

L’aspetto più importante nel trattamento del colera è la reintegrazione dei liquidi e dei sali persi con la diarrea e il vomito. La reidratazione orale ha successo nel 90% dei casi, può avvenire tramite assunzione di soluzioni ricche di zuccheri, elettroliti e acqua, e deve essere intrapresa immediatamente. I casi più gravi necessitano, invece, di un ripristino dei fluidi intravenoso che, soprattutto all’inizio, richiede grandi volumi di liquidi, fino ai 4-6 litri.

Con un’adeguata reidratazione solo l’1% dei pazienti muore e, di solito, in seguito al ripristino dei fluidi, la malattia si risolve autonomamente.

Gli antibiotici, generalmente tetracicline o ciprofloxacina, possono abbreviare il decorso della malattia e ridurre l’intensità dei sintomi e sono utilizzati soprattutto per le forme più gravi o nei pazienti più a rischio, come gli anziani.

Diagnosi

La diagnosi è confermata dall’isolamento di V.Cholerae nelle colture da tamponi rettali diretti o da feci fresche e dalla successiva identificazione come sierogruppo 01 o 0139 mediante agglutinazione con antisiero specifico.

Il colera deve essere distinto dalla malattia clinicamente simile provocata dai ceppi di Escherichia Coli producenti enterotossina e dai microrganismi Salmonella e Shigella.

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Amebiasi – Scheda malattia

Descrizione

L’ Amebiasi è una malattia parassitaria, che provoca  infestazione, spesso sintomatica, talvolta asintomatica, causata da un parassita mono-cellulare chiamato Entamoeba histolytica.

amebiasi

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

 

Agente infettivo

Diverse specie di protozoi del genere Entamoeba infettano l’uomo, ma non tutte sono patogene. Entamoeba histolytica è uno dei generi riconosciuti come ameba patogena, associato ad infezioni di tipo intestinale e extra-intestinale. Le altre specie sono comunque importanti in quanto possono essere confuse con l’E. histolytica durante l’investigazione diagnostica di laboratorio, e clinicamente, in certe occasioni possono manifestare sintomi, talvolta gravi.

Ciclo vitale

  1. Le cisti delle amebe, forme di resistenza e protezione vengono espulse dall’individuo affetto tramite le feci.
  2. L’infezione da Entamoeba histolytica , in un individuo, avviene mediante l’ingestione delle cisti mature da cibi, acqua o mani contaminati da residui fecali. (trasmissione orofecale)
  3. Le cisti raggiungono l’intestino.
  4. I trofozoiti vengono rilasciati mediante una mutazione delle cisti in ambiente intestinale favorevole. In particolare i trofozoiti si formano a livello colico…
  5. si moltiplicano mediante fissione binaria…
  6. producono cisti che passano nelle feci…
  7. che vengono emesse quindi in ambiente esterno. A causa della protezione dovuta alla loro membrana esterna, le cisti possono sopravvivere giorni e anche settimane nell’ambiente esterno e sono causa della trasmissione della patologia. (I trofozoiti possono essere eliminati dal corpo in caso di diarrea, ma in questo caso vengono rapidamente distrutti quando si trovano all’esterno dell’organismo e se ingeriti non sono in grado di sopravvivere al contatto con i succhi gastrici). La maggior parte delle volte i trofozoiti rimangono comunque confinati nel lume intestinale.
  • A) Infezione non invasiva asintomatica: avviene in individui portatori asintomatici ma che eliminano comunque le cisti mediante le feci.
  • B) Patologia intestinale: in alcuni pazienti le cisti invadono la mucosa intestinale e provocano i classici sintomi dell’ameba.
  • C) patologia extraintestinale: i trofozoiti dell’ameba invadono il circolo sanguigno ed organi interni quali il fegato, il cervello o i polmoni con patologie annesse. E’ stato determinato che esistono forme invasive, in particolare epatiche e forme non invasive. Queste due distinte forme patogene sono determinate da due tipi ben distinti di parassiti chiamati rispettivamente  E. histolytica e E. dispar, ma non è detto che i pazienti infettati con E. histolytica subiscano una infezione di tipo invasiva. Queste due specie sono morfologicamente non distinguibili, ma hanno caratteristiche cliniche ben diverse.

La trasmissione di questa patologia può avvenire anche mediante il contatto con residui fecali durante rapporti sessuali, caso nel quale non solo le cisti ma anche i trofozoiti possono diventare causa di infezione.

Distribuzione

Il parassita è ubiquitario, con una prevalenza elevata nei paesi in via di sviluppo, soprattutto quando le condizione sanitarie sono degradate. Nei paesi industrializzati i gruppi a rischio di infezione sono considerati gli omosessuali, i viaggiatori e recentemente gli immigrati.

Porta di ingresso

Cavo orale mediante ingestione delle cisti

Trasmissione

Ingestione accidentale delle cisti che si trovano in alimenti o bevande contaminate.

Incubazione

Da 1 a 4 settimane (valori variabili)

Sintomi

Lo spettro dei sintomi per questa infezione è alquanto vasto. Si può avere una infezione di tipo asintomatica (amebiasi luminale), una amebiasi di tipo invasiva intestinale (che si presenta con dissenteria, coliti, appendiciti) o può presentarsi come una amebiasi extraintestinale (ascessi al fegato, peritoniti, ascessi pleuropolmonari, lesioni amebiche cutanee o genitali).

Controllo e prevenzione

In caso si pensi di avere una amebiasi è bene consultare immediatamente un medico specialista. In caso debba essere intrapreso un viaggio in un paese con condizioni sanitarie scarse è bene porre attenzione ad alcune semplici regole:

  • bere solo acqua imbottigliata o acqua bollita (almeno per cinque minuti) o bere bevande gassate in lattina o bottiglia. Non bere acqua dalle fontane e nessuna bevanda con ghiaccio
  • non mangiare frutta fresca o vegetali senza che siano stati precedentemente sbucciati
  • non mangiare o bere latte, formaggio o comunque prodotti caseari freschi che non siano stati pastorizzati

La trasmissione interumana, in particolare ai contatti stretti, è possibile, ma comunque limitata se la persona infetta viene trattata con farmaci adeguati. È  controllabile anche seguendo alcune regole semplici di igiene personale quali lavarsi le mani con sapone dopo avere utilizzato i servizi igienici e prima di toccare i cibi.

Terapia

Per il trattamento possono essere utilizzati diversi farmaci. In caso di infezione asintomatica o di amebe non histolitiche, è possibile utilizzare accanto al metronidazolo la paramomicina; la diloxanide furoato è il farmaco alternativo. In caso di una patologia leggera, media o severa e in caso di infezione extraintestinale, i farmaci di prima scelta sono il metronidazolo e il tinidazolo, seguiti da iodochinolo, paramomicina o diloxanide furoato.

Diagnosi

La diagnosi della amebiasi è microscopica ed avviene mediante ricerca delle cisti, e raramente delle forme trofozoite. È possibile richiedere esami su diversi campioni di feci, se non si trovano i parassiti. Non sempre E. histolytica viene ritrovata nei campioni. Esiste un problema di diagnosi differenziale delle amebiasi, e questo è dovuto al fatto che altri parassiti possono rassomigliare molto alla E. histolytica. Esistono due tipi di infezioni da Amebe, simili morfologicamente ma diverse nella manifestazione clinica: infezioni da  E. dispar  e quelle da E. histolytica. Nel primo caso l’infezione non è mai sintomatica, ma il parassita può essere confuso con il secondo. L’ infezione da E. Histolytica invece è quasi sempre sintomatica, ma in laboratorio i reperti sono microscopicamente indistinguibili. Attraverso la tecnica di biologia molecolare della PCR (Polimerase Chain Reaction) è possibile arrivare ad una distinzione di specie tra dispar ed histolitica. È disponibile anche un test sierologico per l’identificazione degli anticorpi. L’Entamoeba histolytica deve essere differenziata da altre amebe scarsamente patogene quali: E. coli, E. hartmanni, E. gingivalis, Endolimax nana, e Iodamoeba buetschlii (l’ameba non patogena), Dientamoeba fragilis (che è un flagellato) basandosi sulle caratteristiche morfologiche delle cisti e dei trofozoi.

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Encefalite Giapponese – Vaccinazione

Presso il  Servizio di Vaccinazioni Internazionali della Travel Clinic CESMET è disponibile il vaccino contro l’encefalite giapponese  iniettivo.
Prenota il tuo vaccino contro l’Encefalite Giapponese per viaggiare tranquillamente nei paesi asiatici, dall’India fino alle Filippine, passando per tutti i paesi del Sud Est Asiatico ed anche nelle isole del pacifico.

Prenota le tue vaccinazioni telefonando al numero 0639030481 o scrivendo a seg.cesmet@gmail.com

Consulta la ns. scheda malattia

Sommario

  • Composizione
  • Indicazioni per i viaggiatori internazionali
  • Cenni clinici
  • Forma farmaceutica
  • Indicazioni
  • Posologia
  • Modalità di somministrazione
  • Efficacia
  • Durata
  • Contro indicazioni
  • Effetti indesiderati
  • Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso
  • Interazioni
  • Gravidanza e allattamento
  • Rischi per i viaggiatori

Composizione

Il vaccino per l’Encefalite Giapponese, disponibile presso il nostro Servizio, è  iniettivo: 1fiala / 1 dose (0,5 ml)  contiene: ceppo SA-14- 2 del virus dell’encefalite giapponese (inattivato) 6 microgrammi corrispondenti a una potenza di ≤460 ng ED50, coltivato su cellule Vero, adsorbito su idrossido di alluminio, idratato (circa 0,25 milligrammi Al3+).
Eccipienti con effetti noti: Questo medicinale contiene meno di 1 mmol/dose di potassio e meno di 1 mmol/dose di sodio. Il tampone fosfato isotonico 0,0067 M (in PO4) ha la seguente composizione salina: NaCl  9 mg/ml;  KH2PO4  0,144 mg/ml; Na2HPO4 0,795 mg/ml.
Il vaccino è indicato per l’immunizzazione attiva in adulti, adolescenti, bambini e neonati a partire da 2 mesi di età. L’utilizzo  è consigliato in soggetti a rischio di esposizione in previsione di un viaggio in paesi dell’Asia considerati a rischio di malattia. Il prodotto deve essere somministrato sulla base delle raccomandazioni relative alla necessità, dovuta alla presenza di zanzare del genere Culex infettate dal virus nelle aree di destinazione. (vedi sezione malattia). Il vaccino è efficace e sicuro, diventato un ottimo vaccino protettivo per l’infanzia. Tutti i bambini in partenza per le zone a rischio dovrebbero essere immunizzati.

Indicazioni per i viaggiatori internazionali

La vaccinazione non è obbligatoria per regolamento internazionale dell’OMS ma può essere consigliata a chi si reca nei paesi e nelle aree considerate a rischio. La valutazione dei rischi deve essere effettuata da personale esperto e profondo conoscitore delle realtà locali. I bambini sono i soggetti più a rischio e quindi su cui va fatta una reale valutazione.

Nessun paese richiede prova di vaccinazione contro l’encefalite giapponese quale condizione per entrare. Il rischio di sviluppare l’encefalite giapponese sintomatica nei viaggiatori diretti in aree endemiche è stata per lungo tempo inferiore ad 1 su 100.000 abitanti , ma negli ultimi anni, in particolare in India, Bangladesh, e alcuni paesi del Sud Est Asiatico è aumentata in modo esponenziale non solo per i viaggiatori che si recano in aree rurali (1 caso ogni 5000 / 10.000), ma anche nelle grandi città, in particolare nei grandi sobborghi dove la presenza di animali è costante. Le aree dei grandi mercati e di presenza di animali serbatoio possono essere considerate aree di rischio.

Sono a maggior rischio i viaggiatori internazionali, i campeggiatori, ed i viaggiatori che visitano sia aree rurali e agricole, ma oramai anche città e sobborghi di paesi considerati endemici. Inoltre, le variazioni stagionali nella trasmissione dell’infezione sono correlate alla temperatura e alle precipitazioni. Le regioni asiatiche a clima temperato (tra cui Giappone, Cina, Corea e India settentrionale) sono soggette ad epidemie annuali (da maggio a novembre), mentre nelle regioni tropicali (Indonesia, Malesia, Filippine, India meridionale, Sri Lanka, isole orientali oceaniche) la trasmissione può verificarsi in ogni stagione dell’anno, con picchi dopo le stagioni monsoniche e nei luoghi con irrigazione associata alla coltivazione del riso.

Cenni clinici

L’encefalite giapponese è una malattia virale acuta che ha come organo bersaglio l’encefalo, il midollo spinale e le meningi. La maggior parte delle forme sono in apparenti o paucisintomatiche, la gravità della malattia è data dall’attacco al sistema nervoso centrale.

Consulta la nostra scheda malattia sull’Encefalite Giapponese

Per l’immunizzazione  sono necessarie 2 dosi. E’ considerato vaccino efficace e soprattutto sicuro in quanto è prodotto su cellule Vero e il suo stabilizzante non contiene gli stessi derivati proteici ma la presenza di solfato di protamina, priva di reazioni.

Modalità di somministrazione

Il vaccino viene somministrato per via intramuscolare nel muscolo deltoide. Il vaccino non deve essere  iniettato per via intravascolare. In casi eccezionali  può essere somministrato per via sottocutanea in pazienti con trombocitopenia o disturbi della coagulazione, onde evitare il rischio di emorragie dopo l’iniezione intramuscolare. La somministrazione sottocutanea può determinare una risposta subottimale al vaccino. Si noti, tuttavia, che non esistono dati clinici che confermano l’efficacia della somministrazione per via sottocutanea.

Forma farmaceutica

Sospensione iniettabile. Liquido trasparente con un precipitato lattescente.

Indicazioni

Il vaccino è indicato per l’immunizzazione attiva contro l’encefalite giapponese nei viaggiatori sopra i 2 mesi di età, negli adulti e negli over 65 . Il suo utilizzo  è consigliato in soggetti a rischio di esposizione in previsione di un viaggio in Asia, anche di breve durata, sia in aree rurali che in aree cittadine, nelle vicinanze di aree dove sono presenti animali domestici, in particolare suini ed uccelli migratori, compresi i piccioni

Ricordiamo che questa encefalite è innanzitutto una zoonosi, ossia una malattia degli animali che si trasmette anche all’uomo.

Posologia

1) Pazienti adulti (18- 65 anni)

La vaccinazione primaria consiste in due dosi da 0,5 ml ciascuna, somministrate in conformità con il seguente calendario vaccinale:

A. Schedula classica

  • Prima dose il giorno 0.
  • Seconda dose: 28 giorni dopo la prima dose.

B. Schedula rapida

  • Prima dose il giorno 0.
  • Seconda dose: 7 giorni dopo la prima dose.

Con entrambe le schedule, l’immunizzazione primaria deve essere completata almeno una settimana prima della potenziale esposizione al virus dell’encefalite giapponese (JEV) Si raccomanda che i vaccinati che hanno ricevuto la prima dose completino il ciclo vaccinale primario con 2 dosi. Se l’immunizzazione primaria di due iniezioni non è completata, potrebbe non essere raggiunta la protezione completa contro la malattia. In base ad alcuni dati, una seconda iniezione somministrata fino a 11 mesi dopo la prima dose provoca elevati tassi di sieroconversione.

C. Dose di richiamo

Una dose di richiamo (terza dose) deve essere somministrata entro il secondo anno (cioè a 12 – 24 mesi) dall’immunizzazione primaria, prima della potenziale nuova esposizione a JEV. Le persone a rischio continuo di contrarre l’encefalite  giapponese (personale di laboratorio, viaggiatori o persone residenti in aree endemiche) devono ricevere una dose di richiamo al mese 12 dall’immunizzazione primaria I dati di sieroprotezione a lungo termine a seguito di una prima dose di richiamo somministrata 12 – 24 mesi dopo l’immunizzazione primaria suggeriscono che un secondo richiamo dovrebbe essere somministrato 10 anni dopo la prima dose di richiamo, prima della potenziale esposizione a JEV

2) Anziani (≥ 65 anni)

La vaccinazione primaria consiste in due dosi separate da 0,5 ml ciascuna, somministrate in conformità al seguente calendario vaccinale convenzionale:

A. Schedula

  • Prima dose il giorno 0
  • Seconda dose: 28 giorni dopo la prima dose.

L’immunizzazione primaria deve essere completata almeno una settimana prima della potenziale esposizione al virus dell’enfecalite giapponese (JEV) Si raccomanda che i vaccinati che hanno ricevuto la prima dose completino il ciclo vaccinale primario con 2 dosi . Se l’immunizzazione primaria di due iniezioni non è completata, potrebbe non essere raggiunta la protezione completa contro la malattia. Ci sono dati sulla base dei quali risulta che una seconda iniezione somministrata fino a 11 mesi dopo la prima dose provochi elevati tassi di sieroconversione

B. Dose di richiamo

Come per molti altri vaccini, la risposta immunitaria  negli anziani (età ≥ 65 anni) è più lenta che nei giovani adulti. La durata della protezione in questa popolazione è incerta, pertanto è necessario considerare una dose di richiamo (terza dose) prima di qualunque altra esposizione a JEV.  Non si è a conoscenza di una sieroprotezione a lungo termine successiva ad una dose di richiamo.

3) Popolazione pediatrica

Bambini ed adolescenti da 3 a < 18 anni di età:

La serie vaccinale primaria consiste in due dosi separate da 0,5ml. La prima va somministrata il giorno 0, la seconda dopo 28 giorni.

Bambini da 2 mesi a < 3 anni di età:

La serie vaccinale primaria consiste in due dosi separate da 0,25ml. La prima va somministrata il giorno 0, la seconda dopo 28 giorni.

Dose di richiamo (per bambini ed adolescenti)

Una dose di richiamo (terza dose) deve essere somministrata entro il secondo anno (cioè a 12 – 24 mesi) dopo l’immunizzazione primaria, prima di una potenziale re- esposizione a JEV. Bambini e adolescenti a rischio continuo di contrarre l’encefalite giapponese (residenti in aree endemiche) devono ricevere una dose di richiamo al mese 12 dopo l’immunizzazione primaria. Bambini e adolescenti da 3 a < 18 anni di età devono ricevere una singola dose di richiamo da 0,5 ml. I bambini da 14 mesi a < 3 anni di età devono ricevere una singola dose di richiamo da 0,25 ml.

Efficacia

Meccanismo d’azione. Il meccanismo d’azione dei vaccini per l’encefalite giapponese (JE) non è del tutto noto. Studi sugli animali hanno dimostrato che il vaccino stimola il sistema immunitario a produrre anticorpi contro il virus dell’encefalite giapponese che, il più delle volte, sono protettivi. Studi di infezione sperimentale sono stati effettuati su topi trattati con antisieri umani del vaccino. Questi studi hanno dimostrato che quasi tutti i topi con un titolo di almeno 1:10 al test di neutralizzazione della riduzione di placca erano protetti da un’infezione letale provocata con virus dell’encefalite giapponese.

Studi clinici. Non sono stati effettuati studi prospettici sull’efficacia. L’immunogenicità di Ixiaro è stata studiata in circa 3.119soggetti adulti sani inclusi in sette studi clinici controllati randomizzati e in 5 non controllati di fase 3 3 inoltre in 550 bambin sani inclusi in 2 studi clinicicontrollati randomizzati e in 2 non controllati di fase 3.

Controindicazioni

Ipersensibilità al principio attivo o a uno qualsiasi degli eccipienti o a eventuali residui (per esempio, protamina solfato). Non somministrare la seconda dose del vaccino a soggetti che hanno sviluppato reazioni di ipersensibilità dopo l’iniezione della prima dose. La somministrazione del vaccino deve essere posticipata nei pazienti in grave stato febbrile acuto.

Effetti indesiderati

La sicurezza del vaccino è stata valutata in vari studi clinici controllati, e non controllati, su 5021 soggetti adulti sani (da paesi non endemici) e 1559 bambini e adolescenti (per la maggior parte da paesi endemici). Si sono osservate reazioni avverse nel 40% circa dei soggetti trattati. Tali reazioni si verificano solitamente entro i primi tre giorni dalla somministrazione del vaccino, sono in genere di grado lieve e scompaiono nel giro di qualche giorno. Tra la prima e la seconda dose non è stato osservato un aumento del numero di reazioni avverse. Le reazioni avverse più frequenti sono cefalea e mialgia, che sono state riferite, rispettivamente, da circa il 20% e il 13% dei soggetti. Altri effetti indesiderati  sono stati  dolore nel sito di iniezione e affaticamento.

Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso

Come con qualsiasi altro vaccino, la vaccinazione potrebbe non assicurare la protezione di tutti i soggetti vaccinati. Il vaccino  non protegge il paziente da encefaliti causate da altri microrganismi.

 

Interazioni

Nell’ambito di  studi clinici è stata valutata la somministrazione contemporanea  con un vaccino inattivato dell’epatite A e con un vaccino inattivato della rabbia.

Non si è riscontrata un’interferenza con la risposta immunitariaal virus dell’encefalite giapponese o ai virus dell’epatite A o della rabbia.

Gravidanza e allattamento

Gravidanza. Esistono soltanto informazioni limitate relative all’uso in donne in gravidanza . Dagli studi condotti su animali sono stati ottenuti risultati di rilevanza clinica incerta. L’utilizzo  in gravidanza  dev’essere evitato in via precauzionale.

Allattamento. Non è noto se il vaccino sia presente nel latte materno.

Non sono previste ripercussioni sul neonato/infante allattato, data la trascurabile esposizione sistemica al vaccino della donna che allatta. Tuttavia, in assenza di dati e in misura precauzionale l’utilizzo durante l’allattamento dev’essere evitato.

Rischi per i viaggiatori

Si stima che il rischio grezzo di sviluppare l’encefalite giapponese sintomatica nei viaggiatori diretti in aree endemiche sia inferiore ad 1 su un milione, ma aumenta nel caso i viaggiatori si spostino in aree rurali (1 caso ogni 5000 per mese). Sono a maggior rischio gli espatriati, i campeggiatori, ed i viaggiatori che visitano per periodi prolungati aree rurali e agricole nei paesi endemici. Inoltre, le variazioni stagionali nella trasmissione dell’infezione sono correlate alla temperatura e alle precipitazioni. Le regioni asiatiche a clima temperato (tra cui Giappone, Cina e India settentrionale) sono soggette ad epidemie annuali (da maggio a settembre), mentre nelle regioni tropicali (Indonesia, Malesia, Filippine, India meridionale) la trasmissione può verificarsi in ogni stagione dell’anno, con picchi dopo le stagioni monsoniche e l’irrigazione associata alla coltivazione del riso.

Caratteristiche Ixiaro Je-vax
Ceppo SA 14-14-2 Nakayama-NIH
Tipo virus Attenuato selvaggio
Substrato Cellule Vero Cerebrali murine
Adiuvante Alluminio idrossido Nessuno
Stabilizzatore Nessuno Porcine gelatin
Conservante Nessuno Thimerosal
Presentazione finale Liquido Liofilizzato
Conservazione 2° – 8° C 2° – 8° C
Dosaggio 0.5 mL 1.0 mL
Via di somministrazione Intramuscolare sottocutanea
Posologia 2 dosi (0° e 28° giorno) 3 dosi (0°, 7° e 30° giorno)
Età > 17 anni > 1 anno

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Encefalite Giapponese – Scheda malattia

Sommario

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Porta di ingresso e trasmissione
  • Distribuzione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi
  • Rischi per i viaggiatori

Descrizione

L’Encefalite Giapponese è una infezione virale acuta, trasmessa al’uomo da zanzare del tipo Culex, e rappresenta la prima causa di malattia encefalica, midollare e meningea nei paesi Asiatici ed in particolare in Estremo Oriente. L’infezione virale si diffonde sia nelle aree rurali particolarmente umide ed acquose, per esempio nelle risaie, dove si affollano uccelli di tutti i tipi ma in particolare Aironi a vari tipi di trampolieri; sia in aree abitate da animali da cortile, ed in particolare da maiali, sempre più diffusi in tutta l’Asia orientale, il Sub-continente indiano, ed in particolare in Cina, fino alle Filippine ed al Giappone, al sud est asiatico con tendenza a diffondere nel Borneo ed in parte dell’Oceania (Isole del Pacifico). Villaggi rurali ma anche città dove convivono animali da cortile, ed in particolare maiali con uomini, costituiscono un luogo preferenziale dove il contagio attraverso la puntura di zanzara viene facilitato.

La convivenza tra animali, e tra questi i suini, e l’uomo, caratteristica della cultura orientale, ed in particolare la vita di intere famiglie contadine accanto alla loro fonte di reddito, gli animali, nei sobborghi della maggior parte delle città orientali; ed anche la presenza nei mercati e nelle grandi fiere commerciali di suini vivi, che vengono tenuti in pessime condizioni igieniche, favoriscono la presenza ed il diffondersi di encefaliti suine, e la sempre maggiore diffusione della malattie in altri mammiferi e nell’uomo.

Gli aironi ed altri uccelli migratori funzionano da diffusori importanti della malattia. Così si spiega la diffusione rapida non solo lungo le vie commerciali dei suini, ma anche lungo le tratte migratorie dei grandi uccelli. La diffusione della malattia anche in Australia ed in diverse isole oceaniche, trova una spiegazione in questo tipo di trasmissione.

Non solo quindi le aree rurali ma anche villaggi, cittadine e metropoli non vengono risparmiate dalla diffusione di questa grave malattia, spesso asintomatica, talvolta aggressiva e raramente mortale. Una malattia che non va sottovalutata da chiunque per ragioni di turismo, di lavoro o di studio si rechi nei paesi Asiatici ed anche oceanici.

La malattia è particolarmente frequente ed attiva negli animali, specialmente uccelli e suini, con possibilità di trasmissione all’uomo, durante il periodo monsonico, in particolare nel periodo iniziale di cambio dei venti, di arrivo delle masse di aria caldo umide e di aumento della presenza della zanzara, del tipo Culex, nel terreno. La zanzara è presente nella fase iniziale delle piogge, con una lieve flessione della presenza durante il periodo delle forti piogge e dei cicloni, e con una ripresa della attività alla fine della stagione delle piogge. Dalla fine dei mesi di aprile e maggio fino al mese di novembre inoltrato sono coinvolti nella trasmissione della virosi i paesi asiatici del Nord, con diminuzione del rischio di contagio della malattia nella Malesia, Indonesia e Borneo. Dal mese di Ottobre i rischi di contagio del virus si invertono con una diminuzione della malattia al sud dell’Asia ed una forte ripresa dal Sub continente indiano, l’isola di Sri Lanka, al Myanmar, la Thailandia, Vietnam e Cambogia, ed i paesi del nord dell’Asia. Nella fascia equatoriale, dove il caldo umido, la presenza di zanzare e le ore luce rimangono costanti, la malattia si mantiene presente negli animali ed il rischio di contagio si modifica di poco. Nei paesi con cambiamenti stagionali marcati, il rischio della malattia si lega alla stagione e scompare dal territorio. Quindi esiste una fascia centrale, equatoriale, di rischio costante, una fascia intermedia, tropicale, di rischio periodico, ed una fascia sopra tropicale di rischio sporadico, legato anche alla migrazione degli uccelli ed alla presenza di suini infetti, sempre in presenza della zanzara vettrice.

Agente infettivo

Virus JE

L’Encefalite giapponese è provocata da un virus appartenente al genere Flavivirus, antigenicamente correlato al virus dell’encefalite St. Louis ed a West Nile Virus; a questo genere appartengono anche i virus responsabili della Dengue e della Febbre Gialla.

Il Genoma virale, a singola catena di RNA virale, è avvolto nel capside proteico, L’envelope esterno è formato da proteine, alcune delle quali costituiscono antigeni particolarmente attivi. Queste proteine antigeniche, che flottano all’interno della parete, aiutano l’entrata del virus nelle cellule bersaglio degli organismi:

  • il genoma virale, all’interno delle cellule ospiti infettate, codifica e produce diverse proteine non strutturali, NS1, NS2a, NS2b, NS3, NS4a, NS4b, NS5;
  • la protein NS1 è prodotta come proteina secretoria
  • la protein NS3 è una helicasi
  • la protein NS5 costituisce la polymerase virale

Ciclo vitale

Ciclo vitale JE

Gli uccelli acquatici e gli uccelli migratori (Aironi, Egrette, varie famiglie di Trampolieri, ma anche i piccioni) costituiscono il principale serbatoio animale per il virus. Le rotte migratorie e gli spostamenti all’interno del continente contribuiscono alla diffusione del virus. Un secondo serbatoio è costituito dai suini la cui presenza e diffusione amplifica enormemente la trasmissione del virus. Le rotte commerciali di questi animali hanno fortemente contribuito alla diffusione della malattia. La sempre maggiore presenza di suini vivi nei mercati delle città di tutto l’oriente costituisce il vero rischio di diffusione nella comunità umana. Molti mammiferi possono ammalare ma costituiscono un fondo cieco, ossia non diffondono la malattia anche tramite contagio con la zanzara. Anche l’uomo è considerato “ospite a fondo cieco” nel ciclo di trasmissione virale.

Le zanzare del genere Culex sfruttano per la deposizione delle uova stagni, canali di irrigazione, risaie; per tale motivo l’infezione da virus dell’encefalite giapponese è frequente nelle zone rurali, ma sono frequenti i casi anche in ambienti urbani, soprattutto se alla periferia delle città esistono colture agricole con condizioni favorevoli allo sviluppo di zanzare e all’interno delle città permangono condizioni favorenti la presenza delle zanzare. Le zanzare rimangono infette per tutta la durata della loro vita, mentre negli animali serbatoio di infezione, uccelli e suini, il virus può persistere da alcuni giorni a qualche mese e poi viene eliminato dalle difese interne.

Porta di ingresso e trasmissione

Il virus dell’encefalite giapponese viene trasmesso all’uomo dalla puntura delle zanzare infette appartenenti al genere Culex. Si tratta di zanzare molto diffuse in tutti gli ambienti dell’Asia, che pungono nelle ore di oscurità e semioscurità; la loro puntura è molto dolorosa. L’encefalite giapponese non si trasmette da animale ad animale, da animale ad uomo o da persona a persona, ma soltanto attraverso il tramite delle zanzare infette. La zanzara costituisce quindi l’unico veicolo di infezione per l’Encefalite Giapponese.

Distribuzione

Il virus “dell’Encefalite Giapponese” è responsabile della più comune forma di encefalite in quasi tutta l’Asia e parte del Pacifico occidentale. Questo virus non è mai stato trasmesso in Africa, in Europa o nelle Americhe. La trasmissione si verifica nelle zone agricole o rurali, spesso associata alla produzione di riso ma sempre più è presente nelle aree urbane per la presenza dei suini e la contemporanea presenza della zanzara. In molti paesi Asiatici infatti queste condizioni ecologiche, che favoriscono la presenza contemporanea dell’animale infetto, serbatoio, e della zanzara vettrice, si verificano in prossimità o all’interno dei centri urbani. Nelle zone temperate dell’Asia, paesi del nord la trasmissione è stagionale, e la malattia umana di solito ha i suoi picchi in estate e in autunno. Nelle regioni subtropicali e tropicali, la trasmissione stagionale varia con le piogge monsoniche e le pratiche di irrigazione e potrebbe prolungarsi per buona parte dell’anno. Nelle aree equatoriali, come già specificato la trasmissione è continua.

Il contagio può avvenire durante un soggiorno anche breve in una area considerata a rischio per la presenza di animali infetti. Ma il rischio di contagio è presente anche durante un passaggio veloce in una area a rischio malattia. Le indicazioni preventive che indicano la vaccinazione a chi risiede sul territorio per più di un mese hanno scarsa validità scientifica. La trasmissione può avvenire anche per un passaggio di pochi minuti in un posto rischioso. E’ evidente che maggiore è il periodo di soggiorno e maggiore è il rischio di contagio e di ammalare. Ma legare la pratica vaccinale al periodo di permanenza è un “non senso” scientifico ed anche pratico.

Nei paesi endemici, l’encefalite giapponese è principalmente una malattia dei bambini. Tuttavia, le infezioni associate ai viaggi possono verificarsi tra persone di qualsiasi età. L’infezione è endemica in una vasta fascia dell’Asia che va dal Pakistan per giungere attraverso l’India E Sri Lanka, al Nepal, il Buthan e il Bangladesh fino alle regioni estremo orientali (Myanmar, Laos, Thailandia, Vietnam, ) al Giappone, alla Corea ed alle Filippina. Coinvolte vaste aree della Cina Centro meridionale fino ed alle estreme regioni orientali della Russia. A sud la Malesia e l’Indonesia, Giacarta, Bali ed il Borneo, anche il Brunei e la Papua Nuova Guinea segnalano sporadici casi.

Casi ed Incubazione

Il periodo di incubazione dell’encefalite giapponese, ovvero il tempo trascorso tra la puntura infettante e la comparsa dei primi sintomi clinici può variare da 5 a 15 giorni. I soggetti contagiati dal virus nella maggior parte dei casi non manifestano sintomi ma producono anticorpi neutralizzanti il virus, capaci di proteggere i soggetti per il resto della vita. Chi manifesta i sintomi, nella maggior parte dei casi supera la malattia senza esiti e con scarsa sofferenza. Una piccola percentuale manifesta sintomi neurologici molto gravi, talvolta mortali. Nel continente asiatico vengono denunciati circa 50.000 casi di encefalite giapponese con esiti gravi. Ogni anno vengono denunciati circa 10.000 morti. L’incidenza dei casi varia dall’1 al 10 per 100.000 abitanti. Il tasso di mortalità varia nei diversi paesi e situazioni dall’1% al 60% e varia anche con l’età. La mortalità pediatrica è particolarmente alta. Nei paesi endemici, l’immunità aumenta con dell’età e per questo motivo la patologia tende a colpire maggiormente i soggetti con età minore di 15 anni. Negli ultimi anni, l’infezione ha coinvolto anche altri Paesi come l’India, il Nepal e lo Sri Lanka; i viaggi internazionali e il commercio di animali potenzialmente infetti potrebbero veicolarla anche in altre aree del mondo. I dati dell’ultimo anno hanno portato i casi a circa 70,000 unità ed il numero di morti ad oltre 20.000. La malattia sembra espandersi in nuove aree e diffondersi nell’uomo.

Sintomi

Come già detto la maggior parte delle infezioni da tale virus è asintomatica; meno dell’1% degli individui infetti manifesta segni clinici. Le forme lievi o pauci sintomatiche sono caratterizzate da cefalea, febbre remittente, forte astenia ingravescente, vomito con tendenza a vomito a getto. I casi peggiorano manifestando rigidità del collo, convulsioni, alterazione dello stato di coscienza, disturbi motori, paralisi spastica. Talvolta, l’encefalite giapponese può presentarsi come una sindrome parkinsoniana o con un quadro clinico simile alla poliomielite.Il coma arriva nelle forme più gravi.

Nelle forme cliniche evidenti la malattia si manifesta con una grave encefalite acuta gravata da un tasso di letalità del 25%. Un segno clinico tipico di encefalite giapponese è rappresentato da una sindrome parkinsoniana conseguenza dell’interessamento extrapiramidale. La progressione di questa sindrome evidenzia un peggioramento della malattia. Fino al 50% di coloro che sopravvivono alla malattia può manifestare sequele neurologiche o psichiatriche significative, anche dopo anni dalla malattia acuta.

Controllo e prevenzione

Oltre che con le misure di protezione personale e di controllo ambientale (controllo della popolazione di zanzare, periodici interventi di disinfestazione, eliminazione, soprattutto in prossimità delle abitazioni, delle raccolte d’acqua che possono essere sfruttate dalle zanzare per la riproduzione, applicazione di zanzariere e altri mezzi protettivi alle finestre delle abitazioni) l’encefalite giapponese può essere prevenuta per mezzo della vaccinazione. A livello individuale, per la prevenzione dell’encefalite giapponese, sono comunque molto utili le misure di protezione personale, che dovranno essere seguite tenendo presenti le abitudini “notturne” delle zanzare Culex.
Si consiglia di:

  • indossare abiti di colore chiaro (i colori scuri e quelli accesi attirano gli insetti), con maniche lunghe e pantaloni lunghi, che coprano la maggior parte del corpo;
  • evitare l’uso di profumi (potrebbero attirare gli insetti);
  • applicare sulla cute esposta repellenti per insetti a base di N,N-dietil-n-toluamide o di dimetil-ftalato, ripetendo se necessario, ad esempio in caso di sudorazione intensa, l’applicazione ogni 2-3 ore; i repellenti per gli insetti ed insetticidi a base di piretroidi possono essere spruzzati anche direttamente sugli abiti;
  • alloggiare preferibilmente in stanze dotate di condizionatore d’aria ovvero, in mancanza di questo, di zanzariere alle finestre, curando che queste siano tenute in ordine e ben chiuse;
  • spruzzare insetticidi a base di piretro o di permetrina nelle stanze di soggiorno e nelle stanze da letto, oppure usare diffusori di insetticida (operanti a corrente elettrica o a batterie), che contengano tavolette impregnate con piretroidi (ricordarsi di sostituire le piastrine esaurite) o le serpentine antizanzare al piretro.

La possibilità, soprattutto in bambini piccoli, di effetti indesiderati dei prodotti repellenti per gli insetti, impone alcune precauzioni nel loro uso, ed una scrupolosa attenzione alle indicazioni contenute nei foglietti di accompagnamento.
In particolare:

  • il prodotto repellente deve essere applicato soltanto sulle parti scoperte;
  • non deve essere inalato o ingerito, o portato a contatto con gli occhi;
  • non deve essere applicato su cute irritata o escoriata;
  • deve essere evitata l’applicazione di prodotti ad alta concentrazione, in particolar modo per quanto riguarda i bambini;
  • le superfici cutanee trattate vanno lavate immediatamente dopo il ritorno in ambienti chiusi o al manifestarsi di sintomi sospetti (prurito, infiammazione), per i quali è opportuno consultare immediatamente un medico.

Trattamento

Non esiste un trattamento antivirale specifico; la terapia consiste nella somministrazione di farmaci di supporto e nella gestione delle complicanze.

Diagnosi

L’infezione da virus dell’encefalite giapponese può essere sospettata in quei pazienti che presentano sintomi neurologici da causa infettiva (es. encefalite, meningite, paralisi flaccida acuta) di recente ritorno o residenti in aree endemiche dell’Asia o del Pacifico Occidentale.
La diagnosi di laboratorio dovrebbe essere basata sulla rilevazione di IgM specifiche tramite test ELISA, che di solito compaiono una settimana dopo l’esordio dei sintomi.

Rischi per i viaggiatori

Il rischio di contrarre l’encefalite giapponese per la maggior parte dei viaggiatori verso l’Asia è estremamente basso ma varia a seconda della stagione, della destinazione, della durata del viaggio e delle attività che verranno svolte durante la permanenza. Negli ultimi 40 anni sono stati riportati meno di 40 casi confermati di encefalite giapponese tra i viaggiatori.

Tuttavia, i viaggiatori che soggiornano per periodi prolungati in aree rurali con focolai attivi di trasmissione hanno probabilmente un rischio paragonabile a quello della popolazione residente sensibile (0,1-2 casi ogni 100.000 persone a settimana). I viaggiatori di breve periodo sono probabilmente a rischio anche loro se ci si espone largamente all’aperto o durante le ore notturne nelle zone rurali, senza escludere le persone che soggiornano in zone turistiche. I viaggiatori a breve termine le cui visite sono limitate ai principali aree urbane sono a rischio molto limitato di contrarre l’encefalite giapponese. Presso l’ambulatorio del CESMET è disponibile Ixiaro, il vaccino che protegge dall’encefalite giapponese.

Nelle aree endemiche dove ci sono pochi casi di persone tra i residenti a causa di vaccinazioni o di immunità naturale, la malattia è spesso mantenuta in un ciclo di leucosi tra gli animali e le zanzare. Per questo motivo, i visitatori sensibili possono essere ancora a rischio di infezione.

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Chikungunya – Scheda malattia

Il pacchetto di esami diagnostici per diagnosi di Chikungunya comprende:
– test sierologico per la ricerca degli anticorpi contro il virus;
– emocromo, ves, PCR, mucoproteine, elettroforesi proteica.
La diagnosi finale è elaborata dal medico anche con la valutazione di altre analisi cliniche.
Per informazioni e prenotazioni di visita e test telefona al numero: 06/39030481 oppure scrivi una mail all’indirizzo seg.cesmet@gmail.com

SCHEDA MALATTIA

Descrizione: La Chikungunya è una malattia infettiva, virale acuta febbrile, presente nelle aree tropicali ed equatoriali, e sempre più negli ambienti tropicalizzati, degli USA, del bacino del mediterraneo, oltre che della Cina, Giappone e Filippine, e dell’Australia. E’ trasmessa attraverso la puntura di zanzare, femmine, infette, di diversi generi, presenti sia in ambiente urbano che in ambiente silvestre e selvaggio. Si manifesta con sintomi simili a quelli di altri virus, quali quelli influenzali, ma con caratteristiche precise ed inequivocabili: febbre elevata, cefalea persistente, stanchezza ingravescente e profonda, e soprattutto, una infiammazione delle articolazioni e dei muscoli con importanti dolori che talora costringono il paziente ad assumere una posizione piegata, contorta, nel tentativo di alleviare la sofferenza (nella lingua africana swahili, “chikungunya” significa “ciò che curva” o “contorce”).   Il quadro è spesso accompagnato da manifestazioni cutanee maculo papulari, pruriginose, che talora possono assumere caratteristiche di tipo emorragico transitorio quali petecchie, ecchimosi, epistassi, gengivorragie. Il serbatoio è l’uomo, portatore del virus, che può essere sano, pauci sintomatico (lievi sintomi) oppure malato. E’ da chiarire bene che la trasmissione del virus non avviene per contatto diretto tra persona e persona, ma sono le zanzare, in particolari Aedes, che, attraverso la puntura, trasmettono la malattia, da uomo ad uomo.

Agente infettivo
Ciclo vitale
Porta di ingresso
Distribuzione
Incubazione
Sintomi
Controllo e prevenzione
Trattamento
Diagnosi

Agente infettivo:
l virus responsabile della “Chikungunya” appartiene alla famiglia delle “Togaviridae” (Arbovirus), del genere degli “Alphavirus”. Tra questi virus importanti West Nile Virus, l’encefalite equina dell’Est, altri virus neurotropi, i cui serbatoi sono sia uccelli che animali, ed in particolare equinidi. Virus simili sono l’ O’nyong-nyong virus ed il Sindbis virus.

Ciclo vitale:
Diverse sono le specie di zanzare coinvolte nella trasmissione nella diffusione e nel mantenimento del virus chikungunya (CHIKV) in natura. I vettori specifici sono la Aedes, aegypti e polynesiensis, nelle epidemie urbane con principale serbatoio umano. La Aedes albopictus, conosciuta in Europa come ‘zanzara tigre’, presente in Oriente, ma anche nelle aree temperate del vecchio continente e degli USA, mantiene i livelli di trasmissione. La zanzara Culex, presente nel bacino del mediterraneo, ha dimostrato capacità di infettarsi e trasmettere il virus. In Africa, in particolare nelle savane e nelle aree silvestri, Aedes africanus ed artropodi del genere Mansonia sono responsabili della trasmissione. In ambiente rurale e delle savane i serbatoi prevalenti sono costituiti da scimmie (babbuini) e circopitechi, oltre che altri piccoli mammiferi e roditori. Per questo motivo la malattia si mantiene e si diffonde.
La trasmissione verticale (da zanzara madre alla larvac/ figlia) del virus Chikungunya è presente e dimostrata in Aedes  aegypti, africanus ed altri…, anche per altri virus quali dengue o Zika, e questo è uno dei motivi del mantenimento della trasmissione della malattia nei territori coinvolti. Ma la trasmissione verticale non è stata dimostrata in Aedes albopictus, nel bacino del mediterraneo, e questo costituirebbe un altro motivo di difficoltà di attecchimento del virus nei territori europei. Quindi la competenza vettoriale di Aedes albopictus è fortemente ridotta e l’efficacia di trasmissione difficoltosa, fino ad oggi.

La vita della zanzara è stimata tra 15 e 30 giorni. Il tempo di replicazione del virus nelle ghiandole salivari della zanzara è di circa 10 giorni. Questi dati confermano la possibilità dello sviluppo di una popolazione di zanzare infette in un ambiente favorevole. Inoltre bisogna tener presente che le uova di Aedes albopictus possono sopravvivere disseccate per molti mesi, anche in ambienti secchi e freddi. Una volta inoculato il virus dalla zanzara all’uomo, e passata la barriera cutanea e dermica indenne, la viremia, la presenza del virus nel sangue, dura tra i 3 ed i 10 giorni, periodo immediatamente precedente l’inizio dei sintomi, fino al 5 giorno in cui il paziente è sintomatico. Durante questo periodo la zanzara ha possibilità di contagiarsi ed innescare nuovamente il processo.

Porta d’ingresso:
Gli Alphavirus e tra questi diversi Togavirus (Chikungunya) sono diffusi in tutto il mondo tropicale, equatoriale ed anche, per il surriscaldamento del pianeta, come era stato previsto da decenni, in molte parti dei paesi temperati, sempre più caldi. Sono considerate antropo zoonosi, presenti in diversi animali, in grado di causare malattie anche all’uomo. La causa dei contagi e quindi delle infezioni da Alfavirus sono alcuni artropodi, che diventano vettori, vettori, soprattutto zanzare del genere Aedes, ma anche Culex. Anopheles non può contagiarsi con questo microrganismo. Il virus non si trasmette da persona a persona con i normali contatti di vita quotidiana, né per via aerea o rapporto sessuale. Comunque non si può escludere in modo assoluto la possibilità di un contagio interumano (per via aerea, per contatto con fluidi organici…) specialmente tra soggetti che restano in prolungato contatto con malati. Possibile ma difficile la trasmissione attraverso le trasfusioni.

Modalità di infezione:
Gli artropodi, ed in particolare le zanzare, si contagiano con i virus cibandosi ed ingerendo, piccolissime quantità di sangue infettato dal virus. Durante la viremia, presenza di virus nel sangue, in soggetti sani o malati, i virus ingeriti, si moltiplicano nei tessuti della zanzara, ed in particolare nelle “ghiandole salivari”. Occorre sottolineare, per motivo epidemiologico, che nella maggior parte dei casi gli animali, ma anche l’uomo appaiono sani e non malati, anche leggermente. Molti gli esempi di portatori di virus (serbatoiy) sia negli uccelli, che nei mammiferi. Si ribadisce che l’uomo, portatore sano, che non manifesta i sintomi, può infettare una zanzara che punge, in fase di viremia.
Una volta che un vertebrato, uccello o mammifero, viene morso da una zanzara infetta, questa attraverso la sua saliva, inietta il virus, nel derma e da qui, attraverso le cellule endoteliali dei capillari, nel flusso sanguigno, causando la “viremia” (presenza del virus nel sangue). In questa prima fase le difese naturali della cute e del derma, con i loro sistemi immuni e le reazioni infiammatorie, possono neutralizzare, come avviene nella maggior parte degli individui punti, il virus inoculato, ed il contagio e l’infezione non avviene. In questo caso possono essere rilevati movimenti immunitari tramite diagnostica sierologica. (ma l’infezione non è avvenuta).
Questa è una delle motivazioni per cui il virus, presente sporadicamente (in pochi individui portatori del microrganismo), difficilmente può attecchire in altri individui presenti nel territorio in modo stabile (autoctoni) e che non hanno mai avuto il contatto con il virus. Per innescare un focolaio epidemico e diffondere la malattia, occorre la presenza di molti serbatoi (individui o animali) infetti e di zanzare che ripetutamente pungono il serbatoio. Evento veramente eccezionale. E’ più verosimile che si presentino casi di malattia sporadica che non l’innesco di un fenomeno che si eradica sul territorio.
Talvolta quindi compare la malattia, che si manifesta ad episodi singoli nei territori dove la malattia non esiste. Nel singolo individuo la comparsa delle malattie da Alphaviridae, e tra queste Chikungunya, trova nel sistema immunitario di superficie ( cutaneo – dermico) ed in quello profondo, un sistema di sicurezza importante. Nell’immunità specifica, indotta dai virus sono coinvolti Linfociti di tipo T, cellule di tipo B con formazione di anticorpi neutralizzanti. Vengono innescati i processi infiammatori di protezione tissutale, e si attiva anche la produzione di interferone.

Distribuzione:
Il virus della “Chikungunya” è stato descritto la prima volta nel 1952 in Tanzania, nelle savane al confine con il Kenya ed in diversi villaggi sulle coste del lago Vittoria e nell’entroterra. Le prime segnalazione cliniche di febbri “spaccaossa” risalgono al 1779, in Indonesia dove venne descritta un’epidemia di febbri dolorose forse attribuibile allo stesso agente virale. Dagli anni ‘50 diverse epidemie di Chikungunya si sono verificate in Asia ed Africa. A partire dal 2005, sono stati riportati ampi focolai nell’area dell’Oceano Indiano (India, Malaysia, La Reunion, Madagascar, Indonesia, Mauritius, Mayotte, Seychelles). In tutte queste aree, comprese le isole dell’Oceano Indiano, il virus trova il suo habitat ideale. In molte aree orientali africane e da qualche anno in molti paesi dell’America Latina, questa malattia coesiste con la dengue ed i sintomi delle due malattie si sovrappongono. Molto spesso non è facile fare la diagnosi differenziale fra le due malattie. L’incidenza di “Chikungunya” è sicuramente  sottostimata sia per i casi lievi e paucisintomatici che si presentano e non vengono diagnosticati, sia per la diffusione mediante l’alta percentuale di portatori sani del virus. Nei paesi dell’area tropicale ed equatoriale la diagnosi è prevalentemente clinica e non di laboratorio per mancanza dei kit. Nei sistemi sanitari di questi paesi è quasi impossibile la conferma con test di laboratorio, e difficilmente viene  eseguita la diagnosi clinica. Per i tropicalisti che lavorano e conoscono i sistemi clinici è facile capire come, in questi paesi, tutte le malattie vengono classificate come malaria e tifo. Le altre ipotesi di patologie, soprattutto virali, non vengono prese in considerazione. Dove il virus circola, durante le epidemie, il virus può infettare da un terzo a quattro quinti dell’intera popolazione, con drammatiche conseguenze sullo stato fisico di interi cluster di abitanti.   A fine 2013 la prima epidemia di Chikungunya, riportata in America Latina, in alcune isole Caraibiche. Dalla fine del 2014 oltre un milione di casi sono stati riportati in diversi paesi Caraibici, dell’America Centrale e del Sud. Il virus continua a circolare e sono spesso coinvolti anche viaggiatori che provengono da aree temperate.

 

Casi di Chikungunya nel mondo al 30 Ottobre 2020.  CDC- YELLOW BOOK, 2020

A partire da marzo del 2005, a La Rèunion e in altre zone dell’Oceano Indiano è scoppiata un’importante epidemia di Chikungunya. A distanza di un anno (17 marzo 2006), l’Organizzazione mondiale della sanità ha stimato circa 204.000 persone infettate a La Rèunion, pari a circa un terzo della popolazione totale (705.000 abitanti). In India, tra febbraio e ottobre 2006, l’epidemia di Chikungunya ha coinvolto 8 stati o province: i casi sospetti arrivano fino a 1,25 milioni. Dal 2013 al 2016 i casi si sono moltiplicati e diffusi a macchia d’olio. Si calcola che diverse centinaia di milioni di individui siano stati affetti dal virus e mantengano la presenza di virus nel sangue.

In Europa prevalentemente la zanzara tigre (Aedes albopictus), vettore dell’infezione, è ampiamente diffusa in particolare nelle aree rivierasche del mediterraneo. Il numero di casi segnalati in Europa al 13 giugno 2006 è stato rispettivamente di: 307 casi in Francia, 17 casi in Germania, 12 casi in Belgio, 9 casi nel regno Unito, 1 caso in Norvegia, 1 caso nella Repubblica Ceca. In Italia sono stati confermati, alla stessa data, 11 casi in pazienti che avevano viaggiato in paesi endemici. Oltre a questi pazienti, che avevano acquisito l’infezione all’estero, in Francia è stato segnalato un probabile caso autoctono. Si trattava di un infermiere che aveva assistito un paziente con chikungunya, acquisendo probabilmente l’infezione attraverso esposizione accidentale al sangue, durante la fase viremica.
In Europa, la possibilità di trasmettere l’infezione da parte della zanzare tigre, dipende da caratteristiche climatiche, di densità di popolazione suscettibile e densità dei flussi migratori, data da persone asintomatiche o sintomatiche che hanno contratto la malattia in altri luoghi. Importanti aspetti da analizzare sono costituiti dallo stato d’interazione ospite/vettore, dati dallo stato immunitario dell’ospite, dalla concentrazione di virus nel sangue dell’ospite, da precedenti infezioni da ceppi virali diversi. In molti Paesi europei (Francia, Germania, Norvegia, Svizzera) la febbre Chikungunya è stata diagnosticata a viaggiatori provenienti da aree epidemiche, ma la trasmissione in loco da parte delle zanzare non era mai stata riportata. Il rischio, al momento attuale, è comunque considerato limitato a piccole aree, soprattutto nelle nazioni dell’Europa meridionale, tra cui l’Italia, ossia l’Europa mediterranea.

In Italia nella seconda metà di agosto 2007, la regione Emilia Romagna ha notificato un focolaio epidemico di casi d’infezione virale, trasmessa da insetti, nella provincia di Ravenna. E’ stato poi tempestivamente confermato che i casi sono stati causati da infezione da virus Chikungunya. I casi riportati al 4 settembre 2007 sono in totale 197. Di questi, 166 rientrano completamente nei criteri di definizione di caso: 147 provengono dal focolaio iniziale che si è verificato nell’area di Castiglione di Cervia e Castiglione di Ravenna, due piccole cittadine separate da un fiume, mentre 19 da cluster secondari nelle periferie di Cesena (13 casi) e Cervia (6 casi). Sul fronte dei casi confermati di laboratorio, al 14 settembre risultano 101 casi positivi, 33 negativi e 133 in attesa di esito. 2 casi di malattia sono stati inoltre segnalati, tempestivamente, dalla Regione Lombardia, in soggetti che avevano soggiornato nelle suddette aree. Inoltre, il virus Chikungunya è stato ritrovato nella zanzara Aedes albopictus.
Nell’Agosto 2017 sono stati segnalati e denunciati tre casi accertati di Chikungunya nel comune di Anzio, in provincia di Roma. Sono state trovate alcune zanzare infette, ed i focolai sono stati immediatamente bonificati. Il focolaio sembra essere costituito da casi sporadici.

Incubazione:
Il periodo di incubazione da vai 3 ai 10 giorni, in media 4-6 giorni. La malattia ha un andamento tipicamente bifasico.

Sintomi:
Nella prima fase della malattia manifesta, che dura dai 6 ai 10 giorni, si presentano febbre generalmente elevata, cefalea persistente e importanti artralgie e dolori muscolari, che limitano molto i movimenti. Il dolore diffuso e l’infiammazione delle articolazioni rendono i pazienti immobili, in posizione antalgica. La febbre si risolve dopo 3-7 giorni dall’esordio.

Nella seconda fase della malattia, di 2-3 giorni, si presenta sporadicamente la comparsa di un esantema maculopapulare pruriginoso su tutto il corpo ed un secondo picco febbrile.
Sintomi aggravanti il quadro clinico: (1) Occasionalmente in questa fase possono aversi manifestazioni neurologiche, soprattutto nei bimbi piccoli (convulsioni), ma nel complesso il virus è poco o per nulla neurotropo. (2) Raramente si assiste al manifestarsi di miocarditi e scompenso cardiaco acuto secondario. (3) Le rare complicanze emorragiche si registrano soprattutto nelle epidemie asiatiche, ma non sono mai gravi come nella dengue: possono comparire petecchie, ma mai importanti sanguinamenti. (4) Le complicanze più gravi sono rappresentate dalla meningoencefalite e dallo shock settico da coagulazione vasale disseminata.
La Chikungunya è generalmente a decorso benigno, si autolimita, la mortalità è bassa (0.4%), ma può essere fatale, particolarmente in soggetti anziani con sottostanti patologie di base (pazienti oncologici, trapiantati, pazienti affetti da malattie croniche quali broncopneumopatia cronica ostruttiva, cardiopatie, diabete).
La malattia si risolve spontaneamente, ma i dolori articolari possono persistere per mesi. E’ essenziale un trattamento di supporto per il dolore e per la riduzione della infiammazione. La reidratazione, possibilmente infusiva con supporti di sostegno. L’utilizzo di antinfiammatori e di glutatione si è dimostrato utile per accelerare la fase di ripresa. Non sono state identificate terapie antivirali efficaci.

Controllo e prevenzione:
Per ridurre il possibile rischio di contrarre la “febbre da virus Chikungunya”, come altre malattie trasmesse da artropodi, sia i viaggiatori, ma anche la popolazione che vive in aree del mediterraneo, divenute a rischio malattia per la presenza di insetti vettori e di serbatoi umani, portatori del virus, occorre ridurre l’esposizione alle punture d’insetti, applicando, per quanto possibile, tutte le misure comportamentali comunemente indicate in questi casi. L’attività degli insetti vettori del genere Aedes è generalmente presente durante tutto il giorno, ma più intensa nella fascia oraria pomeridiana e verso l’alba. Per quanto possibile, ma difficile soprattutto in corso di viaggio, è opportuno:

• indossare abiti di colore chiaro (i colori scuri ed accesi attirano gli insetti), con maniche lunghe e pantaloni lunghi, che coprano la maggior parte del corpo; e passare spray sui vestiti;
• evitare l’uso di profumi che possono attirare gli insetti;
• alloggiare in stanze dotate di impianto di condizionamento d’aria o in mancanza di questo, di zanzariere alle finestre, curando che queste siano tenute in ordine e siano chiuse;
• usare zanzariere sopra il letto, rimboccandone i margini sotto il materasso, verificandone le condizioni e controllando che non ci siano zanzare all’interno di esse. E’ utile impregnare le zanzariere con insetticidi a base di permetrina;
• utilizzare gli zampironi, presenti in commercio oppure spruzzare insetticidi a base di piretro o di permetrina nelle stanze di soggiorno o utilizzare diffusori di insetticida operanti a corrente elettrica (in tal caso bisogna informarsi del voltaggio della corrente elettrica utilizzata dal Paese in cui si soggiorna, per poter eventualmente disporre l’acquisto di adattatori o di batterie). E’ necessario, comunque, attenersi scrupolosamente alle norme indicate sui foglietti illustrativi dei prodotti repellenti, non utilizzarli sulle mucose o su regioni cutanee lese e porre particolare attenzione al loro utilizzo sui bambini.
· reti alle finestre o zanzariere nelle stanze in cui si soggiorna (meglio se impregnate con insetticidi)
· utilizzare repellenti sulle parti del corpo che rimangono scoperte, tenendo presente che il sudore ne riduce l’effetto.

UTILIZZO DI OLIO DI “NEEM COMPOSITUM” formulazione umana a base di “Azadirachta indica” e “Corymbia citriodora” per la protezione dalla puntura delle zanzare.
E’ un prodotto multiuso, naturale, sicuro, efficace, da utilizzare anche sui neonati, bambini, donne in gravidanza, soggetti iper reattivi, estratto dal frutto dell’albero di NEEM, utilizzabile anche in coloro che desiderano evitare prodotti chimici. Ha mostrato grande efficacia come repellente dalle punture degli insetti in generale, ed in modo particolare nei confronti delle punture delle zanzare. Questo prodotto è efficace anche nei confronti delle zecche. Nella formulazione per i viaggiatori questo olio, con l’ aggiunta di “essenze” quali “corymbria citrodora”, che ne potenzia l’efficacia e che ne migliora la fragranza e l’odore, possiede un utilizzo “multiplo”, nei confronti di parassiti e microbi, ed anche nelle ustioni.

Utilizzo durante i viaggi

  • rimedio contro insetti di vari tipi, antizanzare, api e vespe, zecche
    rimedio per parassiti della pelle e capelli (scabbia, pidocchi, pulci) ed azione antisettica contro batteri, funghi e virus);
    protezione e rivitalizzazione cutanea,  protezione dei capelli; anti ustione, anti eritema solare;
  • PREVENZIONE DA PUNTURE DI INSETTI ED IN PARTICOLARE DA ZANZARA
    • ha una azione preventiva per le punture di tutti gli insetti ma in particolare per le punture di zanzara; allontana le zecche
    • ha una forte uso: applicare sulle parti scoperte del volto, braccia e gambe, al bisogno in particolare nelle ore pomeridiane o notturne. Applicare sulla zona infiammata dalle punture per azione lenitiva ed antinfiammatoria.
  • PREVENZIONE PARASSITI CUTANEI E CUOIO CAPELLUTO
    • Azione anti parassitaria cutanea (scabbia, pidocchi, pulci ed altre),uccide i parassiti e toglie ponfi ed infiammazione;
      uso: applicare sulle parti attaccate dai parassiti, sulle zone infiammate per le punture, sui capelli in presenza di pidocchi, anche con lo shampoo.
    • Azione antisettica contro i batteri e funghi e virus presenti nelle acque utilizzate per docce, bagni, lavaggio del corpo. Azione protettiva cutanea e parti intime; molto utile nelle lavande ginecologiche (candida e batteri);
      uso: in aggiunta a bagnoschiuma e shampoo (1 -2 gocce), prodotto idrosolubile;
  •  AZIONE PROTETTIVA CUTANEA,  SOLARE ed ANTI USTIONE
    • Azione protettiva e rivitalizzante cutanea da agenti atmosferici (vento, sabbia, polvere, altitudine, sole)
    • Azione anti eritema solare ed antinfiammatorio dopo le esposizioni al sole;
      uso: una piccola quantità in aggiunta alle  creme solari; da passare dopo l’esposizione al sole come azione rinfrescante ed emolliente; da applicare sulle aree infiammate da eritema solare;
    • Azione anti USTIONE: azione efficace ed immediata sulle ustioni da calore (olio, acqua, fuoco);
      uso: da applicare immediatamente e continuare l’applicazione per 10 minuti; continuare ad applicare fino alla cessazione dei sintomi.

E’ possibile richiedere informazioni sul prodotto inviando una mail a seg.cesmet@gmail.com (con telefono, indirizzo) o telefonando alla segreteria del CESMET 06-39030481.

Nonostante i casi importati in Europa, non ci sono evidenze che indichino di limitare scambi commerciali e viaggi in queste zone, considerando il numero limitato dei casi importati e la non severità del quadro clinico. Tuttavia categorie particolari come le donne in gravidanza e le persone con malattie croniche o scarse difese immunitarie dovrebbero chiedere consigli al proprio medico sull’opportunità di intraprendere un viaggio in una zona endemica per chikungunya.
La Chikungunya è tipicamente una malattia associata a viaggi, come altre malattie da artropodi. Tuttavia, poiché Aedes albopictus è presente anche in Europa e in Italia, è importante monitorare la presenza di casi sul territorio nazionale, per identificare tempestivamente, oltre i possibili casi importati, eventuali casi di trasmissione autoctona.
Non esiste allo stato un vaccino specifico nei confronti del viurus Chikungunya.

Trattamento:
Per il momento non esistono antivirali specifici ed efficaci per il trattamento contro il virus della febbre Chikungunya. Quindi il virus non può essere attaccato direttamente, ma viene lentamente eliminato dalle difese naturali messe in campo dall’organismo.
Perciò la terapia è prettamente sintomatica, ossia vengono somministrati farmaci contro i sintomi acuti e cronici. L’ utilizzo di farmaci sintomatici (antipiretici, antiinfiammatori, detossificanti) è l’unica azione che può essere efficace ed aiutare il paziente per ridurre lentamente il forte stato di malessere e di dolore. L’esperienza ci dice che il riposo a letto è fondamentale per accelerare la ripresa. Una azione terapeutica importante consiste nella infusione di liquidi. Opportune infondere soluzione fisiologica ed anche reintegro di sali e lattato. Nella pratica clinica abbiamo da tempo osservato che infondere i farmaci con abbondanti liquidi favorisce e velocizza la diminuzione di febbre e dolore, e soprattutto aiuta la ripresa energetica dell’organismo.
Nelle aree endemiche e nelle zone dove si manifestano anche piccole epidemie o casi sporadici, tutte le persone affette da febbre da virus della Chikungunya dovrebbero essere protette da punture degli insetti vettori, ossia dalle zanzare, per evitare che questi ultimi possano propagare l’infezione..

Diagnosi:
I metodi per la diagnosi  possono essere sierologici o molecolari.
Non esistono, al momento attuale, kit commerciali per diagnosi di febbre Chikungunya e l’allestimento dei test sierologici deve avvenire in un laboratorio a livello di biosicurezza 3 (BSL 3) dal momento che è necessario coltivare il virus.

  • Saggi sierologici I test utilizzati per la diagnosi sierologica sono l’inibizione dell’emoagglutinazione (HI) e la neutralizzazione. Questi test misurano il titolo anticorpale, ma non permettono di differenziare gli anticorpi di tipo IgG da quelli di tipo IgM (indice di una infezione recente). Per effettuare diagnosi con questi test è dunque necessario disporre di due campioni di siero, uno prelevato in fase acuta ed uno prelevato in fase convalescente. Tecniche come l’ELISA o l’Immunofluorescenza (IFA) consentono di distinguere le classi di anticorpi e di definire un profilo anticorpale sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, permettendo di effettuare diagnosi anche in quei casi nei quali sia disponibile un solo campione di siero.
  • Metodi molecolari Real time PCR, RT-PCR, Nested-PCR: sul sangue del paziente può essere eseguita la ricerca dell’acido nucleico virale, mediante l’utilizzo di primer specifici che individuino una regione conservata del genoma virale. Tali tecniche sono necessariamente allestite con reagenti preparati in laboratorio, data la mancanza di kit commerciali, e necessitano di una standardizzazione del metodo.

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Dengue – Scheda malattia

Descrizione

Negli ultimi decenni la Dengue si è imposta come emergenza di sanità pubblica soprattutto in America Centrale e Meridionale. Il vettore primario per questa malattia è una zanzara che si è espansa in tutti i tropici e in zone urbane dove gli abitanti sono molto suscettibili all’infezione. Il processo di urbanizzazione, che ha lasciato molta gente senza acqua, fognature e sistemi di recupero dei rifiuti, ha favorito la formazione di nuovi siti dove il vettore può insediarsi, velocizzando in questo modo l’espandersi dell’infezione. Anche il controllo costante e meccanico dell’epidemia non ha aiutato a fermare la sua avanzata.

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Diagnosi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Stato della ricerca

Agente infettivo

Virus appartenente alla famiglia dei Flaviviridae. Ci sono quattro principali sierotipi molto simili tra loro: DEN-1, DEN-2, DEN-3, and DEN-4.

Ciclo vitale

L’infezione è trasmessa agli esseri umani dalle punture di zanzare che hanno, a loro volta, punto una persona infetta. Non si ha quindi contagio diretto tra esseri umani, anche se l’uomo è il principale ospite del virus.

Il virus circola nel sangue della persona infetta per 2-7 giorni, e in questo periodo la zanzara può prelevarlo e trasmetterlo ad altri. Il virione entra nel circolo sanguigno dell’ospite dove viene assorbito o va a legarsi alle membrane cellulari dell’ospite stesso. Sebbene il recettore al quale si legano dia luogo ad endocitosi, il virione comunque rimane momentaneamente bloccato nella cellula ospite all’interno di una vescicola.

Le membrane della cellula ospite sono associate a glicoproteine che contengono una regione che media la fusione fra la membrana cellulare e l’involucro esterno del virione. Questa fusione avviene in ambiente acido. Una volta avvenuta la fusione il virus perde il rivestimento esterno e comincia la traduzione del suo genoma. Si ha quindi la produzione di proteine virali fra il reticolo endoplasmatico e l’apparato del Golgi dove eventualmente le membrane cominciano a riavvolgere il genoma virale dando luogo alla moltiplicazione virale. I virioni si accumulano quindi nelle cellule dell’ospite. Lo step finale del ciclo vitale si ha con la fusione delle vescicole contenenti i virioni con le membrane delle cellule plasmatiche. A questo punto le particelle sono rilasciate e libere di infettare altre cellule.

Distribuzione

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la dengue causa circa 50 milioni di casi ogni anno in tutto il mondo, la maggior parte dei quali si verifica nei continenti del sud del mondo, in particolare nelle zone tropicali e subtropicali. La prevalenza della malattia è drammaticamente aumentata negli ultimi anni e la dengue è oggi endemica in più di 100 Paesi del sud del mondo tra le Americhe, il sud est asiatico, le isole del pacifico occidentale, l’Africa e il mediterraneo occidentale (vedi mappa che segue). Oggi l’Oms stima che i due quinti della popolazione mondiale sia a rischio di dengue.

Nell’Unione Europea la febbre dengue normalmente non si verifica e, soprattutto, nell’Europa continentale non esistono le condizioni per un’ulteriore diffusione della malattia a partire dai pazienti che ritornano dopo aver acquisito l’infezione all’estero. Dal 1999, il Network europeo per la sorveglianza delle malattie infettive da importazione (TropNetEurop) ha riportato 1.117 casi di dengue fra i viaggiatori europei. Nella maggior parte dei casi, le infezioni sono state contratte, nell’ordine, in India, in Thailandia, in Indonesia, in Messico e in Brasile. Secondo il documento dell’Ecdc “Dengue Ferver: Short epidemiological update, 2009”, tra gennaio e giugno 2009 sono stati riportati nelle Americhe un totale di 480.909 casi di dengue, compresi 7.547 casi di febbre emorragica da dengue, con 189 decessi; il 91% di questi casi è stato segnalato in Argentina, Bolivia, Brasile e Colombia.

Porta di ingresso

Cute, mediante la puntura delle zanzare.

Trasmissione

Il virus viene trasmesso attraverso la puntura di diversi tipi di zanzare del genere Stegomyia che si nutrono durante il giorno. Il vettore principale è la Aedes aegypti. Una volta infetta, la zanzara rimane tale per tutta la vita. L’uomo infetto ha il virus che circola nel proprio sangue, la zanzara quindi, nutrendosi del sangue infetto, rimane infettata a sua volta.L’uomo funge quindi da ospite amplificatore dell’infezione ma anche alcune scimmie possono fungere da fonte dell’infezione. Le zanzare femmine possono oltretutto trasmettere l’infezione alle generazioni successive.

Incubazione

Da  1/2 giorni a 15 giorni per la Dengue,esordio improvviso per le febbre emorragica a dengue.

Sintomi

La febbre da Dengue si presenta come una influenza con varie caratteristiche. Molto spesso i bambini la manifestano come una influenza con semplici reazioni cutanee. Gli adolescenti e gli adulti possono avere febbre più leggera, ma frequentemente la malattia si presenta con febbre alta, mal di testa, dolore agli occhi, dolore alle articolazioni e ai muscoli con reazioni cutanee.

Generalmente, se viene contratto un sierotipo di infezione, l’individuo si immunizza a questo sierotipo. Contraendo una infezione da differente sierotipo, viene ad aumentare notevolmente la probabilità che venga ad essere contratta la febbre emorragica da Dengue (DHF), che è una infezione molto seria e potenzialmente fatale. La DHF è caratterizzata da febbre alta, fenomeni emorragici, ingrossamento del fegato e collasso del sistema circolatorio. Un rapido inizio di febbre è la prima indicazione di sospetta DHF, accompagnata da arrossamenti facciali. La febbre persiste per 2-7 giorni e può raggiungere i 41° C seguita da convulsioni febbrili e fenomeni emorragici. Se il paziente viene ricoverato, si può avere una diminuzione dei sintomi, ma se la malattia non viene curata, il paziente può subire uno shock (DSS) con pulsazioni rapide e lente, seguite da segni di collasso circolatorio che si presentano con pelle fredda ed echimosi. Senza un adeguato trattamento il paziente può morire in 12-24 ore.Il tasso di letalità della febbre emorragica dengue varia dal 6 al 30%; la maggior parte dei decessi si verifica nei neonati < 1 anno.

Diagnosi

Solitamente effettuata su base clinica, ma può essere confusa con la febbre da zecche del Colorado, con il tifo, con la febbre gialla e con altre febbri emorragiche. Si può tentare di eseguire una diagnosi sierologica con un test di inibizione dell’emoagglutinazione e di fissazione del complemento su coppie di sieri ma è resa difficile da reazioni crociate con altri flavivirus. L’OMS ha formulato ha formulato criteri clinici per la diagnosi della febbre emorragica dengue, che è considerata un ‘emergenza medica: esordio acuto di febbre alta e continua che dura per 2-7 gg, manifestazioni emorragiche, incluso almeno un test della pinza emostatica e almeno uno dei seguenti sintomi e segni: petecchie, porpora, ecchimosi, gengive sanguinanti, ematemesi o melena; epatomegalia; trombocitopenia ( 100000/ml); o emoconcentrazione (Htc aumentati del  20%). I pazienti affetti da sindrome da shock da dengue presentano anche un polso rapido e debole con l’abbassamento della pressione ( 20 mm Hg) o ipotensione con cute fredda e umida e stato di agitazione.

Controllo e prevenzione

Non c’è un trattamento specifico per la febbre da Dengue, ma una sorveglianza medica attenta salva la vita a molti pazienti. Al giorno d’oggi, l’unico modo per controllare la Dengue e la DHF è quello di combattere la presenza della zanzara vettore utilizzando metodi di controllo di tipo chimico o ripulendo le zone dove il vettore potrebbe annidarsi. Ci sono molte campagne in questo senso, che sensibilizzano la popolazione a ripulire l’ambiente circostante le proprie case da gomme di automobili, bottiglie, lattine e altri oggetti nei quali l’acqua può ristagnare formando un habitat adatto per la zanzara. Le larve sono trattate mediante l’utilizzo di insetticidi.Dato che le zanzare sono più attive nelle prime ore del mattino, è particolarmente importante utilizzare le protezioni in questa parte della giornata.

Trattamento

La terapia della dengue è sintomatica: importante è il riposo assoluto a letto, l’uso di farmaci antipiretici e la somministrazione di liquidi per combattere la disidratazione; nella maggior parte dei casi le persone guariscono completamente in due settimane. La malattia può svilupparsi sotto forma di febbre emorragica con gravi emorragie in diverse parti del corpo che possono causare veri e propri collassi e, in rari casi, risultare fatali.Lo sviluppo di un vaccino contro la Dengue e la DHF è molto difficile perché ognuno dei quattro diversi virus può causare infezione e anche perché la protezione contro uno o due virus del Dengue possono incrementare il rischio di contrarre infezione più severe. Sono stati comunque fatti progressi nello sviluppo di un vaccino che può proteggere contro tutti e quattro i virus. Questo vaccino dovrebbe essere disponibile entro alcuni anni.

Stato della ricerca

Si sta cercando di ottenere una zanzara del tipo Aedes modificata, in grado di essere resistente all’infezione virale in questione. Gli scienziati dell’Università della California di Irvine e i colleghi britannici di Oxford hanno messo a punto un nuovo ceppo di zanzare, in cui le femmine non possono volare, finendo così con il morire rapidamente allo stato selvatico. I maschi del ceppo possono volare, ma non mordono, dunque non trasmettono le malattie.

Quando le zanzare geneticamente modificate di sesso maschile si accoppiano con le femmine selvatiche e trasmettono i loro geni, le femmine della prossima generazione non saranno in grado di volare. Gli scienziati stimano che, se rilasciata la nuova razza potrebbe reprimere la popolazione della zanzara in sei – nove mesi. Inoltre, questo approccio potrebbe essere adattato anche per altre specie di zanzare, come quelle che propagano malattie come la malaria e la febbre del Nilo Occidentale. Anche l’Italia farà parte del progetto di sperimentazione durante il prossimo inverno.Si stanno facendo degli studi sulla patogenesi nell’infezione da Dengue dell’ospite, facendo degli studi anche sulla storia dell’individuo e la delineazione dei caratteri dei gruppi più ad alto rischio. Ancora si stanno facendo ricerche sulle dinamiche di trasmissione e sulla genetica delle popolazioni colpite.

Si stanno ancora delineando e migliorando le linee guida per il trattamento della Dengue e la DHF.

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Epatite A – Vaccinazione

Aggiornato a  Agosto 2019 

Chiedi la consulenza con i medici infettivologi del centro per una maggiore conoscenza della vaccinazione e per conoscere la situazione sanitaria della destinazione del tuo viaggio.Proteggiti anche per la tua vita quotidiana in Italia dove i focolai di Epatite A (alimentare) sono sempre pià diffusi e frequenti. La malattia è diffusa nella maggior parte dei paesi del Mediterraneo. La sempre più diffusione del pesce crudo, in particolare SUSHI ed altri alimenti orientali, hanno diffuso questa malattia in molte città italiane.
Per maggiori informazioni consulta anche la Scheda Malattia.

 

La vaccinazione non è obbligatoria per regolamento internazionale dell’OMS. Nessun paese richiede prova di vaccinazione contro l’epatite A quale condizione per entrare nel proprio territorio. Dopo anni di forte diminuzione di incidenza della malattia, è una di quelle forme infettive, a contagio alimentare, diffusasi in molti paesi. I paesi rivieraschi del mediterraneo hanno visto nell’ultimo anno un incremento di casi. E’ consigliata a tutti i viaggiatori che si recano nelle zone di endemia del virus, in particolare in paesi tropicali, subtropicali e del bacino del Mediterraneo ed est europeo. La vaccinazione è consigliata alla popolazione di ogni età per proteggersi dalla contaminazione derivata da alimenti infetti.

Composizione del vaccino attualmente utilizzato:
Virus inattivato dell’Epatite A (prodotto su cellule diploidi umane MRC-5, adsorbito su alluminio idrossifosfato solfato).
Una dose (0,5 ml) contiene  25U di virus dell’Epatite A (inattivati) adsorbito su  alluminio idrossifosfato solfato (0,225 milligrammi come alluminio). Gli altri eccipienti sono: sodio borato, sodio cloruro e acqua per preparazioni iniettabili

 

Indicazioni:
Raccomandata per i viaggiatori che si recano in zone ad alto rischio dell’Italia centro Meridionale, nei paesi del Mediterraneo ed in tutti i paesi del mondo, in particolare nell’Est Europa e nei paesi della fascia Tropicale  ed Equatoriale.
E’ da noi raccomandata anche al personale sanitario, agli addetti alla manipolazione di alimenti, ai lkavoratori della ristorazione ed ai soggetti che vivono in comunità chiuse, ed alle categorie con deficit immunitaro.
Limite minimo di età per la somministrazione: 3 mesi

Consigliata:
Per viaggi in tutti i paesi del mondo, ed in particolare per i viaggiatori i cui itinerari comprendono aree ad alta endemia per epatite A quali Africa, Asia, Bacino del Mediterraneo, Est Europa, Medio Oriente, Sud e Centro America;Per i Militari che per motivi professionali possono viaggiare e lavorare in aree ad alta endemicità o in zone le cui condizioni igieniche carenti possono aumentare notevolmente il rischio di infezione;
Personale delle ONG e Volontario soggetti ad esposizione durante il lavoro in Italia ed in ogni parte del mondo;
Personale  sanitario in genere e particolarmente gli addetti ai reparti di gastroenterologia e pediatria e malattie infettive, personale di asili/nidi di infanzia, personale addetto alla manipolazione degli alimenti, personale addetto allo smaltimento dei liquami.
Soggetti ad aumentato rischio dovuto a comportamenti sessuali: soggetti omosessuali, soggetti con numerosi partner sessuali. Soggetti che abusano di droghe iniettabili. Per micro contaminazione fecale e diminuzione della forza immunitaria;
Soggetti emofilici, Soggetti che vivono a contatto con persone infette per diffusione virale prolungata nel tempo, sempre da micro contaminazione fecale;
Soggetti a rischio per alimentazione a rischio quale SUSHI ed altri alimenti crudi; in aree ad elevata morbidità e/o in corso di focolai epidemici di epatite A;
Soggetti con malattie epatiche croniche o a rischio di sviluppare malattie epatiche croniche (ad esempio portatori sani di epatite B, epatite C e alcolisti), in quanto una sovrapposta infezione da virus dell’epatite A tende ad aggravare tali patologie.

Efficacia:
95 %; Efficacia già dopo la prima dose. Dopo 72/96 ore comparsa degli anticorpi neutralizzanti.  Effetto booster (richiami) per ottenere la durata di 10 anni. Consigliato il richiamo a 10 anni. Il vaccino non protegge da infezioni causate da virus dell’epatite B, C, E, o da altri agenti infettivi patogeni per il fegato.

Modalità di somministrazione:
somministrato per via intramuscolare nella regione deltoidea negli  adulti e bambini sopra 5 anni di età.

Effetti collaterali:
I piu’ comuni:
– Reazione locale con dolore in meno del 20% dei casi
– Occasionalmente febbre (meno del 5% dei casi)
– arrossamento e tumefazione nella sede di inoculazione.

Controindicazioni:
sotto il 3° mese di vita

Calendario:
non obbligatoria in Italia nelle vaccinazioni dell’infanzia.

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