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Malattie

Lariam, una vecchia arma per la prevenzione e la cura della malaria

 

Lariam:  un farmaco “gold standard” negli anni ottanta per la terapia e la profilassi della malaria, meno negli anni novanta, per poi diventare sempre meno efficace per la resistenza del Plasmodio della malaria. Presso la “Clinica del Viaggiatore Cesmet”: consulenze di prevenzione e profilassi;  al rientro esami di laboratorio specialistici e visite tropicali. Chiama 0639030481 o scrivi ad  [email protected]

ll LARIAM 250 mg (MEFLOCHINA) è un medicinale antimalarico da oltre 40 anni sulla scena della prevenzione e della cura della malaria. E’ stato utile ed efficace fin dai primi tempi per la terapia verso le forme anche gravi di malaria da Pl. Falciparum, e per la profilassi della malaria, negli anni in cui la resistenza dei plasmodi alla clorochina aumentava in modo esponenziale. Un vero e proprio “gold standard”.  Prima controindicato nelle donne in gravidanza, dagli anni ’90 è diventato il farmaco da utilizzare in corso di gestazione. Poi dalla metà degli anni ’90, anno dopo anno è iniziata una inarrestabile crescita della resistenza dei plasmodi anche a questo farmaco. Allontanato prima dall’utilizzo in terapia, è stato via via sostituito per la prevenzione dal malarone (atovaquone) e dalla doxiciclina. Attualmente si preferisce evitarne la somministrazione, non solo per gli effetti collaterali alla somministrazione ma soprattutto per la sua provata inefficacia.
Più volte segnalato per i suoi effetti collaterali sul sistema nervoso, fortemente irritativo e talvolta neurotossico, è da sempre controindicato nei soggetti neurodistonici e con problematiche neuropsichiatriche.  Va evitata la somministrazione nei soggetti ansiosi e in chi deve effettuare immersioni o salire in altezza, per possibili crisi vertiginose. Non utilizzabile per gli equipaggi degli aerei. Gravi effetti collaterali anche per i cardiopatici e soprattutto nei soggetti aritmici.
Il suo punto di forza è sempre stato la somministrazione di una compressa una volta a settimana Un’altra caratteristica positiva il suo utilizzo in gravidanza.

Storia e Sintesi e Caratteristiche del Lariam
Meflochina è la denominazione del principio attivo che lo costituisce. Si tratta di 4-aminochinolina chimicamente analoga alla clorochina. La clorochina è il famosissimo prodotto di sintesi della Bayer, risalente a prima della guerra mondiale. La clorochina è stata utilizzata con successo sia nella nella cura che nella profilassi della malaria da Pl. Falciparum fino alla metà degli anni ’80. Chi scrive ricorda bene quanto fosse ancora efficace nella terapia anche di forme gravi di malaria all’inizio del proprio percorso professionale alla fine degli anni ’70, e come era diffusa nella maggior parte dei paesi africani l’utilizzo di un farmaco ancora efficace e a basso costo.
Dalla metà degli anni ’80 la clorochina perse d’efficacia e fu sostituita dal farmaco a base di Meflochina. Quest’ultima sostanza è stata sintetizzata presso il Walter Reed Army Institute of Research (WRAIR) nel 1970 poco dopo la fine della guerra del Vietnam. Data la preoccupante resistenza dimostrata alla fine degli anni ’60, in Estremo Oriente venne avvertita la necessità di trovare nuovi farmaci che fossero più efficaci e prontamente utilizzabili nella profilassi e nella terapia della malaria. In particolare la resistenza al farmaco si sviluppò in Vietnam, Cambogia e Laos, per l’utilizzo del farmaco su larga scala da parte delle truppe americane. Pertanto presso l’Istituto di Ricerca Militare Americano venne effettuata una vasta indagine indirizzata all’individuazione del nuovo farmaco.
Alla Meflochina fu assegnato il numero 142.490 su un totale di 250.000 antimalarici presi in considerazione nel corso dello studio e che al termine risultò il prescelto. Venne commercializzata sia per la profilassi, che per la terapia della malaria da Pl. Falciparum, comunemente la più grave. È da tener conto che negli studi iniziali, considerati scientificamente attendibili, ci furono delle lacune ed approssimazioni per quanto riguarda la raccolta di dati degli effetti collaterali e/o tossici del farmaco. Il primo studio randomizzato e controllato su una popolazione mista è stato infatti effettuato la prima volta nel 2001. In questo studio circa il 67% dei soggetti trattati riferì almeno un evento avverso, con il 6% degli utenti che dovettero segnalare eventi gravi con esplicita necessità di intervento medico. Alcuni trials nel 1990 e primi anni 2000 ebbero modo di verificare una certa prevalenza della neurotossicità della meflochina e significative potenzialità di effetti collaterali neuropsichiatrici.
Metabolismo e Nozioni farmacologiche
La meflochina da un punto di vista chimico è una “4-aminochinolina”. L’assunzione in coincidenza dei pasti ne aumenta la velocità e l’entità dell’assorbimento e di conseguenza la biodisponibilità, anche fino al 40%. Meflochina è metabolizzata principalmente attraverso il fegato. La sua eliminazione in un paziente epatopatico, cioè con una funzione epatica compromessa può essere prolungata, causando livelli plasmatici più elevati e un aumento del rischio di reazioni avverse. L’emivita media della meflochina nel plasma è piuttosto lunga ed è compresa tra due e quattro settimane. La clearance totale avviene attraverso il fegato, e il mezzo principale di escrezione è rappresentato dalla bile e dalle feci, mentre solamente una quantità compresa tra il 4% e il 9% viene escreto attraverso le urine. L’uso a lungo termine non ne varia l’emivita plasmatica. Comunque per verificare tempestivamente l’insorgere di un’eventuale tossicità epatica è necessario praticare test di funzione epatica con regolarità mensile durante la somministrazione a lungo termine di meflochina. L’uso di bevande alcoliche deve essere evitato durante il trattamento con meflochina.

Farmacocinetica
Meflochina è una molecola chirale, cioè speculare, con due centri di carbonio asimmetrici, il che significa che ha quattro stereoisomeri differenti. Il farmaco è attualmente prodotto e venduto come “racemato degli enantiomeri (R, S)- ed (S, R)-“ da Hoffman-LaRoche. In sostanza, si tratta di due farmaci in uno. Esiste come miscela racemica di quattro isomeri ottici con potenza antimalarica analoga. La meflochina differisce dagli alcaloidi della cincona per la diversa sostituzione sull’anello chinolinico, per la presenza di un anello piperidinico al posto di quello chinuclidinico e per l’assenza del gruppo vinile. Le concentrazioni plasmatiche dell’ (-)-enantiomero sono significativamente più elevate rispetto a quelle dell’ (+)-enantiomero, e anche la farmacocinetica dei due enantiomeri è significativamente differente. L'(+)-enantiomero ha un’emivita più breve dell’ (-)-enantiomero.
Secondo alcune ricerche, l’(+)-enantiomero è più efficace nel trattamento della malaria, mentre l'(-)-enantiomero si lega specificamente ai recettori dell’adenosina nel sistema nervoso centrale, il che può spiegare alcuni dei suoi effetti psicotropi. Non è noto se per la meflochina si può verificare uno switching stereoisomerico in vivo. Altri studiosi ricorrono, per spiegare il meccanismo neurotossico della meflochina, ad un blocco dei meccanismi di efflusso del calcio dalle cellule, che determinerebbe un esaurimento neuronale. Meccanismo d’azione della meflochina Il meccanismo d’azione, anche se non del tutto chiarito, sembra risiedere nell’induzione del rigonfiamento dei lisosomi del parassita, che non sembra in grado di intercalare il DNA . Anche se non inibisce l’eme-polimerasi, lega l’eme, formando dei composti tossici in grado di alterare le membrane dei parassiti e di interagire con altri componenti del plasmodio. È uno “schizonticida ematico” contro P.falciparum e P.vivax. Non è attivo sui gametocidi di P.falciparum e sulla fase epatica di P.vivax.

Uso in terapia e profilassi
Il Lariam-meflochina è venduto sotto forma di compresse da 250 mg. Si poteva assumere sia per la profilassi che per il trattamento della malaria (anni 80/90). In funzione profilattica la dose da assumere è di una compressa da 250 mg a settimana, in coincidenza di un pasto principale, a partire da una o due settimane prima della partenza verso una zona malarica, per tutta la durata del soggiorno naturalmente e fino a quattro settimane dall’uscita dall’area a rischio malarico, in modo da coprire tutto il periodo di incubazione della malaria. L’inizio della profilassi con largo anticipo serve a controllare l’insorgenza di eventuali effetti collaterali, causati dalla meflochina stessa. A tale proposito si deve rammentare la possibilità dell’interferenza della contemporanea assunzione di meflochina con la vaccinazione orale anti tifoidea che può essere inattivata e risultare non efficace. Per cui il consiglio è di vaccinarsi con debito anticipo prima dell’inizio della profilassi con meflochina.
Sempre nel passato, nel caso si dovesse utilizzare per il trattamento di una malaria appena diagnosticata, la dose è di tre compresse il primo giorno, due dopo sei-otto ore, e una infine dopo il medesimo intervallo, se il peso del paziente è superiore a 60 Kg. La dose terapeutica totale è di 20-25 mg/kg raccomandata in caso di viaggio in zona endemica. Una dose più bassa, equivalente a 15 mg/kg, può essere sufficiente in individui parzialmente immuni, cioè persone cresciute in zona malarica e che quindi hanno sviluppato a contatto con il parassita una sorta di protezione, però labile, nei suoi confronti. Quindi la dose totale di meflochina per gli adulti e per i bambini occidentalizzati, che si accingono a fare un viaggio in zona malarica, di peso superiore a 45 kg, è di 1250-1500 mg (es. 5-6 compresse in tutto di Lariam).
Peso corporeo Pazienti viaggiatori
Inferiore a 20 Kg                                    1/4 compressa /2,5-3 Kg
Tra 20 e 30 Kg                                        2-3 compresse
Tra 31 e 45 Kg                                         3-4 compresse
Tra 46 e 60 Kg                                        5 compresse
Oltre 60 Kg                                             6 compresse

Effetti collaterali
Un effetto collaterale molto frequente della somministrazione della meflochina e che può anche rappresentare un sintomo della malaria è il vomito. Se si manifesta a distanza di meno di mezz’ora dall’assunzione del farmaco per via orale è necessario ridare l’intera dose. Se questo avviene a distanza di 30-60 minuti allora se ne somministra metà dose. Non è sempre garantita l’efficacia, come è noto quando si parla di profilassi, per cui se la terapia con meflochina non risulta efficace in un dato paziente e la sintomatologia della malaria perdura, si deve ricorrere al trattamento con altri farmaci antimalarici. Il chinino o l’alofantrina, potrebbero risultare scarsamente attivi, non solo nel caso che la meflochina sia stata precedentemente adoperata come terapia, ma anche se lo è stata a scopo profilattico. E si potrebbero verificare effetti tossici. Una scelta ottimale può risultare la terapia di associazione con doxiciciclina e/o artemisina o derivati, con l’aggiunta o meno di piperachina.
Insieme al vomito sono molto frequenti, costituendo i sintomi di maggiore probabilità, i disturbi a carico della sfera digestiva, con nausea, vomito, intolleranza gastrica, che spesso si aggiungono alle vertigini. Tali disturbi, se presenti e lo sono generalmente in un numero rilevante di casi, risultano particolarmente fastidiosi in situazione di viaggio in località esotiche, in quanto aggiungono il disagio della infermità, sia pure momentanea, a quello legato agli spostamenti, magari per via aerea, con la tendenza a facilitare le sindromi a tipo cinetosi e vertiginose in genere, in una poco tollerabile sovrapposizione di sintomi.
Effetti tossici
L’uso in gravidanza dopo un periodo di esclusione fu autorizzato per studi attendibili che indicarono la mancanza di effetti teratogenici del prodotto.
L’uso della meflochina è stato associato a due grandi categorie di disturbi neurologici:
1. disturbi del sistema nervoso centrale e periferico fra cui mal di testa, capogiri, vertigini e convulsioni
2. eventi psichiatrici tra cui insonnia, ansia, disturbi della sfera affettiva e dissociazione mentale di grado molto rilevante.
È ben noto che le interruzioni prolungate nell’efflusso di calcio dai neuroni può determinare compromissione della funzione neuronale e morte cellulare. La riduzione nella funzione o la perdita di neuroni in regioni specifiche del cervello potrebbero manifestarsi con dei sintomi specifici in pazienti trattati con meflochina. Per esempio, la vertigine riportata da molti pazienti, e che forse è uno dei sintomi maggiormente riportati, potrebbe essere attribuibile alla sofferenza neuronale nel cervelletto inferiore, mentre i sintomi di paura/ansia potrebbero sorgere in conseguenza della sofferenza di neuroni nell’amigdala. La neurotossicità da meflochina indotta nel sistema limbico potrebbe essere responsabile per i disturbi segnalati nell’emozione. Comunque i disturbi riportati con maggiore frequenza sono quelli del sonno con insonnia ed alterazione dei sogni, ad esempio incubi. Meno frequentemente sono riportati stato di agitazione, di irrequietezza, di ansia, per converso stati di depressione ed alterazione in vario senso dell’umore, con attacchi di panico, con stato confusionale, con sindromi allucinatorie e stati di aggressività, fino ad arrivare in rari casi a vere e proprie psicosi a sfondo paranoide. Ci sono stati altrettanto rari casi di tentativi di suicidio, ma non è certa la correlazione con il farmaco in oggetto.
La meflochina come altre 4-aminochinoline è suscettibile di produrre un allungamento del Q-T, a causa dell’azione sui canali del potassio a livello del muscolo cardiaco. Per cui grande attenzione va rivolta all’uso in pazienti con precedenti di cardiopatie e/o di aritmie o sotto farmaci antiaritmici. Tali effetti cardiologici tendono poi ad accumularsi in stretta adiacenza dell’avvenuta assunzione di altri farmaci antimalarici, come l’alofantrina e/o il chinino. È consigliabile monitorare la funzione elettrica del cuore con ECG in corso di trattamento con tali farmaci.

Conclusioni
La meflochina, sia per gli effetti collaterali frequenti e talvolta importanti, ma soprattutto per l’elevata e diffusa resistenza del parassita al farmaco è da considerare farmaco non più efficace e poco sicuro, ormai desueto. Teoricamente il farmaco potrebbe in futuro rientrare in gioco se si realizzasse l’estrazione della forma (+)- enantiomerica che come abbiamo visto è più efficace e non tossica dell’attuale. Bisognerebbe trovare un sistema di superare il problema della resistenza, e allora potremo avere un’arma in più a disposizione contro una malattia potenzialmente letale. Sono stati pubblicati dei lavori che illustrano la possibilità di produrre un farmaco purificato in questo modo, da parte del WRAIR.
Inoltre nel giugno 2010 è stata segnalato un lusinghiero successo nel trattamento con meflochina della leuco encefalopatia multifocale progressiva, una malattia anche questa potenzialmente letale, causata da un virus, il JCV, che si associa a stati di immunodepressione grave, ad esempio l’AIDS, ma anche malattie ematiche e trattamenti con farmaci antiblastici.
Tutte note a favore ma per il momento per la profilassi per la malaria è meglio non utilizzare questo farmaco.

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Dengue – Scheda malattia


Introduzione e Descrizione

Negli ultimi decenni la “Febbre da virus Dengue” si è imposta come emergenza di sanità pubblica nella maggior parte dei paesi tropicali. In Africa si è diffusa in modo particolare negli ultimi venti anni, in Asia ed in particolare in America Centrale e Meridionale è una malattia endemica con epidemie diffuse. Il “vettore primario” per questa malattia è una zanzara, la Aedes, che  è diffusa nella maggior parte dei paesi equatoriali e tropicali, e si sviluppa in particolare nelle zone urbane dove gli abitanti sono molto suscettibili all’infezione. Il processo di urbanizzazione  selvaggia degli ultimi trenta anni ha lasciato, in molti paesi depressi, la popolazione con sistemi fognari a cielo aperto, con discariche inserite nel tessuto urbano, con sistemi per la raccolta delle  acque non controllati e con dispersioni di altissime percentuali. Tutto questo ha favorito la formazione di ambienti favorevoli all’insediamento ed alla crescita del vettore, velocizzando in questo modo la diffusione dell’infezione.

La febbre da virus dengue può mostrarsi in diversi modi. Da una infezione asintomatica ad una malattia lieve fino a forme gravi e mortali. Studi epidemiologici stimano che 1 infezione su 4 persone infettate manifestino sintomi. Oltre il 70% si infetta in modo asintomatico. Generalmente in chi manifesta la malattia i sintomi si manifestano in modo acuto da lievi a moderati ed aspecifici.
Quattro sono i tipi di virus della Dengue. Ogni tipo induce una immunità specifica verso il proprio ceppo, di lunga durata, ma che non copre gli altri tipi. Quindi le persone possono essere infettate dal virus della dengue fino a quattro volte.
Le forme gravi e talvolta mortali di malattia incorrono in circa 1 paziente su 20.La seconda infezione da DENV è un fattore di rischio per la dengue grave.
Classificazione della DEHGUE secondo OMS (pubblicate nel novembre 2009.

La febbre da virus dengue è classificata in (1) dengue o (2) dengue grave;

(1) dengue è definita, in una persona febbrile che ha viaggiato o vive in un’area endemica, da una combinazione di 2 o più dei seguenti segni o sintomi. Tra i sintomi: la nausea, il vomito, eruzioni cutanee, dolori, un test del laccio emostatico positivo, la leucopenia. Tra i segni: dolore o dolorabilità addominale, il vomito persistente, l’accumulo di liquidi, il sanguinamento della mucosa, la letargia, l’irrequietezza e epato e splenomegalia.

(2) dengue grave è definita con uno qualsiasi dei seguenti sintomi: una grave perdita di sangue che porta a shock, l’accumulo di liquidi con distress respiratorio; un grave sanguinamento; una grave insufficienza epatica con transaminasi ad oltre ≥1.000 UI/L, alterazione della coscienza, una insufficienza cardiaca.
Questa classificazione sostituisce la precedente in uso dal 1975 al 2009 classificate come (1) febbre da dengue; (2) febbre emorragica dengue (DHF); (3) sindrome da shock dengue – la forma più grave di DHF.


Agente Infettivo e Ciclo Vitale

VIRUS DELLA DENGUE

Il virus della “febbre da Dengue” appartiene alla famiglia dei Flaviviridae ed ha quattro principali sierotipi simili tra loro:
DEN-1, DEN-2, DEN-3, and DEN-4.                  Questi sierotipi del virus hanno un genoma ad RNA.
Fanno parte della “famiglia dei Flavivirus” altri virus causa di febbri emorragiche presenti prevalentemente in aree tropicali  quali: la febbre gialla; l’encefalite di Saint-Louis (america del nord); l’encefalite giapponese; West Nile virus; .
Tutte queste malattie sono trasmesse da artropodi, soprattutto da diversi tipi zanzare e da zecche degli animali, e questi virus causa di queste malattie sono anche denominati Arbovirus ossia “arthropod borne virus” – virus trasmesso da artropodi.

I Flavivirus sono virus con genoma ad RNA a singolo filamento positivo appartenenti alla famiglia Flaviviridae. La struttura di questi virus è formata da alcune molecole proteiche più esterne che formano il “pericapside”; molecole proteiche più interne che formano il ”capside”; ed una sola molecola ad RNA, con un senso di lettura 3′ – 5′.

I “VIRIONI” della DENGUE sono di forma sferica, dotati di un “PERICAPSIDE” della dimensione di 50 nm. Questo  ricopre un “NUCLEOCAPSIDE” della dimensione di 30 nm di diametro.
[A] “capside virale”: composto da tre proteine strutturali: (1) proteine di rivestimento esterno (E); (2) proteine del capside (C);          (3) proteine di membrana interna (M);
Le glicoproteine E, envelope esterno, svolgono un ruolo centrale nella biologia delle infezioni. Costituiscono il legame del virus con la superficie cellulare e favoriscono la penetrazione nella cellula bersaglio. Questa proteina esterna (E) è il “bersaglio” della risposta immunitaria dell’organismo ospite. La proteina E è costituita da 500 aminoacidi con tre “domini antigenici”.

Le 90 glicoproteine dimeriche (E) sono coinvolte nell’attacco e nella penetrazione nella cellula. Sono disposte parallelamente alla superficie del virione, formando una struttura “a spina di pesce” a simmetria icosaedrica. Questa struttura è stata sudiata nel VIRUS della DENGUE  tipo 2, nell’ WNVirus nel virus dell’encefalite trasmessa da zecche. La conferma di questa struttura è arrivata dalle immagini ottenute con la microscopia crioelettronica.

La proteina interna del capside ( C ) è una proteina strutturale ed ha la funzione di assemblare insieme le parti del virione.
I virioni del virus DENGUE si assemblano nel citoplasma cellulare, via via che vengono prodotte le proteine dai ribosomi delle cellule ospiti e, migrando verso la periferia della cellula, vengono liberati all’esterno per un processo di “gemmazione” della membrana cellulare.

Il genoma del virus della Dengue contiene 11.000 paia di basi e la sua funzione è quella di passare l’informazione per codificare (realizzare) 3 proteine strutturali esterne e 7 proteine non strutturali ma funzionali per la replicazione virale: (a) tre proteine che costituiscono la struttura esterna del virus, il virione, ossia il “cappotto / corpo del virus”,
Le proteine sono denominate(C; prM; E);  (B) sette diverse proteine che vengono prodotte e rilasciate nella cellula ospite (umana) e consentono la replicazione e la moltiplicazione dei virus (figli) (NS1, NS2a, NS2b, NS3, NS4a, NS4b, NS5)

Il virus DENGUE esiste in cinque diversi sierotipi, denominati DENV-1, DENV-2, DENV-3, DENV-4 e DENV-5.
Ognuno dei diversi tipi di virus dengue può causare la malattia febbrile con sintomi acuti, causati da una risposta infiammatoria dell’organismo, spesso abnorme ed anche pericolosa per l’organismo stesso. 

Il “virus della febbre da virus dengue” è caratterizzato da due trasmissioni con differenti caratteristiche:
[A] La “trasmissione / diffusione silvestre”, ossia in ambiente rupestre, di savana e di foresta, utilizzando vettori, in questo caso zanzare denominate AEDES, che succhiano sangue di “primati”, in questo caso di scimmie. Si ritrovano nelle foreste del Sud-est asiatico, dell’Africa e della America Latina. Nelle aree rurali delle aree tropicali la trasmissione avviene solitamente tramite puntura da parte di Aedes Aegypti e altri tipi tra i quali Aedes albopictus denominata anche zanzara tigre dalle caratteristiche zampe a strisce di tigre. “Aedes Albopictus” è la zanzara che si è anche diffusa in Europa, ed in particolare nel bacino del mediterraneo.
[B] La “trasmissione cittadina” avviene tramite Aedes aegypti. Il ciclo vitale del vettore nelle aree urbane è caratterizzato da trasmissione “interumana”. L’ospite è l’uomo, che viene punto dalla zanzara, che trasmette il virus ad un altro individuo. La crescita incontrollata delle città, con ambienti favorevoli alla riproduzione delle zanzare, nelle aree endemiche per la dengue ha portato a un aumento esponenziale delle epidemie e della quantità di virus circolante. I cambiamenti climatici, con l’innalzamento delle temperature e dell’umidità, e il diffondersi di aree acquitrinose, hanno permesso la diffusione anche in zone originariamente risparmiate, in particolare nelle aree rivierasche dei paesi mediterranei, ma sempre più anche nelle aree interne e continentali. Queste condizioni hanno permesso ormai la diffusione di Aedes in molte zone d’Europa, con l’insorgenza di piccoli focolai, anche autoctoni di febbre da Flavivirus, ed in particolare casi di Dengue. e potrebbe, in futuro, rappresentare una minaccia per l’Europa.

L’infezione di un sierotipo causa una malattia simile agli altri, ma conferisce una immunità specifica per il sierotipo, a vita, ma non protegge dall’attacco degli altri sierotipi, che possono indurre una malattia simile, e indurranno un ulteriore immunità specifica solo per il sierotipo in questione. Per questo meccanismo di protezione immunitaria sierospecifica, ci si può infettare di DENGUE solamente 4 volte. Ma le reinfezioni possono essere pericolose per reazione immune ed infiammatoria abnorme. 
E’ noto che la forma severa, pericolosa e particolarmente acuta, dovuta ad una risposta immune abnorme avviene in caso di infezione secondaria in individui che prima hanno avuto infezione da DENV-1 e che in seguito vengono infettati da DENV-2 o DENV-3. Una altra reazione particolarmente grave può avvenire in persone infettate prima da DENV-3 e poi reinfettate con DENV-2.

Le zanzare trasmettono con la loro puntura il virus agli esseri umani dopo che hanno punto una persona infetta, infettandosi. La trasmissione non è quindi diretta uomo – uomo, ma sempre attraverso la puntura di un vettore.

Il virus entra nel circolo, depositato dalla zanzara, che lo inocula nel microcircolo del sottocutaneo.  Circola per 2-7 giorni ed è in questo periodo che un’altra zanzara, pungendo l’uomo infetto, può prelevarlo e trasmetterlo ad altri soggetti. Il “virione con genoma a RNA” entra nel microcircolo viene assorbito e va a legarsi alle membrane delle cellule endoteliali dell’ospite stesso. Sebbene il recettore al quale si legano dia luogo ad endocitosi, il virione comunque rimane momentaneamente bloccato nella cellula ospite all’interno di una vescicola.

Le membrane della cellula ospite sono associate a glicoproteine che contengono una regione che media la fusione fra la membrana cellulare e l’involucro esterno del virione. Questa fusione avviene in ambiente acido. Una volta avvenuta la fusione il virus perde il rivestimento esterno e comincia la traduzione del suo genoma. Si ha quindi la produzione di proteine virali fra il reticolo endoplasmatico e l’apparato del Golgi dove eventualmente le membrane cominciano a riavvolgere il genoma virale dando luogo alla moltiplicazione virale. I virioni si accumulano quindi nelle cellule dell’ospite. Lo step finale del ciclo vitale si ha con la fusione delle vescicole contenenti i virioni con le membrane delle cellule plasmatiche. A questo punto le particelle sono rilasciate e libere di infettare altre cellule.

Trasmissione – Porta di ingresso – Incubazione

I Flavivirus in genere, ed il virus della Dengue in particolare, vengono trasmessi attraverso la puntura di diversi tipi di zanzare. Il vettore principale per la Dengue è la zanzara del tipo Aedes Aegypti. Anche A. Albopictus, che si è diffusa in Europa negli ultimi decenni, può trasmettere il virus.  Questo tipo di zanzara si nutre di sangue umano prevalentemente di giorno, ma questa non è una regola fissa. Troviamo zanzare del tipo Aedes attive anche durante il crepuscolo e la notte. Aedes, durante il pasto, punge individui, alcuni dei quali possono essere infetti del virus in questione. La zanzara, quindi, si infetta, e può rimanere infetta tutta la vita, diventando la causa di molteplici infezioni. Ogni esemplare vive dalle 2 alle 4 settimane, pungendo ed ovideponendo numerose volte. La zanzara può infettare un individuo per ogni puntura.  E’ oramai accertato che le zanzare femmine possono trasmettere l’infezione alle generazioni successive. Difatti può passare il genoma virale alle larve amplificando il numero di zanzare adulte infette.
L’uomo diventa quindi l’ospite con cui infettarsi o da infettare. L’uomo funge quindi da ospite amplificatore della diffusione del virus. Anche alcuni tipi di scimmie possono essere infettate dalla puntura della zanzara Aedes e a sua volta infettare scimmie e uomini.

La zanzara del genere Aedes è uno dei pochi vettori che utilizza non solamente le raccolte di acqua per la crescita delle larve, ma anche un ambiente umido e questa caratteristica moltiplica in modo esponenziale la crescita e la diffusione di questo tipo di zanzare.

La porta di ingresso dei Flavivirus, ed in particolare dei virus della Dengue è la CUTE. Il virus penetra insieme alla saliva dell’insetto. Nel sottocute e nel derma circostante all’inoculo i leucociti accorsi per difendere l’organismo da un nemico esterno, vengono attaccati. Il virus aderisce alla loro parete e penetra al loro interno, riproducendosi velocemente. In particolare il virus dengue aderisce allele cellule di Langerhans, cellule dendritiche, dalla forma a stella, che sono abbondanti nella cute, sotto cute e derma ed anche in alcune mucose. Hanno la funzione di attivare ed amplificare il sistema difensivo chiamando altri tipi di globuli bianchi con i loro segnali chimici. I Flavivirus (Dengue) entrano in questi tipi di globuli bianche attraverso il processo di endocitosi mediato dal contatto e interazione tra proteine virali e proteine specifiche presenti nella membrana cellullare. Queste proteine sono la lectina DC-SIGN, la CLEC5A ed il complesso proteico che forma il recettore per il mannosio. Questa interazione tra proteine virali e proteine della cellula di Langerhans o di altri GB quali monociti e macrofagi,  consente l’entrata nella cellula stessa. Il virus comincia a replicare all’interno della cellula all’interno di microvescicole adese al sistema reticolo endoplasmatico.  Qui il genoma virale ad RNA viene copiato attraverso l’attivazione dei ribosomi, e comincia la produzione delle che verranno assemblate nell’apparato di Golgi cellulare dove avviene la maturazione e la costituzione dei nuovi virioni che escono dalla cellula mediante il processo di esocitosi. Questi leucociti infetti si spostano verso i linfonodi più vicini.

Le membrane della cellula ospite sono associate a glicoproteine che contengono una regione che media la fusione fra la membrana cellulare e l’involucro esterno del virione. Questa fusione avviene in ambiente acido. Una volta avvenuta la fusione il virus perde il rivestimento esterno e comincia la traduzione del suo genoma. Si ha quindi la produzione di proteine virali fra il reticolo endoplasmatico e l’apparato del Golgi dove eventualmente le membrane cominciano a riavvolgere il genoma virale dando luogo alla moltiplicazione virale. I virioni si accumulano quindi nelle cellule dell’ospite. Lo step finale del ciclo vitale si ha con la fusione delle vescicole contenenti i virioni con le membrane delle cellule plasmatiche. A questo punto le particelle sono rilasciate e libere di infettare altre cellule.

I leucociti infetti producono interferone e altri fattori e molecole scatenanti diversi processi che inducono aumento della temperatura (febbre), dolore, brividi e sudorazione ed altri sintomi simil-influenzali.
Il sistema immunitario produce tra le diverse molecole gli interferoni molecole particolarmente attive nella difesa da infezioni virali. I sierotipi di dengue virus hanno la capacità di diminuire o neutralizzare l’efficacia dell’interferone. Sempre gli interferoni attivano i linfociti T contro i virus, ed anche i linfociti B che inducono la produzione di anticorpi contro gli antigeni virali. Alcuni tipi di virus Dengue riescono ad eludere questi meccanismi di attacco delle cellule difensive. I virus vengono trasportati lontano dai lisosomi del fagocita, evitano la distruzione e continuano a replicare.

Infezioni particolarmente gravi e con elevata presenza di virus coinvolgono anche il fegato il midollo osseo, causando lesione delle cellule del parenchima ma anche dell’endotelio dei vasi capillari. La replicazione del virus nelle cellule del midollo osseo altera i processi di emopoiesi. A causa di una alterazione del processo di maturazione delle cellule ematiche, diminuiscono in quantità e funzionalità le piastrine, causando piastrinopenia, più o meno accentuata, responsabile delle emorragie tipiche della dengue.

Sempre per effetto di alcuni meccanismi che esitano in lesioni cellulari da parte dei virus, in particolare a livello dell’endotelio vascolare, con aumento della permeabilità vascolare, passato il rapido periodo febbrile tipico dei primi giorni, si può verificare un versamento pleurico (accumulo di liquidi nel torace) o la presenza di ascite nell’addome. L’esito è una diminuzione dei liquidi intravascolari con ipovolemia e scarsa perfusione degli organi vitali.

Le manifestazioni di Dengue Grave, con shock o febbre emorragica si presentano in meno del 5% dei pazienti ed in particolare in coloro che sono infettati una seconda volta da un diverso sierotipo del dengue virus.

Incubazione

L’incubazione della malattia varia da 2 a 15 giorni con un esordio che generalmente è improvviso, acuto o iperacuto.

Distribuzione

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la dengue causa circa 50 milioni di casi ogni anno in tutto il mondo, la maggior parte dei quali si verifica nei continenti del sud del mondo, in particolare nelle zone tropicali e subtropicali. La prevalenza della malattia è drammaticamente aumentata negli ultimi anni e la dengue è oggi endemica in più di 100 Paesi del sud del mondo tra le Americhe, il sud est asiatico, le isole del pacifico occidentale, l’Africa e il mediterraneo occidentale (vedi mappa che segue). Oggi l’Oms stima che i due quinti della popolazione mondiale sia a rischio di dengue.

Nell’Unione Europea la febbre dengue normalmente non si verifica e, soprattutto, nell’Europa continentale non esistono le condizioni per un’ulteriore diffusione della malattia a partire dai pazienti che ritornano dopo aver acquisito l’infezione all’estero. Dal 1999, il Network europeo per la sorveglianza delle malattie infettive da importazione (TropNetEurop) ha riportato 1.117 casi di dengue fra i viaggiatori europei. Nella maggior parte dei casi, le infezioni sono state contratte, nell’ordine, in India, in Thailandia, in Indonesia, in Messico e in Brasile. Secondo il documento dell’Ecdc “Dengue Ferver: Short epidemiological update, 2009”, tra gennaio e giugno 2009 sono stati riportati nelle Americhe un totale di 480.909 casi di dengue, compresi 7.547 casi di febbre emorragica da dengue, con 189 decessi; il 91% di questi casi è stato segnalato in Argentina, Bolivia, Brasile e Colombia.

 

Sintomi

 

Fase febbrile acuta iniziale

La “febbre da Dengue” si presenta con una sintomatologia acuta, generalmente violenta, dalle caratteristiche simil-influenzali. La malattia nei bambini si può manifestare con caratteristiche simili ad una influenza forte con presenza di roseole e reazioni cutanee. Gli adolescenti e gli adulti, rispetto ai bambini, presentano sintomi più leggeri con febbre più contenuta. La malattia si manifesta con sintomi caratteristici quali rialzo di temperatura elevato, mal di testa, dolore agli occhi, dolore anche importante alle articolazioni e ai muscoli. Talvolta manifestazioni eritematose esantematiche cutanee.

Febbre emorragica da Dengue DHF

La persona che si infetta con un sierotipo, per la prima volta, si immunizza verso questo sierotipo e difficilmente ammala una seconda volta. Ma se la stessa persona contrae una infezione con un sierotipo differente, è elevata la possibilità di una manifestazione di “febbre emorragica da Dengue (DHF)”. Questa forma morbosa, causata dall’infezione di un secondo tipo di dengue, differente dal primo, può portare manifestazioni particolarmente acute e talvolta fatali.

La DHF è caratterizzata da febbre acuta ed elevata; dolori generalizzati particolarmente violenti; manifestazioni cutanee caratterizzate da fenomeni emorragici petecchie, ecchimosi, porpora, epistassi, sanguinamento delle gengive, ematuria o risultato positivo del test del laccio emostatico.
Tra gli altri sintomi è frequente l’ingrossamento del fegato e della milza (epato-splenomegalia); collasso del sistema circolatorio.
Caratteristica della malattia la presenza di una febbre in rapida crescita; brividi squassanti e talvolta sudorazione; eritema facciale è l’inizio degli episodi anche di piccole emorragie puntiformi, dovute al crollo delle piastrine. La febbre con picchi fino a 41°C può durare generalmente dai 2 ai 5 giorni. Spesso, soprattutto nei bambini piccoli è accompagnata da convulsioni squassanti.

Senza un adeguato trattamento sintomatico, per il controllo dello stato di shock, il collasso cardio – circolatorio, la diminuzione drastica di piastrine, il paziente può morire in 12-24 ore.
Il tasso di letalità della “febbre emorragica da dengue” a una incidenza talvolta superiore al 30%;
I decessi sono prevalenti nei neonati < 1 anno.

Segnali di avvertimento di aggravamento verso una DHF

Sono da considerare “segnali premonitori” di un peggioramento della febbre da dengue verso una forma grave o da DHF, quei sintomi che si manifestano al termine della fase febbrile (tardiva), durante il periodo della defervescenza della febbre (verso il 5° giorno di sintomi). Il manifestarsi di  vomito persistente, dolore addominale importante, spesso crampiforme, edema diffuso per accumulo di liquidi; sanguinamento delle mucose e una ingravescente difficoltà respiratoria. Tutti questi sintomi in fase tardiva accompagnati talvolta da letargia o irrequietezza, tendenza all shock, ingrossamento rapido del fegato con dolenzia in ipocondrio destro e segni di emoconcentrazione, ossia aumento dell’ematocrito costituiscono elementi di aggravamento e segnali di avvertimento di evoluzione verso gravi forme da DHF.

Fase critica

  • La fase critica della dengue inizia durante la defervescenza della febbre con una durata tra le 24-48 ore.
  • I pazienti al termine della fase febbrile manifestano un miglioramento clinico, ma diversi soggetti, circa il 30%, a causa del un marcato aumento della permeabilità vascolare, a causa di una notevole perdita di plasma, entro poche ore, sviluppare una dengue grave, in evoluzione verso la dengue emorragica.
  • I pazienti con aumento della permeabilità vascolare, e perdita di plasma nelle cavità organiche possono presentare versamenti pleurici, ascite, ipoproteinemia e emoconcentrazione.
  • I pazienti, superata la fase iniziale sembrano manifestare un buono stato di salute, ma compaiono i primi segni di shock. Con l’ipotensione da perdita dei liquidi dal distretto vascolare, l’alta pressione diminuisce rapidamente e può comparire shock irreversibile e morte improvvisa.
  • Un altro evento grave e talvolta mortale Ia comparsa di gravi manifestazioni emorragiche, tra cui sangue nelle feci (ematemesi), feci sanguinolente o menorragia. Peggioramenti dello stato generale possono includere epatite, miocardite, pancreatite ed encefalite da virus Dengue.

Fase di convalescenza

  • La convalescenza inizia con la diminuzione della permeabilità capillare e vascolare. I liquidi intracavitari iniziano ad essere riassorbiti. Diminuisce l’edema sottocutanea, i versamenti pleurici e addominali.
  • Durante la fase di convalescenza si stabilizza lo stato cardio circolatorio, anche se si manifesta spesso una bradicardia reattiva. L’ematocrito del paziente, cresciuto in modo grave in precedenza, si stabilizza e diminuisce per effetto della diluizione del siero dovuta al riassorbimento dei liquidi. I leucociti aumentano nuovamente e le piastrine riequilibrano.
  • L’eruzione cutanea può desquamare ed essere particolarmente pruriginosa.

 TRATTAMENTO

La terapia della “febbre da dengue”:

  • Sintomatica, ovvero attraverso l’utilizzo di farmaci che agiscono sui sintomi prevalenti, e non prevede farmaci eziologici ossia causali (antivirali).
    Il riposo assoluto a letto è essenziale nella fase febbrile per evitare aggravamenti nella fase di defervescenza dai sintomi. Vengono utilizzati antipiretici ed antidolorifici. Importante la somministrazione di liquidi in via infusiva per prevenire i problemi di ipovolemia e shock ed il reintegro degli elettroliti persi. In caso di persistenza febbrile e comunque per evitare l’insorgenza di infezioni batteriche secondarie, in particolare nelle aree di accumulo dei liquidi, può essere opportuno l’utilizzo di antibiotici ad ampio spettro.
  • In caso di crollo della concentrazione di piastrine, si discute da sempre sulla efficacia dei concentrati piastrinici. Anche l’utilizzo di terapia cortisonica che per alcuni può aiutare la ripresa della parte corpuscolata mancante non trova conferme nella pratica clinica. .
    Il superamento della malattia, dopo la prima fase febbrile di 5 giorni, avviene generalmente in due settimane.
  • La sorveglianza medica è essenziale per identificare prematuramente i segni che possono indirizzare alla diagnosi di DHF.
  • Non esistono farmaci antivirali specifici per la cura del virus della dengue.

La terapia di supporto prevede l’utilizzo di farmaci antifebbrili, quale il paracetamolo e antidolorifici, scelti tra i FANS privi di proprietà anticoagulanti. Assolutamente da evitare l’aspirina (acido acetilsalicilico) e tutti i farmaci contenenti acetilati a causa delle loro proprietà anticoagulanti
I pazienti infettati dal virus, febbrili nella fase acuta, dovrebbero adottare criteri preventivi per evitare le punture di zanzare Aedes, che con questo pasto ematico si infettano ed amplificano ad altri individui, l’infezione.

Il modo più efficace, ad oggi, per controllare la Dengue e la DHF è la lotta al vettore, ed in particolare la presenza della zanzara Aedes. Questo controllo avviene attraverso l’utilizzo di repellenti chimici ambientali, ripulendo gli ambienti dove il vettore vive e si moltiplica con campagne anche di sensibilizzazione della popolazione. Attenzione particolare va posta alle gomme di automobili, bottiglie, lattine e altri oggetti luoghi di ristagno di acqua, rendendo l’ambiente favorevole alla zanzara. Le larve sono trattate mediante l’utilizzo di insetticidi.

 

Diagnosi

La prima diagnosi o sospetto diagnostico è sempre clinico. I sintomi possono essere confusi con quelli del tifo esantematico da zecche (Riccketsie); della febbre da zecche del Colorado, della febbre gialla e con altre febbri emorragiche.

Il sospetto clinico per malattia da Dengue virus va considerato in tutti coloro che denunciano sintomi clinicamente compatibili e che vivono o hanno viaggiato nelle 2 settimane prima dell’esordio dei sintomi in aree endemiche per la malattia.

In chi presenta in modo acuto febbre, mal di testa, dolori muscolari e talvolta eruzioni cutanee al rientro da paesi endemici dell’area tropicale e subtropicale, va posto il sospetto diagnostico e prescritti esami per confermare la diagnosi.

Test diagnostici


Test RT-PCR per DENGUE VIRUS o test di amplificazione degli acidi nucleici (NAAT)

Anche per Dengue virus, come per molti altri virus, il test PCR o di “amplificazione degli acidi nucleici” risulta essere il “gold standard per la diagnosi di laboratorio”.

Il siero su cui eseguire la PCR deve essere raccolto nell’individuo dal momento dell’insorgenza dei sintomi fino al 7° giorno dopo l’esordio della malattia.

La conferma della presenza del virus può essere effettuata da un singolo campione di siero rilevando:

  • Le “sequenze genomiche virali” con la metodica rRT-PCR
  • L’ ”antigene virale  della proteina 1 (NS1) non strutturale della capsula esterna del virus con test immunologico.

La positività del test eseguito con le due metodiche è la conferma di laboratorio della malattia da dengue nei pazienti con una storia clinica o di viaggi effettuati in aree endemiche. La positività è presente nei primi 7 giorni di malattia ma può perdurare, soprattutto per la NS1, fino a due settimane.

Test sierologici

 

I test sierologici (o da studio del siero) identificano la presenza di

  • anticorpi del tipo M (IgM) che sono presenti nella prima fase della malattia, dopo 4 / 5 giorni dalla comparsa dei sintomi.
  • Anticorpi del tipo G (IgG), presenti nelle fasi di convalescenza dalla seconda settimana in avanti, non utile per la diagnosi della fase acuta della malattia in quanto rimangono rilevabili per tutta la vita dopo un’infezione da virus dengue.

Quindi in caso di sintomi sospetti e provenienza da zone endemiche il paziente deve essere sottoposto a test molecolare o antigenico (rRT-PCR o NS1) e a test sierologico per la ricerca degli anticorpi (IgM).

Tuttavia, per il fenomeno della reattività crociata con altri flavivirus come Zika, l’interpretazione dei risultati e l’identificazione del virus, causa della malattia, può essere difficile.

La positività delle IgM in un campione di siero dimostra e conferma una recente infezione da virus della dengue per le persone che si sono infettate in luoghi in cui altri flavivirus potenzialmente cross-reattivi (come Zika, West Nile, febbre gialla e virus dell’encefalite giapponese) non sono presenti.

 

Flavivirus cross-reattivi

Nelle persone provenienti o residenti in aree dove sono presenti diversi flavivirus come Zika, West Nile, febbre gialla e virus dell’encefalite giapponese è probabile che i risultati siano falsificati per il fenomeno della cross-reattività. Per questo motivo devono essere eseguiti test diagnostici sia molecolari che sierologici per la dengue per identificare il virus, causa della malattia.

E’ possibile che persone vaccinate contro altri flavivirus (come la febbre gialla o l’encefalite giapponese) possono produrre anticorpi contro il flavivirus con reattività crociata, dando risultati falsi positivi ai test diagnostici, in particolare alla presenza di IgG.

Disponibilità di test di dengue

Presso il Cesmet Clinica del viaggiatore sono disponibili i test diagnostici per la dengue (molecolari e sierologici). Per informazioni scrivi cliccando qui e lasciando i dati richiesti. Oppure telefona al numero +390639030481

Test diagnostici per dengue e campioni

Test diagnostici per dengue e campioni

Test diagnostico ≤ 7 giorni dopo l’esordio dei sintomi >7 giorni dopo l’esordio dei sintomi Tipi di campioni
Test Molecolari Siero, plasma, sangue intero, liquido cerebrospinale*
Rilevamento dell’antigene del virus dengue (NS1) Siero
Test sierologici Siero, liquido cerebrospinale*
Test sui tessuti Tessuto fisso

* Il test del liquido cerebrospinale è raccomandato nei pazienti sospetti con manifestazioni cliniche del sistema nervoso centrale come encefalopatia e meningite asettica.

Fase acuta: Iniziale 1-7 giorni dopo l’esordio dei sintomi

La fase acuta della malattia da virus dengue si sviluppa nei primi 1-7 giorni dopo l’esordio dei sintomi.

Durante questo periodo, il virus della dengue è presente nel sangue o nei fluidi derivati ​​dal sangue come siero o plasma.  L’RNA virale della dengue può essere rilevato con test molecolari. La proteina non strutturale NS1 è una proteina del virus della dengue che può essere rilevata con i test immunocromatografici e in immunofluorescenza.

Un risultato negativo di un test molecolare o NS1 non è definitivo nella diagnosi del virus. Per i pazienti sintomatici durante i primi 1-7 giorni di malattia, qualsiasi campione di siero deve essere testato mediante un test RT-PCR o NS1 e un test degli anticorpi IgM. L’esecuzione di test per anticorpi molecolari e IgM (o anticorpi NS1 e IgM) può rilevare più casi rispetto all’esecuzione di un solo test durante questo periodo di tempo e di solito consente la diagnosi con un singolo campione.

Fase di convalescenza: >7 giorni dopo l’esordio dei sintomi

Il periodo oltre i 7 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi è indicato come la fase di convalescenza della dengue. I pazienti con risultati negativi del test PCR o NS1 e test anticorpali IgM negativi dai primi 7 giorni di malattia devono sottoporsi a un test convalescente per il test degli anticorpi IgM.

Durante la fase di convalescenza, gli anticorpi IgM sono solitamente presenti e possono essere rilevati in modo affidabile da un test degli anticorpi IgM. Gli anticorpi IgM contro il virus della dengue possono rimanere rilevabili per 3 mesi o più dopo l’infezione.

I pazienti che hanno anticorpi IgM contro il virus della dengue rilevati nel loro campione di siero con un test per gli anticorpi IgM e che: 1) hanno un risultato NAAT o NS1 negativo nel campione della fase acuta, o 2) senza un campione della fase acuta, sono classificati come aventi un presunta, recente infezione da virus dengue.

Test per differenziare la dengue da altri flavivirus

Considerazioni speciali:

  • Reattività incrociata: La reattività crociata è una limitazione dei test sierologici per la dengue. I test sierologici per rilevare gli anticorpi contro altri flavivirus come l’encefalite giapponese, l’encefalite di St. Louis, il Nilo occidentale, la febbre gialla e i virus Zika possono reagire in modo incrociato con i virus dengue. Questa limitazione deve essere considerata per i pazienti che vivono o hanno viaggiato in aree in cui co-circolano altri flavivirus. Pertanto, un paziente con altre infezioni da flavivirus recenti o pregresse può essere positivo quando testato per rilevare gli anticorpi IgM contro il virus della dengue. Per determinare con maggiore precisione la causa dell’infezione nei pazienti IgM positivi, i campioni IgM positivi possono essere testati per anticorpi neutralizzanti specifici mediante test di neutralizzazione della riduzione della placca (PRNT) (contro i quattro sierotipi del virus dengue e altri flavivirus; tuttavia,
  • Aree con flavivirus in co-circolazione: per le persone che vivono o viaggiano in un’area con dengue, Zika e altri flavivirus endemici o in circolazione contemporaneamente, i medici dovranno ordinare test appropriati per differenziare al meglio il virus dengue da altri flavivirus e possono consultare lo stato o laboratori di sanità pubblica locale o CDC per l’orientamento.
  • Donne in gravidanza: se la paziente è incinta e sintomatica e vive o ha viaggiato in un’area a rischio di Zikatestare Zika utilizzando NAAT oltre alla dengue.

Interpretazione dei risultati dei test

  • Se un test NAAT o NS1 è positivo per la dengue, viene confermata una diagnosi di dengue in corso.
  • Se il risultato NAAT è negativo e il test per gli anticorpi IgM è positivo, la diagnosi di laboratorio è presunta infezione da virus della dengue.

 

Controllo e prevenzione

Non c’è un trattamento specifico per la febbre da Dengue, ma una sorveglianza medica attenta salva la vita a molti pazienti. Al giorno d’oggi, l’unico modo per controllare la Dengue e la DHF è quello di combattere la presenza della zanzara vettore utilizzando metodi di controllo di tipo chimico o ripulendo le zone dove il vettore potrebbe annidarsi. Ci sono molte campagne in questo senso, che sensibilizzano la popolazione a ripulire l’ambiente circostante le proprie case da gomme di automobili, bottiglie, lattine e altri oggetti nei quali l’acqua può ristagnare formando un habitat adatto per la zanzara. Le larve sono trattate mediante l’utilizzo di insetticidi.Dato che le zanzare sono più attive nelle prime ore del mattino, è particolarmente importante utilizzare le protezioni in questa parte della giornata.

Stato della ricerca

Si sta cercando di ottenere una zanzara del tipo Aedes modificata, in grado di essere resistente all’infezione virale in questione. Gli scienziati dell’Università della California di Irvine e i colleghi britannici di Oxford hanno messo a punto un nuovo ceppo di zanzare, in cui le femmine non possono volare, finendo così con il morire rapidamente allo stato selvatico. I maschi del ceppo possono volare, ma non mordono, dunque non trasmettono le malattie.

Quando le zanzare geneticamente modificate di sesso maschile si accoppiano con le femmine selvatiche e trasmettono i loro geni, le femmine della prossima generazione non saranno in grado di volare. Gli scienziati stimano che, se rilasciata la nuova razza potrebbe reprimere la popolazione della zanzara in sei – nove mesi. Inoltre, questo approccio potrebbe essere adattato anche per altre specie di zanzare, come quelle che propagano malattie come la malaria e la febbre del Nilo Occidentale. Anche l’Italia farà parte del progetto di sperimentazione durante il prossimo inverno.Si stanno facendo degli studi sulla patogenesi nell’infezione da Dengue dell’ospite, facendo degli studi anche sulla storia dell’individuo e la delineazione dei caratteri dei gruppi più ad alto rischio. Ancora si stanno facendo ricerche sulle dinamiche di trasmissione e sulla genetica delle popolazioni colpite.

Si stanno ancora delineando e migliorando le linee guida per il trattamento della Dengue e la DHF.

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Scheda malattia Febbre Gialla – Sintomi e segni

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La malattia si manifesta nel 60% dei casi  in modo asintomatico; esistono manifestazioni lievi, paucisintomatiche con rialzo febbrile. Una bassa percentuale di casi si manifesta in forma grave con sintomatologia generale sistemica, forti dolori generalizzati, emorragie precoci e gravi sia cutanee che interne, ittero. La malattia evolve in grave insufficienza epatica e renale ingravescente quasi sempre letale. La morte può intervenire nei primi giorni di malattia, generalmente non oltre il decimo, e caratterizza le forme a carattere emorragico fin dalla fase iniziale.

Ad una prima fase di manifestazione di malattia, segue generalmente un periodo di remissione della durata di poche ore o alcuni giorni, quindi inizia una fase di intossicazione caratterizzata da emorragie cutanee e digestive, sintomi a carico del fegato (ittero), dell’apparato urinario (insufficienza renale) e shock.

Mortalità

I decessi si presentano nel 20% dei casi gravi, in particolari epidemie si può arrivare all”80%  di mortalità.Il 50% dei pazienti in fase tossica muore, di solito entro 2 settimane dalla comparsa dei sintomi. La mortalità è maggiore nei più giovani. Il tasso di mortalità è più basso nelle epidemie (5%). Segno prognostico sfavorevole è la precoce comparsa e la severità dell’ittero (3º giorno). L’aumento delle transaminasi è direttamente proporzionale al danno epatico ed è un segno prognostico sfavorevole.

 

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Scheda malattia Febbre Gialla- Trasmissione e incubazione

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Porta d’ingresso

La cute, attraverso le punture degli insetti infettati dal virus.

Trasmissione

I vettori del virus sono zanzare del genere Aedes e Haemagogus e trasmettono il virus durante il pasto ematico. Le zanzare restano infette per tutta la loro vita, mentre il sangue dei pazienti infetti è contagioso da 24 a 48 ore prima della comparsa dei sintomi fino a 3-5 giorni dopo la guarigione clinica.

Incubazione

3-6 giorni

 

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Scheda malattia Febbre Gialla- Introduzione e descrizione

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VACCINAZIONE PER LA FEBBRE GIALLA e CERTIFICAZIONE INTERNAZIONALE

DECRETO 9 luglio 2021 Centri autorizzati a praticare la vaccinazione contro la febbre gialla ed al rilascio del relativo certificato – 2021 (21A04930) (GU Serie Generale n.195 del 16-08-2021)

Presso Etimedica – Cesmet Clinica del viaggiatore è possibile effettuare la vaccinazione per la febbre gialla con certificazione internazionale. La vaccinazione viene effettuata presso il centro medico specializzato in medicina tropicale, da personale specializzato ed esperto nella materia. Richiedi una consulenza prima del viaggio con il dr. Paolo Meo, medico tropicalista.
Per INFO e prenotazioni chiama il numero 0639030481 o scrivi fornendo i tuoi dati cliccando qui

 

Descrizione

 

La Febbre Gialla è una malattia virale acuta, causata da un Flavivirus ad RNA che viene trasmesso mediante la puntura di una “zanzara Aedes aegypti o altra specie”, da uomo infetto ad uomo, o da primate (scimmia) infetto ad uomo. Esiste una trasmissione urbana, prevalentemente umana, ed una trasmissione silvestre con implicazione animale. Nell’ambiente silvestre, ma non solo le scimmie possono essere portatrici del virus e trasmettere il virus anche dove non sono presenti casi umani. Questo fenomeno è la causa dell’aumento dei casi negli ultimi decenni.  Anche la diffusione di questo genere di zanzara, per le variazioni ambientali e climatiche, e l’infestazione di regioni dalle quali era stata precedentemente eradicata, ed aree totalmente nuove è casa di diffusione del virus. Questo Flavivirus è presente in  Africa equatoriale e subsahariana, ed in Sud e Centro America. L’infezione virale fu originariamente importatadall’Africa nelle Americhe con il commercio degli schiavi, e qui si è radicata e stabilizzata avendo trovato un ambiente ed il vettore favorevoli. Non sono mai stati descritti casi di febbre gialla in Asia, ma occorre mantenere alta la guardia per la presenza in questo continente di zanzare pronte ad infettarsi e a trasmettere il virus. Questo è il motivo della obbligatorietà del vaccino contro FG nei paesi asiatici per tutti coloro che provengono, anche da transiti, dall’Africa e dall’America Latina.

Iniziali sintomi lievi possono evolvere in forma grave e mortale. Mortalità elevata, 50% dei casi gravi. Conferma con ricerca degli anticorpi e PCR nel sangue. Il trattamento è sintomatico. Vaccino molto efficace e protettivo. 

 

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Scheda malattia Febbre Gialla- Diagnosi e trattamento

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La diagnosi della Febbre Gialla può essere molto difficile per i casi isolati. Nei tropici la malattia viene diagnosticata clinicamente, osservando cioè i sintomi. La diagnosi viene confermata dall’isolamento del virus dal sangue (identificazione mediante PCR del’RNA virale durante la fase acuta), da un titolo anticorpale in aumento (le IgM appaiono entro 5 giorni dalla comparsa della malattia; il confronto dei dati sierologici nella fase acuta e in convalescenza conferma la diagnosi), o, all’autopsia, dalla caratteristica necrosi delle cellule epatiche nella zona intermedia del lobulo. L’agobiopsia del fegato durante la malattia è controindicata per il rischio di emorragie.

Trattamento

Si basa su misure di supporto ed è diretto ad alleviare i sintomi (per lo più con trasfusione di sangue e di liquidi) e a ridurre la possibilità di emorragie.Non esiste terapia specifica antivirale. Il trapianto di fegato è una possibilità di trattamento, se la coagulopatia da consumo lo consente.

 

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Scheda malattia Febbre Gialla- Distribuzione geografica

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La febbre gialla si trova tra il 15° parallelo Nord e il 10° parallelo Sud in America e in Africa (v.mappa). Non c’è in Asia, benché siano presenti specie di zanzare potenziali vettori. L’incidenza è imprecisata perché la maggior parte dei casi è subclinica o non è segnalata, verificandosi in aree geografiche remote. L’OMS stima che si verifichino 200,000 casi all’anno solo in Africa (100-200 casi all’anno in Amazzonia). L’area geografica interessata dalla febbre gialla è in espansione, soprattutto in Africa, in zone dove era considerata eradicata (es. Africa orientale e meridionale). In Africa la trasmissione avviene principalmente nelle zone di savana dell’Africa centrale e occidentale, durante la stagione delle piogge, con saltuarie epidemie in zone urbane e in villaggi. Più raramente interessa le zone di foresta equatoriale.

In Sud America gli episodi sono sporadici e colpiscono quasi sempre agricoltori o lavoratori delle foreste. Dopo una campagna di eradicazione dell’Aedes aegypti negli anni trenta, la febbre gialla urbana era diventata rara in Sud America, ma a causa del degrado socio-economico ed ecologico degli ultimi anni, queste zanzare hanno recentemente rioccupato buona parte delle aree dalle quali erano state eliminate e il rischio potenziale di epidemie urbane è aumentato. Molto raramente si hanno casi di febbre gialla nei turisti e nei viaggiatori.

 

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Scheda malattia Febbre Gialla- Agente infettivo e ciclo vitale

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Agente infettivo

Il virus della febbre gialla (virus amarillico) è un arbovirus (gruppo B), virus a RNA del genere dei Flavivirus, membro della famiglia delle Flaviviridae.

Ciclo vitale

La febbre gialla è una febbre emorragica virale che viene trasmessa da zanzare infette. Sono descritti tre cicli diversi di attività del virus e di modalità trasmissiva: una selvatica, una intermedia e una urbana. I tre tipi esistono in Africa, ma in Sud America si riscontrano solo il tipo selvatico e urbano dell’infezione.

Ciclo silvestre: nella febbre gialla silvestre i vettori sono in Sud America Haemagogus spp. e Sabethes spp., ed Aedes africanus in Africa. Le zanzare acquisiscono l’infezione dalle scimmie, che fungono da serbatoio del virus. Le zanzare poi pungono e infettano gli uomini, di solito giovani maschi lavoratori delle foreste o in attività agricole.

Questo tipo di infezione è più comune in America latina dove soprattutto nei bacini dei fiumi Magdalena, Orinoco e Rio delle Amazzoni.

Ciclo urbano: nella febbre gialla urbana, gli uomini sono serbatoi del virus, quando sono viremici, e il contagio avviene attraverso la zanzara domestica, l’Aedes aegypti.

Questa modalità di infezione si ritrova prevalentemente in Africa dove ogni anno si manifestano numerosi focolai epidemici e circa 200.000 casi.

 

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Febbre Gialla – Scheda malattia

VACCINAZIONE PER LA FEBBRE GIALLA e CERTIFICAZIONE INTERNAZIONALE

DECRETO 9 luglio 2021 Centri autorizzati a praticare la vaccinazione contro la febbre gialla ed al rilascio del relativo certificato – 2021 (21A04930) (GU Serie Generale n.195 del 16-08-2021)

Presso Etimedica – Cesmet Clinica del viaggiatore è possibile effettuare la vaccinazione per la febbre gialla con certificazione internazionale. La vaccinazione viene effettuata presso il centro medico specializzato in medicina tropicale, da personale specializzato ed esperto nella materia. Richiedi una consulenza prima del viaggio con il dr. Paolo Meo, medico tropicalista.
Per INFO e prenotazioni chiama il numero 0639030481 o scrivi fornendo i tuoi dati cliccando qui

Descrizione

Virus amarilico

La febbre gialla è una malattia infettiva, virale causata da un flavivirus trasmesso all’uomo da una zanzara del genere Aedes spp. La zanzara Aedes aegypti è

presente sia in ambiente rurale che in ambiente urbano, in diversi continenti. Questo genere di zanzara, anche per le variazioni ambientali e climatiche di questi ultimi decenni, sta attualmente infestando regioni dalle quali era stata precedentemente eradicata, ed aree totalmente nuove.

L’infezione virale fu originariamente importata nelle Americhe dall’Africa e col tempo si è stabilizzata e radicata nel centro e sud America. Non sono mai stati descritti casi di febbre gialla in Asia, ma potrebbe svilupparsi tranquillamente una epidemia vista la diffusa presenza del vettore.

Sommario

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Mortalità
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

Agente infettivo

Il virus della febbre gialla (virus amarilico) è un arbovirus (gruppo B), virus a RNA del genere dei Flavivirus, membro della famiglia delle Flaviviridae.

Ciclo vitale

La febbre gialla è una febbre emorragica virale che viene trasmessa da zanzare infette. Sono descritti tre cicli diversi di attività del virus e di modalità trasmissiva: una selvatica, una intermedia e una urbana. I tre tipi esistono in Africa, ma in Sud America si riscontrano solo il tipo selvatico e urbano dell’infezione.

Ciclo silvestre: nella febbre gialla silvestre i vettori sono in Sud America Haemagogus spp. e Sabethes spp., ed Aedes africanus in Africa. Le zanzare acquisiscono l’infezione dalle scimmie, che fungono da serbatoio del virus. Le zanzare poi pungono e infettano gli uomini, di solito giovani maschi lavoratori delle foreste o in attività agricole.

Questo tipo di infezione è più comune in America latina dove soprattutto nei bacini dei fiumi Magdalena, Orinoco e Rio delle Amazzoni.

Ciclo urbano: nella febbre gialla urbana, gli uomini sono serbatoi del virus, quando sono viremici, e il contagio avviene attraverso la zanzara domestica, l’Aedes aegypti.

Questa modalità di infezione si ritrova prevalentemente in Africa dove ogni anno si manifestano numerosi focolai epidemici e circa 200.000 casi.

Distribuzione

La febbre gialla si trova tra il 15° parallelo Nord e il 10° parallelo Sud in America e in Africa (v.mappa). Non c’è in Asia, benché siano presenti specie di zanzare potenziali vettori. L’incidenza è imprecisata perché la maggior parte dei casi è subclinica o non è segnalata, verificandosi in aree geografiche remote. L’OMS stima che si verifichino 200,000 casi all’anno solo in Africa (100-200 casi all’anno in Amazzonia). L’area geografica interessata dalla febbre gialla è in espansione, soprattutto in Africa, in zone dove era considerata eradicata (es. Africa orientale e meridionale). In Africa la trasmissione avviene principalmente nelle zone di savana dell’Africa centrale e occidentale, durante la stagione delle piogge, con saltuarie epidemie in zone urbane e in villaggi. Più raramente interessa le zone di foresta equatoriale.

In Sud America gli episodi sono sporadici e colpiscono quasi sempre agricoltori o lavoratori delle foreste. Dopo una campagna di eradicazione dell’Aedes aegypti negli anni trenta, la febbre gialla urbana era diventata rara in Sud America, ma a causa del degrado socio-economico ed ecologico degli ultimi anni, queste zanzare hanno recentemente rioccupato buona parte delle aree dalle quali erano state eliminate e il rischio potenziale di epidemie urbane è aumentato. Molto raramente si hanno casi di febbre gialla nei turisti e nei viaggiatori.


Porta d’ingresso

La cute, attraverso le punture degli insetti infettati dal virus.

Trasmissione

ZANZARA FEBBRE GIALLA
ZANZARA FEBBRE GIALLA

I vettori del virus sono zanzare del genere Aedes e Haemagogus e trasmettono il virus durante il pasto ematico. Le zanzare restano infette per tutta la loro vita, mentre il sangue dei pazienti infetti è contagioso da 24 a 48 ore prima della comparsa dei sintomi fino a 3-5 giorni dopo la guarigione clinica.

Incubazione

3-6 giorni

Sintomi

La malattia si manifesta nel 60% dei casi  in modo asintomatico; esistono manifestazioni lievi, paucisintomatiche con rialzo febbrile; una piccola parte di casi si manifesta in forma grave con sintomatologia generale sistemica, forti dolori generalizzati, emorragie precoci e gravi sia cutanee che interne, ittero; alla fine sopraggiunge una insufficienza epatica e renale ingravescente quasi sempre letale. La morte può intervenire nei primi giorni di malattia, generalmente non oltre il decimo, e caratterizza le forme a carattere emorragico fin dalla fase iniziale.

Ad una prima fase di manifestazione di malattia, segue generalmente un periodo di remissione della durata di poche ore o alcuni giorni, quindi inizia una fase di intossicazione caratterizzata da emorragie cutanee e digestive, sintomi a carico del fegato (ittero), dell’apparato urinario (insufficienza renale) e shock.

Mortalità

I decessi si presentano nel 20% dei casi gravi, in particolari epidemie si può arrivare all”80%  di mortalità.Il 50% dei pazienti in fase tossica muore, di solito entro 2 settimane dalla comparsa dei sintomi. La mortalità è maggiore nei più giovani. Il tasso di mortalità è più basso nelle epidemie (5%). Segno prognostico sfavorevole è la precoce comparsa e la severità dell’ittero (3º giorno). L’aumento delle transaminasi è direttamente proporzionale al danno epatico ed è un segno prognostico sfavorevole.

Controllo e prevenzione

La febbre gialla è una malattia che si può prevenire con il vaccino. Si tratta di un vaccino prodotto con virus vivo attenuato che produce, con una sola dose, una immunità duratura (almeno 10 anni). È l’unica vaccinazione soggetta a regolamento obbligatorio internazionale.

Per i viaggiatori che partono dall’Italia, e si recano in zone dove è presente la zanzara del genere Aedes generalmente non è obbligatoria in Italia. Si rende obbligatoria 10 giorni prima di partire per coloro che si recano in paesi tropicali o subtropicali che, a causa dell’alto rischio di infezione, prevedono l’obbligatorietà per tutti i viaggiatori in entrata. In genere sono i paesi considerati infetti.

Consigliamo caldamente la vaccinazione a tutti coloro che si recano sia in zona  infetta che in zona endemica.
Per i viaggiatori che si spostano tra paesi dove è presente la zanzara, la vaccinazione è resa obbligatoria per regolamento internazionale.

Modalità di somministrazione

1 fiala da 0,5 ml per via sottocutanea in una singola somministrazione sia per adulti che per bambini.

Controindicazioni

E’ sconsigliata la somministrazione del vaccino nei primi 6 mesi di vita; nel corso del primo trimestre di gravidanza; nei soggetti  immunodepressi e accertata allergia all’uovo. Se il vaccino antiamarillico viene somministrato contemporaneamente con altri vaccini  vivi  attenuati (es. Polio orale, morbillo, antitifico vivo attenuato) deve essere osservato un intervallo di 2 settimane se il vaccino anti-febbre gialla precede gli altri vaccini, oppure di 4 settimane se il vaccino antiamarillico segue gli altri vaccini o di 6 settimane se segue alla vaccinazione con polio orale.

Effetti collaterali

Quasi mai presenti, talvolta si manifestano localmente con lieve zona eritematosa, lieve dolenzia e indurimento, molto raramente si manifesta modesto rialzo febbrile.


Vaccino in commercio

Stamaril ® (iniettivo).

Prevenzione

E’ fondamentale la protezione dalla puntura delle zanzare. Le zanzare, le mosche, i moscerini, i pappataci, le zecche, le cimici e molti altri insetti possono causare fastidio, reazioni cutanee o trasmettere malattie. Dal momento che nessun farmaco o vaccino è attualmente in grado di garantire una protezione totale dal rischio di malattie trasmesse da insetti (Malaria, Dengue, Filariosi, Encefalite giapponese e molte altre ancora) è fondamentale cercare di evitare il più possibile il contatto con gli insetti che le trasmettono. E’ dimostrato che l’impiego di mezzi di difesa contro la zanzara riduce il rischio di acquisire l’infezione malarica del 90%. Le informazioni valide per la zanzara anofele possono essere estese anche agli altri insetti.

Trattamento

Si basa su misure di supporto ed è diretto ad alleviare i sintomi (per lo più con trasfusione di sangue e di liquidi) e a ridurre la possibilità di emorragie.Non esiste terapia specifica antivirale. Il trapianto di fegato è una possibilità di trattamento, se la coagulopatia da consumo lo consente.

Diagnosi

La diagnosi della Febbre Gialla può essere molto difficile per i casi isolati. Nei tropici la malattia viene diagnosticata clinicamente, osservando cioè i sintomi. La diagnosi viene confermata dall’isolamento del virus dal sangue (identificazione mediante PCR del’RNA virale durante la fase acuta), da un titolo anticorpale in aumento (le IgM appaiono entro 5 giorni dalla comparsa della malattia; il confronto dei dati sierologici nella fase acuta e in convalescenza conferma la diagnosi), o, all’autopsia, dalla caratteristica necrosi delle cellule epatiche nella zona intermedia del lobulo. L’agobiopsia del fegato durante la malattia è controindicata per il rischio di emorragie.

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Rabbia – Scheda malattia

Malattia della Rabbia

  • Descrizione
  • Agente infettivo
  • Porta di ingresso
  • Distribuzione
  • Trasmissione e Patogenesi
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Mortalità
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

Descrizione:

La rabbia è probabilmente la più antica malattia di cui si ha notizia. La parola “rabbia” deriva dal sanscrito “rabbahs”, che significa “fare violenza”. Risale al trentesimo secolo avanti Cristo, quando in India il dio della Morte era dipinto sempre accompagnato da un cane, emissario, appunto, del trapasso.
La rabbia è una malattia virale a carattere zoonosico. Provoca un’encefalite negli animali, domestici e selvatici. Si trasmette attraverso il contatto diretto con la saliva di animali infetti (morsi, ferite, graffi, soluzioni di continuo della cute o contatto con mucose anche integre). Una volta che i sintomi si sviluppano, la malattia è sempre letale per l’uomo e per gli animali. Nella situazione epidemiologica attuale non determina danni al settore agro-zootecnico nazionale, ponendo esclusivamente gravi rischi di sanità pubblica.

Agente infettivo della Rabbia

Il virus della rabbia è un virus ad RNA a singola elica che appartiene alla famiglia dei rhabdovirus. All’interno di questa famiglia è compreso il genere Lyssavirus, che include il gruppo degli agenti che causano la rabbia negli animali e negli esseri umani. Virus rabici isolati da diverse specie animali e da diverse zone possiedono differenti proprietà biologiche e antigieniche che possono rendere conto di differenze nella virulenza tra i diversi ceppi isolati. Il virus presenta, inoltre, un particolare tropismo per le fibre muscolari e le cellule nervose, cosa che spiega il particolare decorso della malattia. Esistono diversi genotipi di virus della rabbia con specifici reservoir.

Porta d’Ingresso della Rabbia:

Il morso di animali infetti rappresenta la principale modalità di esposizione alla rabbia; occasionalmente può verificarsi una contaminazione aerea, attraverso aerosol infetti, una contaminazione digestiva o una contaminazione da trapianti di organi infetti. La trasmissione aerea del virus è limitata a situazioni molto particolari, di elevata concentrazione di virus in aerosol, come potrebbe verificarsi in laboratorio o in grotte con popolazioni di pipistrelli infetti.
Rari casi di infezione nell’uomo per via alimentare sono stati segnalati recentemente nel Sud Est Asiatico.

Distribuzione della Rabbia

La rabbia esiste in due forme epidemiologiche: la rabbia urbana, diffusa principalmente dal cane e dal gatto domestici non immunizzati, e la rabbia silvestre, propagata da volpi, tassi, faine, martore, donnole, moffette, manguste, procioni, lupi e pipistrelli. L’infezione negli animali domestici è in genere espressione di una saturazione del serbatoio di infezione selvatico; l’infezione nell’uomo tende, quindi, a verificarsi in zone dove la rabbia è enzootica o epizootica, dove la gran parte degli animali domestici non è immunizzata e dove è comune il contato con l’uomo. Il ciclo urbano è presente prevalentemente in Africa, Asia e Sud America, dove la presenza di animali randagi è molto elevata.

Il ciclo silvestre è predominante in Europa e in Nord America. L’epidemiologia di questo ciclo è piuttosto complessa: vanno tenuti in considerazione il genotipo virale, il comportamento e l’ecologia delle specie ospiti e i fattori ambientali. Nello stesso ecosistema una o più specie possono essere coinvolte nell’epidemiologia della malattia.

Rischio rabbia

La Rabbia nel Mondo

Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale di sanità (Oms) la rabbia è ampiamente diffusa in tutto il globo. Ogni anno, a causa di questa malattia, muoiono più di 55 mila persone. Di questi decessi, il 95% si registra in Asia e Africa. Il 99% dei casi di rabbia nell’uomo dipendono da rabbia canina e circa il 30-60% delle vittime di morsi di cane sono bambini minori di 15 anni. Inoltre, oltre 10 milioni di persone ogni anno vengono sottoposte a trattamento post-esposizione a seguito di contatto a rischio con ad animali sospetti rabidi.

 

Negli ultimi anni, la rabbia dei pipistrelli è emersa come uno dei principali problemi di salute pubblica nelle Americhe e in Europa. Per la prima volta nel 2003 in Sud America sono morte più persone per rabbia da animali selvatici (in particolare pipistrelli) che da cani. Il peso economico della rabbia nei Paesi in via di sviluppo è molto pesante.

Negli Stati Uniti, nel 2008, 49 Stati, il Distretto di Columbia e Porto Rico hanno testato oltre 121 mila animali e riportato ai Cdc più di 6800 casi di rabbia tra gli animali e 2 casi nell’uomo. Il totale dei casi riferiti è sceso di circa il 3,1% rispetto al 2007. Il 93% dei casi registrati nel 2008 riguarda animali selvatici e il 7% animali domestici. Il numero dei decessi tra gli uomini è di circa 2-3 all’anno.

 

La Rabbia in Europa

In Europa, nonostante zone molto estese abbiano ottenuto lo status di libere da rabbia, la vaccinazione degli animali da compagnia rimane una fase importante della prevenzione.

 

La rabbia in Europa è prevalentemente rabbia silvestre: alle specie selvatiche è attribuito l’80% di tutti i casi di rabbia. Di questi, più dell’80% è legato a volpi rosse (Vulpes vulpes), appartenenti alla famiglia dei Canidae. La vaccinazione orale delle volpi, sviluppata ormai quasi 25 anni fa, ha offerto una nuova prospettiva per il controllo della rabbia tra le specie selvatiche. Questo metodo, è stato provato come l’unico modo efficace per eliminare la rabbia tra le volpi e tra altre specie terrestri: se si elimina la rabbia tra le volpi scompare anche tra gli altri animali domestici.

I risultati ottenuti con questo metodo sono significativi, il numero annuale di casi di rabbia è sceso da 21 mila nel 1990 a 5400 nel 2004. Nella maggior parte delle zone dell’Europa occidentale e centrale la rabbia è stata eradicata e il controllo è stato di successo. A oggi, molti Paesi sono considerati liberi da rabbia. In Francia nel 2004 e nel 2008 si sono verificati due casi di rabbia, diagnosticati entrambi in cani importati dal Marocco. Nel 2004 in Germania sono stati segnalati tre casi di rabbia post-trapianto su sei pazienti che avevano ricevuto organi dalla stessa donatrice.

 

La Rabbia in Italia

Dal 1997 e fino all’ottobre 2008, l’Italia è stata considerata libera da rabbia (rabies free). Successivamente, secondo i dati dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (IZSVe), dal 2008 a febbraio 2010, sono stati diagnosticati centinaia di casi di rabbia in animali in Friuli-Venezia Giulia, in Veneto e nella Provincia Autonoma di Trento. I casi di rabbia diagnosticati sono da mettere in stretta correlazione con la situazione epidemiologica della rabbia silvestre nella vicina Slovenia.

 

Nel corso del 2009 e inizio 2010 l’epidemia si è diffusa in direzione Sud-Ovest, comprendendo il Friuli Venezia Giulia, il Veneto in particolare la provincia di Belluno, fino ai casi più recenti riscontrati nella provincia di autonoma di Trento.

La prevalenza dei casi ha interessato gli animali selvatici, per lo più le volpi, che rappresentano il principale serbatoio della malattia, ed alcuni caprioli e tassi. Sono stati riscontrati positivi anche animali domestici tra cui cani, gatti, un cavallo ed un asino.

Le autorità veterinarie nazionali e locali hanno messo in atto tutte le misure sanitarie necessarie al controllo della diffusione della malattia. Grazie a questi interventi, la malattia è ritenuta sotto controllo e al momento si assiste ad una riduzione dei casi accertati: infatti si è passati dalle 49 positività al virus registrate nelle volpi nel mese di gennaio 2010, ai 9 casi dell’ultimo mese (Giugno 2010).

Mappa di diffusione della Rabbia nel mondo

Trasmissione e Patogenesi:

La trasmissione del virus della rabbia agli esseri umani di solito è dovuta al morso di un animale infetto, ma può avvenire anche tramite contatto diretto delle membrane mucose o di ferite dell’epidermide con materiale infetto (ad es. saliva, tessuti neurali, fluido cerebrospinale). La replicazione virale comincia all’interno delle fibrocellule muscolari striate prossime al punto di inoculazione. Il virus si diffonde poi in direzione centripeta lungo il nervo sino al sistema nervoso centrale in cui si moltiplica; quindi prosegue attraverso i nervi efferenti verso le ghiandole salivari e compare nella saliva. L’autopsia (post-mortem) mostra un intasamento vasale con emorragie puntiformi nelle meningi e nel cervello; l’esame microscopico mostra raccolte perivascolari di linfociti con distruzione minima delle cellule nervose. Corpi inclusi intracitoplasmatici (corpi di Negri), solitamente nel corno di Ammone, sono patognomonici della rabbia, anche se non sono sempre presenti.

Incubazione:

Il periodo di incubazione della rabbia è assai variabile, oscillando da 7 giorni a più di un anno (in media 1-2 mesi). La latenza sembra dipendere dalla carica infettante, dall’estensione dell’interessamento tissutale in sede di inoculo, dai meccanismi di difesa dell’ospite e dalla distanza che il virus deve coprire dalla sede di inoculazione al sistema nervoso centrale. I tassi di infezione e la mortalità sono elevati a seguito di morsi sul capo o sul tronco, minori in occasione di morsi sugli arti inferiori.

Sintomi della Rabbia :

Le manifestazioni cliniche della rabbia (forma furiosa, 75% dei casi) configurano 4 stadi:
1.una sindrome prodromica aspecifica: dura circa da 1 a 4 giorni ed è caratterizzata da febbre, cefalea, malessere, mialgie, astenia ingravescente, anoressia, nausea e vomito, mal di gola e tosse non produttiva; un sintomo fortemente suggestivo, presente nel 50-80% dei pazienti, è rappresentato dalla comparsa di parestesie e/o fascicolazioni nella sede dell’inoculo;

2. una fase encefalitica acuta, generalmente preceduta da periodi di iperattività motoria, ipereccitabilità e agitazione; rapidamente compaiono confusione, allucinazioni, aggressività, bizzarre aberrazioni del pensiero, spasmi muscolari, meningismo, convulsioni e paralisi distrettuali; i periodi di alterazione mentale si alternano a periodi di perfetta lucidità, ma con il procedere della malattia questi ultimi si fanno più rari finchè il paziente cade in coma; molto comune è l’iperestesia con eccessiva sensibilità alla luce intensa, ai rumori forti, al tocco e talvolta anche allo sfioramento. La temperatura corporea può raggiungere i 40°C; comune è la paralisi delle corde vocali;

3. una fase encefalitica di tipo rabico da profonda alterazione dei centri del tronco encefalico: l’interessamento dei nervi cranici causa diplopia, paralisi facciali, neurite ottica e la caratteristica difficoltà alla deglutizione; questa, associata all’eccessiva salivazione, dà luogo al tipico quadro di “bava alla bocca”; nel 50% dei casi compare idrofobia, ovvero una dolorosa, violenta contrazione involontaria del diaframma e dei muscoli respiratori accessori, faringei e laringei, scatenata dall’ingestione di liquidi; il paziente diventa comatoso e l’interessamento dei centri respiratori determina una morte per apnea.

4. morte, o in rari casi, guarigione: in assenza di una terapia rianimatoria, la sopravvivenza media dall’esordio dei sintomi è di quattro giorni. La guarigione è eccezionale e quando si verifica è graduale.

La forma paralitica (25% dei casi) è caratterizzata da una paralisi ascendente del tipo sindrome di Landry/Guillain-Barrè (rabbia muta, rabbia tranquilla); si osserva più frequentemente in coloro che sono stati morsicati da pipistrelli o in coloro che hanno ricevuto una profilassi post-esposizione; si manifesta, inoltre, nel sud-est asiatico in soggetti morsicati da cani.

Controllo e prevenzione della rabbia:

In generale, la letteratura scientifica disponibile è concorde nell’affermare che il controllo della rabbia si identifica nella rigorosa attuazione degli interventi codificati da norme di polizia veterinaria, specificamente mirati alla protezione dell’uomo nei confronti della malattia.

La prevenzione nei confronti della rabbia si basa sulla vaccinazione preventiva degli animali domestici, sulla lotta al randagismo e su altri provvedimenti finalizzati a impedire contatti a rischio con le popolazioni selvatiche.

 

Per quanto riguarda la prevenzione della rabbia negli animali è importante :
la vaccinazione antirabbica (obbligatoria o volontaria a seconda del dato epidemiologico) degli animali domestici, la lotta al randagismo e l’attuazione di provvedimenti coercitivi (cattura ed eventuale abbattimento)  al fine di realizzare, attorno all’uomo, un anello di protezione costituito da animali domestici non recettivi e, quindi, incapaci di trasmettere l’infezione (prevenzione del ciclo urbano della malattia);

la vaccinazione orale dei carnivori selvatici, volpi in particolare, introdotta da più di un decennio in alcuni paesi europei.

A seguito di tale misura è stato osservato un significativo decremento dell’incidenza della malattia, rilevato attraverso piani di sorveglianza sul serbatoio selvatico (prevenzione e controllo del ciclo silvestre della malattia).

Prevenzione della Rabbia:

Nell’uomo, la prevenzione della malattia si basa sulla vaccinazione preventiva per chi svolge attività professionale “a rischio specifico” (veterinari, guardie forestali, cinovigili, guardie venatorie ecc.), sulla vaccinazione pre-contagio e sul trattamento vaccinale post-esposizione che sarà considerato di volta in volta in funzione della tipologia di esposizione verificatasi.

Le linee guida Oms individuano tre tipologie di esposizione:
– contatto di una superficie cutanea intatta con animali, con le loro mucose o con il loro cibo (se la ricostruzione dei fatti è attendibile, non c’è esposizione e quindi non è necessaria una profilassi);
– graffi minori o abrasioni senza sangue o leccate di animali su pelle tagliata e piccoli morsi su pelle abrasa (si consiglia sola la vaccinazione), morsi singoli o multipli transdermici, graffi o contaminazione della membrana della mucosa con saliva o contatti sospetti con pipistrelli (in questo caso si devono somministrare sia le immunoglobuline, che il vaccino).

Le cure post-esposizione per prevenire la rabbia includono la pulizia e la disinfezione della ferita o dei punti di contatto e la somministrazione precoce della vaccinazione (se necessaria), senza aspettare i risultati dei test diagnostici di laboratorio e, comunque, senza ritardi per l’osservazione dell’animale sospetto. Per quanto riguarda le immunoglobuline, non ci sono limiti di tempo alla somministrazione. La maggior parte delle immunoglobuline deve essere somministrata in profondità nella ferita, mentre la parte restante, se avanza, dovrebbe essere iniettata in un altro sito muscolare aggiuntivo lontano dalla ferita. L’Oms raccomanda, infine, l’osservazione dell’animale sospetto per 10 giorni, perché i primi sintomi nei cani e nei gatti non sono molto specifici. Francia, Spagna e Inghilterra raccomandano 14 giorni di osservazione.

Trattamento della Rabbia:

All’insorgenza dei sintomi neurologici la rabbia non è curabile.

Diagnosi:

La diagnosi clinica della rabbia non è affidabile. La diagnosi definitiva può essere fatta solo con l’esame di laboratorio. La diagnosi post-mortem è effettuata sul SNC e comprende come test di elezione l’immunofluorescenza diretta (FAT) e l’isolamento del virus in coltura cellulare (RTCIT). La RT-PCR e le altre tecniche di amplificazione sono di solito utilizzate come test di conferma.

La diagnosi intra-vitam è utilizzata spesso nell’uomo a partire da saliva, urina, liquido cefalorachidiano e biopsia cutanea effettuata sulla nuca e prevede tecniche di FAT, RTCIT e RT-PCR. L’ulteriore caratterizzazione dell’isolato virale avviene mediante sequenziamento o l’utilizzo di anticorpi monoclonali.

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Filariosi – Scheda malattia

Filariosi

amebiasi

  • Descrizione
  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

(da thailabonline.com/parasit.htm)

Descrizione:
Le infestazioni da Filaria sono provocate da vermi filiformi adulti ‘Nematodi’ (vermi ad anello) che si posizionano nei vasi linfatici e nei tessuti sottocutanei e possono dare luogo, a seconda dei differenti agenti patogeni a Filariasi Linfatica, Oncocercosi, Loiasi, Dirofilariasi (comune filaria parassita dei cani). Le femmine adulte fecondate producono ‘microfilarie’ che circolano nel sangue o migrano nei tessuti. Quando vengono ingerite da un insetto (zanzare o mosche), le microfilarie, all’interno dell’intestino dell’insetto vettore, si sviluppano in ‘larve infettive’ che vengono inoculate e deposte nel sottocutaneo  durante la puntura. Solo poche specie di parassiti infettano la razza umana. Le filarie che parassitano gli animali, a volte infettano l’ospite umano, pur non arrivando a un completo sviluppo. Le Filariasi linfatiche sono provocate da 3 specie di Filarioidea, che può provocare una adenolinfangite acuta oppure un linfedema cronico, raramente idrocele, più frequentemente chiluria.

Agente infettivo:
Ci sono otto specie di Filaria che possono infettare l’uomo. Queste sono causa della maggior parte delle infezioni da Filarie: Wuchereria bancrofti e Brugia malayi provocano la filariasi linfatica; Onchocerca volvulus provoca la oncocerchiasi (cecità fluviale). Le altre specie sono la Loa loa, Mansonella perstans, M. streptocerca, M. ozzardi, e Brugia timori (le ultime specie possono provocare la filariasi linfatica).

Ciclo vitale:
Le larve infettive sono trasmesse da artropodi mediante il morso o puntura durante il loro pasto ematico. Le larve, inoculate nel sottocutaneo,  migrano nel sito appropriato dell’ospite dove si sviluppano in ‘microfilarie’ che maturando si trasformano nelle forme adulte. Queste ultime forme possono sopravvivere nei tessuti degli ospiti anche per diversi anni. L’agente delle Filariasi linfatiche risiedono nei vasi linfatici e nei linfonodi; l’Onchocerca volvulus va a situarsi nei noduli presenti nel tessuto sottocutaneo; la Loa loa nel tessuto sottocutaneo dove migra attivamente; il Brugia malayi si situa nel tessuto linfatico, come il Wuchereria bancrofti; il Mansonella streptocerca nel derma e nel tessuto sottocutaneo; Mansonella ozzardi sembra si posizioni nel tessuto sottocutaneo e il M. perstans nelle cavità del corpo e nei tessuti circostanti. I vermi femmina, circolano nel torrente circolatorio, quelli di Onchocerca volvulus e Mansonella streptocerca, si trovano nella cute, o bulbo oculare. Le infezioni da microfilarie vengono trasmesse dal morso di artropodi (zanzare per l’agente della filariasi linfatica, mosche [Simulium] per l’Onchocerca volvulus; moscerini per Mansonella perstans e M. streptocerca; sia mosche che moscerini per Mansonella ozzardi; mosca [Chrysops] per Loa loa).  All’interno dell’artropode, le microfilarie si trasformano nella forma infettiva e filariforme della larva in 1 o 2 settimane. A seguito di un successivo pasto dell’insetto, la larva infetta l’ospite. A questo punto le larve sono in grado di migrare al sito specifico di infestazione dove sviluppano la forma adulta, un processo lento che richiede anche più di 18 mesi nel caso dell’Onchocerca.

Distribuzione:
tra gli agenti della filariasi linfatica, Wuchereria bancrofti è ubiquitaria, e si trova in tutte le aree tropicali, Brugia malayi è limitata al continente asiatico e la presenza del Brugia timori è ristretta ad alcune isole indonesiane. L’agente della cecità fluviale, l’Onchocerca volvulus, si trova prevalentemente in Africa, e meno in america latina e in Medio Oriente. Fra le altre specie,  Loa Loa e Mansonella streptocerca si trovano in Africa; Mansonella perstans sia in Africa che in Sud America e Mansonella ozzardi si trova solo nel continente americano.

Porta d’ingresso:
cute, tramite la puntura di artropodi.
ciclo

Trasmissione:
per iniezione di microfilarie dall’artropode all’ospite durante il pasto dell’insetto.

Incubazione:
anche più di 18 mesi perché le larve sviluppino nella forma adulta nell’ospite

Sintomi:
La filariasi linfatica:  produce spesso microfilaremia senza manifestazioni cliniche. Tuttavia la filariasi infiammatoria acuta comporta episodi (spesso ricorrenti) di febbre che durano da 4 a 7 giorni, linfoadenite acuta con tipica linfangite retrograda (LAA). Talvolta nel maschio funiculite acuta ed epididimite. Il linfedema transitorio di una gamba colpita può dare luogo ad un ascesso che drena all’esterno e lascia una cicatrice. La LAA in aree che drenano i linfatici delle gambe è spesso causata o aggravata da infezioni batteriche secondarie.

La filariasi cronica spesso si sviluppa insidiosamente dopo molti anni. Nella maggior parte dei pazienti si verifica una dilatazione linfatica asintomatica, ma la risposta infiammatoria cronica ai vermi adulti può portare al linfedema cronico dell’area del corpo interessata o all’idrocele. Questa situazione sintomatica grave esita in ‘elefantiasi’. Talvolta la cute si presenta  ipercheratosica e con suscettibilità locale alle infezioni batteriche e micotiche. Altre manifestazioni croniche da filarie si riferiscono alla distruzione di vasi linfatici o dal drenaggio aberrante di linfa che porta a chiluria e chilocele.

L‘eosinofilia polmonare tropicale (EPT) non è comune. Essa si manifesta con frequenti attacchi di asma, transitorie opacità polmonari, febbricola e marcata leucocitosi ed eosinofilia. Le microfilarie di solito non rimangono nel sangue, ma sono presenti in ascessi eosinofili nei polmoni o nei linfonodi. La EPT è molto probabilmente dovuta a reazioni allergiche verso le microfilarie. La EPT cronica può portare alla fibrosi polmonare. Altri segni extralinfatici includono ematuria microscopica cronica, proteinuria e moderata poliartrite, causate dalla deposizione di immunocomplessi.
Episodi di LAA di solito precedono l’esordio della malattia cronica di  2 decenni. La filariasi acuta è più grave e la progressione verso la malattia cronica è più rapida negli immigranti in aree endemiche precedentemente non esposti rispetto ai residenti nativi. La microfilaremia e i sintomi scompaiono gradualmente dopo aver lasciato l’area endemica

Oncocerchiasi: i noduli sottocutanei (o più profondi) (oncocercomi) che contengono i vermi adulti sono visibili o palpabili ma per il resto asintomatici. Essi sono composti di cellule infiammatorie e tessuto fibrotico in varie proporzioni; i vecchi noduli possono necrotizzare e calcificare. La dermatite da oncocerche è causata dalle microfilare del parassita. Il prurito intenso può essere il solo sintomo in persone con infestazione lieve. Le lesioni cutanee di solito consistono in rash maculopapuloso con escoriazioni secondarie, ulcerazioni desquamanti, lichenificazione e linfoadenopatia da lieve a moderata. Possono verificarsi prematura rugosità, atrofia cutanea, massiccia tumefazione dei linfonodi inguinali o femorali, ostruzione linfatica, ipopigmentazione a chiazze e aree transitoriamente localizzate di edema ed eritema.
La dermatite da oncocerca è generalizzata nella maggior parte dei pazienti, ma nello Yemen e in Arabia Saudita è comune una forma localizzata e delineata di dermatite eczematosa con ipercheratosi, desquamazione e depigmentazione (Sowdah).
La malattia oculare varia da una moderata riduzione del visus ad una completa cecità. Le lesioni dell’occhio anteriore includono una cheratite puntata (a fiocco di neve), un infiltrato infiammatorio acuto che circonda le microfilarie morte e si può risolvere senza causare danno permanente; una cheratite sclerosante, un groviglio di tessuto fibrovascolare che può causare lussazione del cristallino e cecità; uveite anteriore o iridociclite che può deformare la pupilla. Possono verificarsi inoltre corionretinite, neurite ottica e atrofia ottica.
L’oncocercosi è la seconda causa di cecità al mondo (dopo il tracoma). La cecità è comune nella savana dell’Africa, dove è principalmente dovuta alla cheratite sclerosante; è meno comune nelle aree delle foreste pluviali, dove è causata da lesioni corioretiniche ed è di gran lunga più rara in America, dove è causata principalmente da lesioni del segmento posteriore dell’occhio.

Loiasi: l’infezione nelle persone indigene provoca nella maggior parte dei casi aree di angioedema (edema di Calabar) che può svilupparsi in ogni parte del corpo, ma prevalentemente sulle estremità; generalmente esse persistono per 1-3 giorni e sono presumibilmente correlate a reazioni di ipersensibilità agli allergeni rilasciati dai vermi adulti durante la migrazione. I vermi migrano anche nella zona sottocongiuntivale attraverso gli occhi, e ciò può creare disturbi, anche se lesioni oculari residue non sono di frequente riscontro. Alterazioni patologiche meno comuni sono costituite: dalla nefropatia, dall’encefalopatia e dalla cardiomiopatia.
La nefropatia generalmente è caratterizzata da proteinuria accompagnata da lieve ematuria e si ritiene che il danno sia causato da immunocomplessi. La proteinuria è transitoriamente esacerbata dal trattamento con dietilcarbamazina (DEC). L’encefalopatia si presenta in forma lieve ed è generalmente associata a sfumati sintomi neurologici. La DEC aggrava i sintomi neurologici fino a provocare, raramente stato di coma e decesso.
Nei viaggiatori, a differenza della popolazione locale, sono predominanti i sintomi da iper-reattività allergica. L’edema di Calabar tende a essere più frequente e più grave nei viaggiatori, che possono anche sviluppare una sindrome sistemica con ipereosinofilia che può condurre a fibrosi endomiocardica.
La diagnosi consiste nel riscontro alla microscopia ottica di microfilarie nel sangue periferico. I campioni di sangue devono essere prelevati intorno a mezzogiorno, quando i livelli di microfilaremia sono più alti. Le persone che risiedono temporaneamente in aree endemiche rimangono spesso amicrofilaremiche. I test sierodiagnostici non sono ancora in grado di differenziare la Loa loa da altre filarie.

Controllo e prevenzione:
– Filariasi linfatica: La protezione richiede la riduzione dei contatti con zanzare infette. L’efficacia della chemioprofilassi con dietilcarbamazina (DEC) non è provata. – Oncocerchiasi: L’Ivermectina si è mostrata un farmaco efficace ed in grado controllare la malattia sul territorio e di diminuire la sua prevalenza in molte zone africane. La somministrazione annuale od ogni sei mesi di ivermectina controlla efficacemente la malattia e può diminuire la trasmissione del parassita. La rimozione chirurgica di tutti gli oncocercomi accessibili riduce il numero di microfilarie nella cute e può ridurre la prevalenza di cecità dei fiumi, con la contemporanea somministrazione di farmaco. È possibile ridurre le punture delle mosche della specie Simulium evitando le aree infestate, indossando abiti protettivi e usando in maniera abbondante agenti repellenti per insetti. L’uccisione delle larve della mosca nera rappresenta il punto cardine del programma internazionale di controllo dell’oncocerchiasi nell’Africa Occidentale. – Loiasi: Agenti repellenti per insetti possono ridurre l’esposizione alle mosche infette. Comunque, il DEC orale (300 mg una volta a settimana) è l’unica misura di provata efficacia nella prevenzione dell’infezione. Il DEC è l’unico farmaco in grado di uccidere le microfilarie e i vermi adulti. In alcuni casi, lo schema raccomandato di 8-10 mg/kg/die PO per 2-3 sett. deve essere ripetuto. In pazienti con infezioni massive, il trattamento può scatenare un’encefalopatia che può progredire fino allo stato di coma e decesso. Alcuni pazienti possono trarre beneficio da un trattamento iniziale con basse dosi di DEC (1 mg/kg/die) associato alla somministrazione di corticosteroidi. L’Ivermectina alle dosi utilizzate per il trattamento dell’oncocerchiasi può essere una valida ed efficace alternativa al DEC.

Trattamento:
– Filariasi linfatica: la terapia del linfedema cronico può essere molto efficace. La creazione chirurgica di shunt veno-linfatici per migliorare il drenaggio linfatico offre benefici a lungo termine anche in casi avanzati di elefantiasi e le misure conservative come il bendaggio elastico della gamba colpita aiutano a ridurre l’edema. La cura meticolosa della cute, compreso l’uso di pomate antibiotiche e la profilassi con antibiotici sistemici, può far regredire il linfedema e prevenirne la progressione verso l’elefantiasi. – Oncocerchiasi: Il farmaco di scelta è l’Ivermectina somministrata in una singola dose orale di 150 µg/kg una sola volta o due volte in un anno. Essa non deve essere somministrata a bambini di  5 anni di età o di peso  15 kg, alle donne in gravidanza, alle madri che allattano neonati durante la prima sett. di vita e ad ogni persona in gravi condizioni cliniche generali. L’Ivermectina riduce rapidamente il numero di microfilarie nella cute e negli occhi. Essa non sembra essere in grado di uccidere i vermi adulti, ma blocca il rilascio di microfilarie dall’utero per diversi mesi. Gli effetti collaterali sono qualitativamente simili a quelli della dietilcarbamazepina (DEC) ma sono meno frequenti e meno gravi. Il DEC non è più un farmaco raccomandato per il trattamento dell’oncocerchiasi poiché causa nefrotossicità e la reazione di Mazzotti, che può ulteriormente danneggiare la cute e gli occhi e portare a un collasso cardiovascolare, oltre ad accelerare l’insorgenza della cecità nei pazienti con un livello massiccio di infestazione nella camera oculare. La Suramina è efficace ma deve essere somministrata EV per varie settimane. L’eliminazione dei vermi adulti può essere ottenuta anche mediante la rimozione chirurgica dell’oncocercoma. –  Loiasi Il DEC è l’unico farmaco in grado di uccidere le microfilarie e i vermi adulti. In alcuni casi, lo schema raccomandato di 8-10 mg/kg/die PO per 2-3 sett. deve essere ripetuto. In pazienti con infezioni massive, il trattamento può scatenare un’encefalopatia che può progredire fino allo stato di coma ed al decesso. Alcuni pazienti possono trarre beneficio da un trattamento iniziale con basse dosi di DEC (1 mg/kg/die) associato alla somministrazione di corticosteroidi. L’Ivermectina alle dosi utilizzate per il trattamento dell’oncocerchiasi può essere una valida ed efficace alternativa al DEC.

Diagnosi in laboratorio:
la procedura migliore per la determinazione delle microfilarie è l’esame al microscopio (emoscopia). L’esame di campioni di sangue capillare permette la determinazione delle microfilarie da  Wuchereria bancrofti, Brugia malayi, Brugia timori, Loa loa, Mansonella perstans, e M. ozzardi.  Il campione di sangue può essere uno spesso striscio marcato con Giemsa o ematossilina ed eosina.  Per aumentare la sensibilità,  i campioni possono essere concentrati mediante centrifugazione del campione di sangue lisato in formalina al 2% (tecnica di Knott), o tramite filtrazione con millipore. Per l’identificazione della microfilaria dell’Onchocerca volvulus e  Mansonella streptocerca viene preso un campione di pelle, ottenuta mediante incisione della stessa. Il campione deve essere incubato da 30 min a 2 ore in medium salino o da cultura. In questo caso le micofilarie devono migrare dal tessuto alla fase liquida  del campione.

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Colera – Scheda malattia

Descrizione

Il colera è una malattia infettiva acuta causata da batteri del genere Vibrio cholerae. I vibrioni del colera sono di diversi tipi e si distinguono in base al sierogruppo, biotipo e sierotipo a cui appartengono. Il colera provoca diarrea profusa causata dall’infezione dell’intestino del batterio. L’infezione spesso è asintomatica o paucisintomatica ma a volte può essere severa e mortale.

Dal punto di vista epidemiologico una persona su 20 manifesta una forma severa di infezione con diarrea profusa, acquosa, vomito e crampi alle gambe. In questi individui si ha una rapida perdita dei liquidi corporei che portano a disidratazione e stato di shock. Senza idoneo trattamento, vi è la morte anche in poche ore. Oggigiorno comunque l’infezione può essere facilmente prevenuta e curata, con una adeguata reidratazione e somministrazione di sali bilanciati.

Vibrio Cholerae

Sommario

  • Agente infettivo
  • Ciclo vitale
  • Distribuzione
  • Porta di ingresso
  • Trasmissione
  • Incubazione
  • Sintomi
  • Controllo e prevenzione
  • Trattamento
  • Diagnosi

Agente infettivo

Batterio del genere Vibrio cholerae. Quello maggiormente responsabile della malattia nell’uomo è il Vibrio cholerae, sierogruppo 01 o 0139, biotipo El Tor, sierotipo Ogawa.

Ciclo vitale

Ci sono diversi fattori che influenzano la patogenicità del V. cholerae e che sono importanti nella fase di colonizzazione. Questi fattori includono le adesine, la mobilità, la chemiotassi e la produzione di tossine. Se il batterio è in grado di sopravvivere alle secrezioni gastriche ed al ph acido dello stomaco, è poi in grado di adattarsi e sopravvivere nell’intestino. Il V. cholerae  è resistente ai sali biliari ed è inoltre in grado di attraversare le mucose dell’intestino mediante l’aiuto di secrezioni di proteasi.

Questi batteri sono in grado di muoversi mediante una mobilità di tipo propulsivo e riescono ad attraversare le mucose dell’intestino mediante un processo di chemiotassi. Si pensa che l’aderenza specifica alla mucosa intestinale avvenga mediante i pili, lunghi filamenti presenti sulla superficie del batterio; oltretutto il gene per la produzione dei pili si è osservato essere co-regolato con l’espressione delle tossine del batterio. In realtà non si sa molto sulla interazione dei pili con le cellule ospiti e il recettore delle cellule ospiti alle quali aderiscono non è stato identificato. Esistono altri due tipi di adesine nel V. cholerae  presenti sulla sua superficie in grado di agglutinare i globuli rossi.

Distribuzione

A causa delle scarse condizioni igienico sanitarie, della carenza di acqua potabile, spesso associate a condizioni di povertà e degrado, i Paesi in via di sviluppo rappresentano le aree a maggior rischio di diffusione della malattia. Grave l’epidemia di colera che alla fine degli anni ’90 ha coinvolto molti paesi dell’America Latina, in particolare lungo la costa del pacifico. Nel 2006 i casi sono notevolmente aumentati, raggiungendo i livelli degli ultimi anni Novanta, per un totale di 236.896 contagi in 52 diversi Paesi. Tuttavia, il numero è sicuramente sottostimato visto che si calcola che venga segnalato all’Oms solo il 10% dei casi effettivi.

Per il 2007 e il 2008 l’Oms ha segnalato la presenza di epidemie di colera in Iraq e Zimbabwe; qui, in particolare, sono stati registrati all’inizio di febbraio 2009, oltre 65 mila casi che hanno provocato la morte di circa 2 mila persone in tutte e dieci le Province del Paese. Si è trattata della più grande e grave epidemia mai registrata sul suolo nazionale, con una mortalità del 5,7%, e un risvolto transnazionale, estendendosi ai Paesi limitrofi, in particolare in Sud Africa e in Botswana. Nel corso del 2010, si sono registrati focolai epidemici in Africa (Camerun, Uganda, Nigeria, Niger, Kenya), in Cina, in India e in Pakistan, dove le devastanti inondazioni, le peggiori nella storia del Paese, hanno aggravato le già scarse condizioni igienico-sanitarie della popolazione, nonché la scarsità di acqua potabile, cibo e  medicinali.

In Europa e nei Paesi industrializzati il colera è una malattia di importazione. In Italia, l’ultima importante epidemia di colera risale al 1973 in Campania e Puglia. Nel 1994 si è verificata a Bari un’epidemia di limitate proporzioni, in cui sono stati segnalati meno di 10 casi.

Porta di ingresso

Cavo orale, per ingestione di acqua, alimenti contaminati dal batterio, trasmissione oro-fecale.

Trasmissione

Si verifica perchè il vibrione, eliminato con le feci, non viene distrutto e per carenze del sistema di depurazione dei liquami o di potabilizzazione dell’acqua, può arrivare all’uomo sano, attraverso gli alimenti e le bevande. Senza la contaminazione di cibo o acqua, il contagio diretto da persona a persona è molto raro in condizioni igienico-sanitarie normali. La carica batterica necessaria per la tramissione dell’infezione è, infatti, superiore al milione: pertanto risulta molto difficile contagiare altri individui attraverso il semplice contatto.

Gli alimenti a maggior rischio sono i frutti di mare o comunque il pesce, ingeriti senza adeguata cottura; la verdura, la frutta, l’acqua da bere e le bevande prodotte con acqua inquinata.

Incubazione

Da 1 a 5 giorni.

Sintomi

La malattia, si manifesta con diarrea improvvisa e intensa con scariche sempre più liquide e incolori, con la caratteristica “acqua di riso” e quindi con enormi perdite di liquidi, calcio e potassio. Segue il vomito che aggrava lo stato di disidratazione. Il paziente è ipoteso, tachicardico e con diuresi ridotta o addirittura assente (anuria).

Se non interviene la cura reidratante, con l’aggiunta di Sali bilanciati, la situazione clinica può evolvere verso lo stato di shock irreversibile e, in seguito ad ulteriore peggioramento verso la morte. A volte però la malattia si presenta in forma molto attenuata e quindi benigna. Essa è comunque sempre grave quando interessa i bambini, in quanto in questi l’equilibrio idrico ed elettrolitico è molto delicato.

Controllo e prevenzione

il controllo delle epidemie di colera si ottiene mediante il controllo ambientale, la purificazione delle acque, una informazione mirata delle popolazioni più esposte sull’utilizzo dei cibi o sul loro trattamento prima di essere ingeriti, sul controllo dell’ igiene personale per evitare la diffusione dell’infezione.

Per chi viaggia in Paesi a rischio, la prevenzione si basa soprattutto sulla cottura degli alimenti e sull’uso di bevande sicure (imbottigliate o in lattina). L’acqua da bere può essere bollita o trattata con disinfettante a base di cloro. Inoltre è bene sbucciare la frutta cruda, evitare di acquistare alimenti, anche cotti, da ambulanti, e di mangiare in locali con evidenti carenze igieniche.

Vaccinazione

Il vaccino iniettivo tradizionale contro il colera, costituito da cellule intere di batteri uccisi col fenolo, non viene da tempo più raccomandato dall’OMS a causa della sua modesta efficacia (30- 50% dei vaccinati), la breve durata dell’immunità (3-6 mesi) e perché può indurre nei vaccinati un immotivato e pericoloso senso di sicurezza.

Un nuovo vaccino, a disposizione dei viaggiatori, autorizzato dalla Unione Europea dallo scorso Aprile 2004, si distingue dal vecchio vaccino innanzitutto per composizione: oltre alle cellule intere di batteri, uccisi col calore e la formalina, contiene la subunità B non tossica della tossina del colera (ottenuta attraverso procedimenti di sintesi di ingegneria genetica), la quale stimola una risposta anticorpale migliore delle precedenti e permette la protezione crociata dalla Diarrea da ETEC (Escherichia coli Enterotossigena che produce enterotossina termolabile).

Il nuovo vaccino è diverso inoltre anche per via di somministrazione: somministrazione per via orale, anziché parenterale.

Consulta il nostro approfondimento sul vaccino contro il Colera

Trattamento

L’aspetto più importante nel trattamento del colera è la reintegrazione dei liquidi e dei sali persi con la diarrea e il vomito. La reidratazione orale ha successo nel 90% dei casi, può avvenire tramite assunzione di soluzioni ricche di zuccheri, elettroliti e acqua, e deve essere intrapresa immediatamente. I casi più gravi necessitano, invece, di un ripristino dei fluidi intravenoso che, soprattutto all’inizio, richiede grandi volumi di liquidi, fino ai 4-6 litri.

Con un’adeguata reidratazione solo l’1% dei pazienti muore e, di solito, in seguito al ripristino dei fluidi, la malattia si risolve autonomamente.

Gli antibiotici, generalmente tetracicline o ciprofloxacina, possono abbreviare il decorso della malattia e ridurre l’intensità dei sintomi e sono utilizzati soprattutto per le forme più gravi o nei pazienti più a rischio, come gli anziani.

Diagnosi

La diagnosi è confermata dall’isolamento di V. cholerae nelle colture da tamponi rettali diretti o da feci fresche e dalla successiva identificazione come sierogruppo 01 o 0139 mediante agglutinazione con antisiero specifico.

Il colera deve essere distinto dalla malattia clinicamente simile provocata dai ceppi di Escherichia Coli producenti enterotossina e dai microrganismi Salmonella e Shigella.

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